Fronte del Piave
Aiuta a salvare Fronte del Piave
 
Menu
 
 
 


Pubblicità
 
 
 


Espande/Riduce le dimensioni di quest'area
 
  Condividi su Facebook    
Espande/Riduce le dimensioni di quest'area
     
 
:: Aggiornamento sito - Donazioni ::

Cari visitatori/iscritti di Fronte del Piave, Fronte del Piave ha bisogno del vostro aiuto.
È arrivato il momento di aggiornare tutto il sito.

------------- Aggiornamento -------------

Siamo felici di potervi comunicare che l’aggiornamento del sito è iniziato e la prima fase è completata, ma siamo ancora lontani dalla fine dei lavori e dalla cifra necessaria.

Ringraziamo tutti coloro che ci hanno aiutato fin ora e speriamo molti altri si uniscano a noi per salvare Fronte del Piave.




Maggiori informazioni e aggiornamenti qui.

 
     
 

     1° OTTOBRE. — Prendo il comando di una batteria d’istruzione forte di 32 subalterni e di 470 uomini e comincio a lavorare specialmente per mantenere la disciplina, fra i reparti. La vita è monotona ma so di dovermene andare presto.
     2. - Sono il più anziano di tutti gli Ufficiali presenti e debbo dare l’attenti al colonnello. Non basta. Per tenere occupati i subalterni noi vecchi capitani dobbiamo fare loro giornalmente diverse ore di scuola A me tocca insegnare il regolamento di disciplina e quello di servizio interno. I miei scolari sono circa 300.
     6. — Sono stato a Treviso e prevedendo la mia prossima partenza ho comprato gli ultimi oggetti per completare il mio corredo e ho salutato il mio colonnello, gli amici, i conoscenti. Tornato a Nervesa, ho trovato un biglietto che m’invita al Comando del Deposito. Sono corso e mi sono presentato. “Lei domattina alle sei partirà per Salonicco in accompagnamento di truppe. Si presenterà al Comando Italiano che è in linea, consegnerà gli uomini e se non la tratterranno lì, ritornerà indietro”.
Rispondo semplicemente “signor sì” e vo a casa a far fagotto. Alle 11 di sera sono pronto ma vengo nuovamente chiamato al Comando del Deposito. “ La partenza è rimandata alla mattina del giorno 8”. “Signor sì”, e vo a letto.
     
     7.
— Passeggio pensando al bel viaggetto a Salonicco... ai sottomarini e al divertimento di prenderli in giro o di vederli sprofondare in mezzo ad una chiazza di olio, quando l’Aiutante Maggiore mi ferma e mi racconta che un altro capitano arde dal desiderio di andare nel mio posto perchè ha uno zio a Salonicco e vuole che rinunzi alla mia missione.
     Sono un po’ seccato. Rispondo che nulla ho fatto per andare e nulla farò per rimanere. Soltanto ubbidirò. Dopo due ore ho l’ordine di non partire per Salonicco. Pazienza! Ma dove andrò?     
     8.
— Andrò a raggiungere il sesto Raggruppamento e prenderò il Comando della 172a Batteria di bombarde da 240 L. che fa parte del 22° Gruppo.
     E’ una Batteria valorosa e fortunata che si è distinta in molte azioni ed è maestra nell’arte di eseguire lavori di postazione per i pezzi.
     Dovrò partire domani per Cervignano e per S. Pietro all’Isonzo dove trovasi il Comando del Raggruppamento.
Finalmente anch’io avrò da fare qualche cosa!
     9. — Parto dalla Stazione di Susegana e lascio il mio attendente Zuliani a Nervesa. Mi raggiungerà in posizione.
     Viaggio tutto il giorno con treni lumaca e a notte alta arrivo a Cervignano e cerco alloggio. Piove a dirotto e naturalmente non trovo posto e la prendo tutta. Finalmente riesco ad occupare una branda nel Padiglione degli Ufficiali Superiori di passaggio e vo a letto.
     10. — Piove! Al Comando di tappa mi hanno detto che alle 11 parte un autobus per Villese, Sagrado e S. Pietro. Intanto che aspetto l’ora, vo girellando per la cittadina redenta e compro qualche altro ninnolo, ma nelle botteghe e nelle strade i borghesi sembrano piuttosto croati e prendono per il collo i clienti.
     Seguita a piovere a dirotto, Monto sull’ autobus che è pieno zeppo di Ufficiali.
     Le mie cassette sono sull’imperiale dell’auto e si riempiono lentamente di acqua che poi, attraverso le fessure della copertura, scende sulle nostre spalle sotto forma di rigagnoli gialli, rossi e neri, secondo quello che attraversa nelle nostre povere cassette.
     A un certo punto l’auto si ferma e io ne approfitto per ritirare almeno al coperto il sacco che sembra una spugna. Povere mie coperte che domani sera dovranno servirmi!
     La borgata di S. Pietro non ha nulla di particolare. Pochi indigeni dall’aspetto cinico e dal fare tollerante, qualche cartello indicante un Comando sulle facciate delle case più civili, camions e carrette in giro.
     Però sono sulla riva sinistra dell’Isonzo, in Austria e se ho provata una certa emozione a passare il ponte di quel fiume ché così fortemente parla all’orgoglio italiano, sento un inquieto desiderio di salire presto anche quelle pendici carsiche dalle quali giunge il brontolio dei cannoni.
     Il colonnello comandante di Raggruppamento, Siniscalco, mi riceve, mi parla, mi offre un caffé e mi avverte che dovrò prendere interinalmente il Comando di Gruppo. Lo sapevo perché al Deposito me ne avevano fatto cenno ma, se da un lato la notizia mi fa piacere, dall’altro penso che la responsabilità è molto grande e che io sono appena arrivato e nuovo del mestiere.
     Farò del mio meglio, ho detto, e intanto ho rivolto lo sguardo ad una grande carta geografica del Carso che è appesa al muro.
     Il colonnello mi mostra un buco nella porta e uno strappo stretto e lungo che ha soppresso il nome e il tracciato del paese di S. Pietro. Una palletta di shrapnel. Strana combinazione che sembra quasi una minaccia.
     Parto in motocarrozzetta per il Vallone.
     11. Sono arrivato ieri sera al Vallone per la via di Doberdò e di Ferleti e per lungo tempo ho girato in mezzo alle baracche domandando a tutti dove era la mia Batteria la 172a e alla fine l’ho trovata verso Bonetti, proprio per caso. Veramente non ho trovato la Batteria ma le baracche della riserva e gli alloggi di riposo degli ufficiali. Entrando nell’ufficio ho battuto la testa contro il soffitto, sebbene mi fossi ripiegato in due e ho stretta la mano al capitano Jesu che mi aspettava con le valigie fatte per andarsene nel Trentino.
     Anche gli altri ufficiali si sono presentati e mi hanno accompagnato alla mia camera. 
     Nel punto più basso del Vallone è una dolina larga 15 metri e profonda 3 o 4 e alle pareti di questo catino, per metà pieno dell’acqua piovuta da tre giorni, le baracchette degli ufficiali, della cucina e della mensa. La mia è delle migliori: pareti di legno, copertura di zinco, una cuccetta, uno sgabello e una mensola per tavolino. C’è quanto basta.
     E’ per metà sottoterra e vi si scende per una rampa rustica scavata nell’argilla appiccicosa e rossastra. Pensandoci un poco ne ho viste delle molto migliori a Chiusi fra quelle destinate ai morti etruschi.
     12. Ho dormito profondamente ma prima dell’alba sono stato svegliato da insoliti rumori. Alcuni pezzi da assedio sparavano vicino a me e, lì per lì, non mi sono reso conto di quello che accadeva e ho guardato fuori.
     Le batterie nostre di Doberdò, del Cernj-Krib e di Nova-Vas si erano svegliate di cattivo umore. Sono tornato a letto ma soltanto allora, mi sono accorto di non essere solo in quella scatola di legno: un’intera famiglia di topi passeggiava facendo da padrona di casa in camera mia, e con una insolenza senza pari frugava nelle mie cassette, rosicchiava le mie scarpe e mi passeggiava sulle coperte e anche sul viso emettendo sottili e stridule voci. Mi abituerò.
     La giornata è passata a contare arnesi e a scrivere note per le consegne della Batteria e non ho messo il naso fuori dalla tana che serve da ufficio, ma ho constatato che gli austriaci conoscono molto bene, il Vallone, e che sul tetto della mia baracca c’è appena mezzo metro di terra.
     13. — Ieri sera ho avuto l’ordine di assumere subito il comando del 22° Gruppo e stamane sono andato alla Dolina Adriana.
     Attraversando a piedi la strana città di legno e di sacchetti a terra che sta aggrappata alla pendice orientale del Vallone e che è discretamente defilata, sono salito subito a Oppacchiasella, e dalla piazza del povero paese rovinato e deserto, ho girato a destra sulla Via di Bosco Malo, discendendo alquanto col Faiti di fronte. Centocinquanta metri fuori di Oppacchiasella, fra due strade e una casa rovinata, ho trovato la mia dolina che mi è sembrata molto bella.
     Il mio Stato Maggiore, e cioè l’Aiutante Maggiore, l’Ufficiale Esploratore e il Tenente Medico, mi hanno accolto simpaticamente e mi hanno fatto subito visitare ogni parte della dolina e la mia stanza, veramente bela ma completamente esposta alla pioggia del ferro e del fuoco.
     Anche qui non si parla di caverne ne di eccessivi defilamenti. Meglio, così non verrà la tentazione di ricoverarsi.
     La dolina contiene tutto: la stanza di pronto soccorso, l’ufficio, la cabina telefonica, la cucina e la baracca per i soldati, la cucina e la mensa ufficiali, la scuderia e perfino la stanza da bagno! Tutte le baracche sono disposte in giro nel fondo della dolina e addossate, in gran parte, al ciglio nord-est per evitare i colpi del nemico, almeno quelli in pieno, ma per quanto ben disposte, nessuna baracca è protetta veramente.
     Dopo colazione prendo possesso del mio regno e mi sento veramente un piccolo sovrano. Qui terrò il mio comando tattico che sarà uno dei più avanzati. Certamente il più avanzato dopo quelli di fanteria di prima linea.
     Salgo sull’orlo della dolina e osservo con soddisfazione intorno a me.
     Dietro sono le rovine di Oppacchiasella con qualche muro alto rimasto in piedi come una lama di coltello confitta in terra. A destra la quota che mi copre la vista di Nova-Vas e più in giù, verso oriente, la cima nera e minacciosa dell’Hermada che veglia. Di fronte la strada mascherata di Hudi-Log, che scende verso le nostre trincee ed oltre, la serie di colline ondulate e nude, dove si annidano gli austriaci. Più a sinistra Castagnevizza o meglio il luogo dove era Castagnevizza, poi una vallata piatta e larga che risale al Faiti.
     Faiti ed Hermada, i due capisaldi nemici da dove partono quasi tutte le pillole e specialmente quelle più grosse. A nord, cioè alla mia sinistra, il Dosso Faiti e poi le quote che circondano Gorizia la quale non si vede perché nascosta giù nella valle.
     Ritorno in dolina e il Dottore mi racconta che questa è una villeggiatura e che gli austriaci sono molto addormentati ora, e specialmente sono compiacenti con la dolina Adriana perchè non vi hanno mai tirato lì vicino. Ma non ha finito di fare l’elogio di questa quiete campestre che le nostre batterie vicine da 75 e da 149 cominciano a mugolare e a fischiare, alternando le voci ed i timbri. Fanno dei tiri di rappresaglia ma Carluccio non ne vuole e indispettito, lancia un 280 al nostro indirizzo.
     Lo riconosciamo al sibilo che si avvicina e si abbassa e ripariamo dietro un muro di sacchetti a terra. Passa bassissimo sopra la dolina e va a frantumarsi con uno scoppio lacerante contro uno scoglio che emerge dalla terra rossastra fra la nostra dolina e la stradella di accesso. Un nuvolo di terra e di fumo si innalza, poi scende una pioggia di sassi e la bufera è passata. Niente. La dolina è defilata ed il tiro è abbastanza radente. Salgo a vedere l’ imbuto scavato. Il macigno non c’è più e non raccolgo neppure una scheggia. Dove saranno andate a cadere?
     La serata è allegra. Il buon umore non manca. I miei Ufficiali sono simpaticissimi ed io sto ad ascoltare con interesse le loro vicende. Abbiamo intorno due cani saltellanti e quattro loro neonati.
     Dopo cena vengono a presentarsi i Comandanti della 120a Batteria e della 97a, giovanotti robusti e arditi già messi lungamente alla prova.
     La 120a ha le sue postazioni quasi attaccate alla Ia linea e dal marzo non ha avuto riposo pur avendo avute molte perdite. Ho capito, se il nemico lo permetterà manderò un poco in vacanze ufficiali e soldati.
     14. Stanotte i nostri cannoni, cioè quelli che sono nelle vicinanze (e sono molti) hanno brontolato lentamente ma continuamente; c’era una pettegola batteria da montagna che mi svegliava spesso con i suoi colpi secchi. Chi sa cosa hanno visto.
     Sul far del giorno e fino alle nove quiete quasi completa. Alle 8 prendo con me l’Ufficiale esploratore (Garanzani) e comincio la visita alle batterie. Ne vedo una per mattina.
     Intanto sono stato alla dolina Bombarde dove sono piazzate quattro bombarde della mia batteria (la 172). Lungo la strada è scavato un camminamento ma la giornata è così bella ed il si1enzio è così completo che preferisco andare per la strada. Un chilometro e sono arrivato. Belle postazioni, tutto pronto; mancano due delle 4 bombarde perché sono ancora alla dolina Smertz di fronte a Selo. Domani di notte le porteremo qui perché la Smertz viene occupata da un’altra batteria.
     Proseguo la mia passeggiata. Ritorno sulla strada, l’attraverso e scendo alla dolina Malta dove è il mio centralino telefonico e un deposito di munizioni. I telefonisti sono al loro posto. Dal mio Comando corre una linea e da qui si diramano le linee che allacciano le posizioni delle mie quattro batterie. I guardafili però hanno da lavorare specialmente in tempo di azione perché le granate spezzano spesso le linee, ma ci sono, in questo caso, otto porta ordini che sostituiscono camminando e correndo allo scoperto.
     Sulla via del ritorno il sole è alto, l’aria è limpidissima e certamente il nemico ci vede ma non vale la pena di sprecare granate per noi. Non sono certamente dirette a noi quelle che sentiamo fischiare in aria e che ci sorpassano scoppiando su, verso il Vallone o verso Palikisce. I colpi raffittiscono e a suon di musica ritorniamo in dolina alle 11.
Vi trovo l’ordine di presentarmi al comando Divisionale di Artiglieria, al più presto possibile. Mangio in fretta e riprendo a piedi la strada, ma questa volta in senso inverso diretto al Vallone e per fare più presto taglio da Oppacchiasella, a sinistra, e mi butto fra i sassi e gli sterpi del crinale dove sono postate molte batterie da l49; qualche pezzo è coperto dalla cuffia, ma altri lavorano e gettano il fuoco verso il Faiti. Qualche nespola nemica arriva sbuffando sulla posizione e va a scoppiare sul rovescio del colle.
     Alla baracca del Comando di Artiglieria, trovo il mio Colonnello. C’è da fare un piccolo ricamo con le bombarde da 58 B. che sono nelle doline Rimini e Venezia. La fanteria che sta in linea pare che nei giorni scorsi avesse scoperto un camminamento di approccio che gli austriaci avevano protetto con un muretto di sacchetti a terra, sotto la quota Innominata, in un punto nel quale le due trincee sono appena a trenta metri di distanza e i due reticolati ne formano uno solo. Con questo approccio che ogni notte si allunga verso di noi il nemico minaccia. Bisogna distruggerlo ad ogni costo.
     Esprimo qualche dubbio circa la possibilità di fare questa operazione con le bombarde. Il tiro di esse non è mai stato così preciso da colpire un bersaglio piccolo, e in ogni modo occorrerebbero tanti colpi che scoccerebbero il nemico e allora si avrebbero tiri dannosi di rappresaglia nelle nostre posizioni. Però se anche si volesse tentare la prova, chiedo che un tratto notevole della nostra trincea venga prima sgombrato per evitare che tiri anche normali fatti sopra un bersaglio così attaccato alla nostra linea possano produrre dolorosi incidenti.
     Alla prima ragione non si da ascolto. Il Comando della brigata di Fanteria ma più specialmente il Colonnello del 137° vogliono il tiro, pur concedendo lo sgombro della linea.
     Ripeto che si può tirare ma con esito incerto. Rilevo inoltre che per questo tiro la 120a batteria bombarde sarà certamente individuata e dovrà poi subire non lievi conseguenze. Resta così inteso, e tornato in dolina, chiamo il comandante della batteria, ten. Bicelli, un giovanotto robusto pieno di fegato e dispongo perché prenda accordi con la fanteria e prepari l’azione per il giorno appresso. Preparativi: 100 bombe per pezzo, tiro lento ma preciso e concentrato. Sarà quel che sarà.
     15. — Stamane sono stato svegliato alle 5 dopo un sonno non interrotto neppure dall’abbaiare quasi continuo dei nostri cannoni.
     Alle 7 dovrò trovarmi di nuovo al Comando di Artiglieria.
     Mi alzo e corro; il Comando di Fanteria ha rimulinato tutta la notte sull'affare dei sacchetti e si è convinto che un tiro di bombarde porterebbe conseguenze poco salubri anche ai difensori della 1a linea i quali dovrebbero sostenere una vera tempesta rabbiosa di proiettili a titolo di rappresaglia. Non svegliare il can che dorme, dice il proverbio. Si è perciò cambiato programma e si domanda se è possibile fare entrare in azione un’altra batteria che trovasi vicina alla linea ma più a destra, da dove si potrebbero fare tiri più lunghi e obliqui sul fronte di sinistra.
     Rimango incerto nella risposta perché bisogna vedere se le postazioni permettono alle bombarde un tale spostamento in direzione, senza rifare le piazzuole.
     Il Comandante di Artiglieria mi incarica di fare una ricognizione sul posto e di riferire nella giornata. Ritorno in fretta in dolina mi prendo elmetto e maschera prendo con me una guida porta ordini, 1’Ufficiale esploratore e parto.
     Percorro il primo tratto sulla strada, mascherata soltanto in parte perché il vento dei giorni passati ha buttato giù graticci e frascaie. Giunto sotto Corite, devo prendere la strada all’ingiù, allo scoperto e il nemico che è appena a 300 metri da noi potrebbe...fotografarci. Prendo allora il camminamento Cesare Battisti e da questo, passando ad altri, giungo alla dolina Rimini dove è metà della l20a batteria.
     Il tiro è già preparato. Si aspetta l’ora e intanto si provvede a sgombrare la trincea e il ciglio della dolina stessa che è tutto gremito di ripari e baracchette della fanteria. Se non si levano di li non si può tirare.
     Il tiro sulla nuova posizione è possibile. Risulta da una sommaria esplorazione e tutto è combinato. Auguro buona fortuna al Comandante e prima di ritornare penso di far visita al Comandante del 137° fanteria che trovasi in una prossima dolina.
     Lo trovo infatti in una caverna, davanti ad un rozzo tavolo, che sta studiando le nuove postazioni delle mitragliatrici. Mi riceve cordialmente fa elogi grandi della 120a e dei suoi Ufficiali e mi annunzia la prossima partenza del suo reggimento che sarà sostituito dai bersaglieri.
     Dovendo dare le consegne ed essendo prossime le operazioni delicate e lunghe del cambio, ritiene che il “ricamino” con le bombarde da 58 a. debba rimandarsi a migliore occasione. Guai se il nemico si accorgesse del cambio e cominciasse a disturbare nella trincea e nei camminamenti.
     Allora tutto è sospeso. Riprendo la strada ossia il camminamento nell’ora in cui gli austriaci, svegliatisi, lavatisi e forse anche spidocchiatisi, ricominciano a guardare verso di noi e a tirare. Dal camminamento sento lo scoppio di qualche piccola granata e qualche sasso giunge fino a noi, ma più seccanti sono gli shrapnels che scoppiano senza preavviso di miagolio, e scoppiano sulla testa a piccola altezza buttando giù come in pugno di pallette.
     Ho l’elmetto e se non sono troppo violente mi riparo.
     In dolina preparo il rapporto della ricognizione e uno schizzo. Mentre sto disegnando nella baracca della mensa, ricomincia la musica delle nostre batterie che sono controbattute dagli austriaci con medi e grossi calibri. Naturalmente noi siamo nel mezzo e dobbiamo subire le sorti del combattimento.
     Granate e granatone passano sibilando, urlando, miagolando. Questa è per Doberdò, questa è diretta al Vallone... questa per Bacco, si avvicina, è un bel nocciolo... Cade? scoppia? Eccola! E' a circa 50 metri da qui; una scheggia sfonda la parete della baracca, quei pochi vetri rimasti alle finestrelle vanno in frantumi e i sassi cominciano a piovere come una doccia.
     Mi affaccio alla porta e dalla parte dove si vede ancora la fumata e lo spolverio, viene correndo il nostro cameriere di mensa, Carnasciali. Era in cerca di scheggie e di proiettili per avere un premio dalla Squadra Recuperi quando la granata gli è scoppiata vicina, ma lui si è buttato a terra dietro un muretto e mentre i sassi erano ancora per aria è venuto giù a rotta di collo, in dolina, con il berretto per traverso e gli occhi fuori dal capo. Il cuoco, un veneto puro sangue, che è rimasto impassibile alle cazzeruole, vedendo il compagno, pianta il mestolino e ridendo grida: Ciò Carnasciali andemo in osservatorio? E giù si ficcano in una nicchia scavata nel masso, che dovrebbe essere ii principio di una galleria, ma che è tanto piccola che appena ci si  sta in due e rannicchiati.
     Visto che il nemico non ha più l'abitudine di lasciarci in pace mi decido a far continuare la galleria quanto è necessario per contenere i 16 uomini del mio Stato Maggiore, i cani ed un merlo che è stato sempre la mascotte del Comando. I cavalli poveretti dovranno rischiare ma non c’è possibilità di ripararli.
     Oggi il nemico era inquieto. Ha tentato vari assalti parziali e con le artiglierie ha molestato il transito sulle strade.
     Verso sera ha sferrato un attacco in forze nel settore Flondar Monfalcone, ma le nostre artiglierie sono entrate prontamente in azione e per più di due ore si è udita una continua romba sulle nostre posizioni e un tambureggiamento che formava un ostacolo insuperabile dinnanzi al nemico.
     Sono salito sulla cima della collina a sud di Oppacchiasella e ho visto l’Hermada tutta avvolta nel fumo e scintillante.
     Alle 10 l’attacco è respinto e torna quiete.
     16. - Un attacco simile a quello di ieri sera sembra essere incominciato di là da Castagnevizza fino alla Baisizza e a respingerlo concorrono anche le artiglierie del nostro settore.
     Sono due ore di fuoco ininterrotto, intenso, insistente, preciso, che decide il nemico a rinunziare all’impresa. I nostri pezzi continuano a battere a cadenza e il nemico risponde con colpi buttati a caso ma rabbiosi e mortali.
     Un 280 cade a 20 metri dalla dolina, sull’orlo della strada di Oppacchiasella. Sembrava che venisse dall’alto perpendicolarmente senza radenza. Un carabiniere di sentinella sulla strada ha fatto in tempo ad intanarsi nel suo piccolo fifhaus ma due territoriali che filosoficamente schiacciavano i sassi sulla strada hanno tentato di salvarsi buttandosi a terra. I sassi e le schegge li hanno investiti e uno si è fracassato un piede mentre l’altro se l’è cavata con una contusione al braccio sinistro. Portati in dolina sono stati medicati e fasciati dal dottore e poi via all’Ospedale da Campo nel Vallone.
     Ho continuato il mio giro alle batterie. Oggi ho visitato le postazioni della 97a batteria della dolina Datteri e poi, scendendo verso est, sono andato alla dolina del Muro e alla dolina Post che occupano una posizione quasi simmetrica trovandosi la prima a nord-est e la seconda sud-ovest di Versich. Al solito non ci sono camminamenti e conviene andare allo scoperto. Specialmente la Post si trova esposta.
     Protetti dal mascheramento della strada, si arriva ad un bivio e bisogna tagliare direttamente tra i due rami. C’è una parvenza di camminamento in un muretto che non protegge oltre l’altezza del ginocchio e il nemico è lì di faccia e ci vede ma non vorrà sprecare cartuccie.
     Ci mettiamo in fila indiana a 10 passi uno dall’altro e giù a passo lungo. Lo stesso al ritorno.
     Due shrapnels scoppiano in alto, e una granata se la prende con un macigno che non ha fatto male a nessuno.
     L’austriaco è tranquillo in prima linea ma batte la retrovia. Forse si è accorto del cambio della fanteria e di qualche movimento.
     17. — Infatti c'è movimento specialmente di notte. Le ultime batterie inglesi sono partite e ne sono andate via anche di quelle italiane di ogni calibro.
     In prima linea dove era una divisione, ora è una Brigata e i bersaglieri del generale Ceccherini hanno preso il pasto di due brigate. Lo sanno ma sono fieri. Faremo bene lo stesso. E si mettono a rafforzare trincee e camminamenti in verità un po’ sconquassati specialmente quelli del 138° Fanteria.
     Si prende l'assetto difensivo invernale. Un velo di fanti in linea con molte mitragliatrici, il numero strettamente necessario di artiglierie e molti rincalzi a riposo.
     Ogni notte partono truppe, artiglierie e materiali. Anche le perforatrici una ad una vengono ritirate. Ogni mattina si ha l’impressione di essere più soli, ed anche quando i nostri cannoni cantano, non è più quel coro pieno di una volta per quanto si sforzino, le loro voci, di cantare spesso e forte.
     Camions e carri sono tutta la notte in movimento a lumi spenti e con sbuffo sommesso girano su tutte le strade anche le più esposte e scendono nelle posizioni camminando anche fuori di strada, attraverso le sassicaie carsiche e completamente allo scoperto. Squadre di fatica caricano materiali, lavorando in silenzio e quando sorge l’alba i lavori si sospendono e le vie ritornano deserte. Il nemico non si è accorto di nulla.
     Qualche volta però, sul più bello di una operazione di carico, un proiettore nemico getta un fascio di luce sopra la colonna dei camions fermi e sulle quadre di uomini che lavorano e fissa con il suo occhio maligno, sorvegliando, controllando, contando. Spesso si contenta di curiosare ma talvolta punta e batte fitto fitto, col cannone o con la mitragliatrice. I nostri soldati seguitano a lavorare tranquillamente, contenti di avere un buon lume e di non incespicare nei reticolati e negli sterpi.
     Oggi è arrivato il mio attendente Zuliani, e mi ha portata un po’ di roba in posizione. E' venuto su guardingo e spaurito. Ogni colpo in partenza gli pareva una granata in arrivo e, non conoscendo i luoghi, stava sempre a orecchi tesi e cercava con l’occhio di scoprire le posizioni nostre e quelle del nemico. Vana ricerca. In questa guerra non si vede nessuno.
     Alle 16 giungono due barelle con due soldati del Genio feriti. Erano addetti a una perforatrice nella dolina Del Muro, dove è la 97a batteria. Uno shrapnel è scoppiato bassissimo, forse uno spleen-granata e sono stati feriti. Uno ha ancora una palletta dentro la rotula del ginocchio destro; sulla schiena dell’altro è un buco. Il dottore gira il ferito dall’altra parte e contro le costole, in prossimità dello sterno, sente la pallottola che non è uscita. I visceri sono trapassati. La ferita è gravissima ma il ferito non è abbattuto e non ha sintomi di emorragia. Il dottore non è persuaso e col dito cerca ancora. Ah! La palletta penetrata all’altezza del rene, non appena sotto la pelle, ha deviato e, slittando sopra le costole, ha fatto il giro del torace, scavando un canale quasi completamente innocuo.
     Oggi gli austriaci tirano e sembra che provino qualche nuovo tipo di arma.
     Anche sulla mia dolina sono scoppiati a poca distanza due o tre spleen-granate a tiro teso e a tre tempi che arrivano senza preavviso e che fanno un primo scoppio a tempo nell’aria, lasciando libera una piccola granata che cade verticalmente scoppiando anch’essa in due tempi: il primo in aria per automatica accensione di una miccia e il secondo a terra a percussione mediante spoletta. Sono i proiettili più micidiali. Non c’è salvezza neppure a gettarsi a terra, neppure nei camminamenti.
     La baracca della mensa è stata forata anche questa volta.
     Sulla porta della mia baracca raccolgo una scheggia, un anello a vite di spoletta, e, schiacciata sopra un sasso, una palletta di shrapnel. Un saluto e un buon augurio. Raccolgo questi oggetti e mi provo l'anello al dito. Va benissimo. Lo porterò.
     18. — La 172a batteria ha finito di trasportare il suo materiale dal settore di Selo a quello di Corite; le postazioni sono complete e mancano soltanto le munizioni che farò portare stasera per mezzo di camions. Ne chiedo per telefono due e li ottengo. Alle 22 alle botti di Ferleti. Vi sarà uno dei miei Ufficiali con gli uomini di fatica e le guide. Si lavorerà tutta la notte.
     Nel pomeriggio abbiamo avuto lo spettacolo di una battaglia aerea. Da due giorni esploratori austriaci volavano sulle nostre posizioni a bassa quota spiando i nostri movimenti e lasciando cadere qualche bomba sui nodi stradali e sui baraccamenti del Vallone. Più volte sono passati anche sulla mia dolina e certamente hanno osservato il movimento prodotto dai lavori che si stanno facendo in preparazione dell’inverno: baracche nuove, scoli per le acque, parascheggie di sacchetti a terra, gallerie ecc. Forse hanno creduto che vi sia insediato un grosso comando. Temo qualche conseguenza.
     Tre nostri velivoli e poi un quarto ed un quinto si levano da occidente e inseguono i crocesegnati che dapprima sono quattro soltanto e fuggono sulle loro linee. Ma dalla parte di Faiti ecco apparire un’altra squadriglia di rinforzo. Sono apparecchi di colore diverso, rossastro ambiguo e anche di diversa forma. Che siano tedeschi? Senza dubbio. E' questo il primo apparire del nuovo nemico sul nostro fronte. Sono rapidissimi e si muovono con una agilità mirabile. Fanno un largo giro e piombano alle spalle dei nostri Farman che si disperdono, si librano, salgono, si piegano, si raddrizzano. Una mitragliatrice comincia a cantare; altre rispondono e la battaglia si accanisce. Tre dei nostri si sono riuniti e da lontano e dall’alto si buttano con impeto contro due nemici che però evitano l'attacco con un rapido movimento rotatorio a spirale, discendono e poi salgono di nuovo, s'incrociano e sembra quasi che cozzino, tanto si avvicinano.
     Un nostro apparecchio è circondato da tre nemici e isolato dalla squadriglia. I tre uccellacci lo spingono verso le loro linee e non lo abbandonano un momento, girandogli intorno punzecchiandolo con le mitragliatrici. Il nostro si difende, cerca la salvezza nella fuga e tenta alzarsi rapidamente a spirale ma gli aguzzini gli sono addosso e lo battono, lo colpiscono e lo incendiano. L’apparecchio s’inclina su di un fianco, poi cade a picco sostenuto, nella sua rovina, da una fiamma sinistra e fumosa che fa quasi da paracadute.
     Il cuore si stringe e noi che siamo spettatori passivi dall’orlo della dolina, ci lasciamo sfuggire un grido di maledizione e con raccapriccio, seguiamo la caduta dei due aviatori, che gettati fuori dalla carlinga, precipitano nel vuoto accesi come due fiammelle staccate da uno stesso incendio.
     Cattivo augurio! Chi saranno i due infelici piloti? Penso subito che la cavalleria ne ha molti e sono tra i migliori. Novara ne ha sei....
     19. — Stanotte ho dormito pochissimo. Fino a tardi sono rimasto alzato presso l’apparecchio telefonico a sollecitare l’invio di due camion richiesti per il trasporto delle bombe della 172a. I camions non sono venuti, more solito! Ho dovuto provvedere con le scarse carrette della batteria e ce n’è voluto ad averle! Nottata inquieta.
     Le opposte artiglierie si controbattevano e in linea si sentivano raffiche di mitragliatrici e di fucileria. Il Faiti ogni tanto s’incendiava e carrozzelle d’ogni misura passavano soffiando e brontolando in direzione di Doberdò e della regione pedecarsica. Qualcuna si fermava prima, sulle nostre posizioni, a casaccio, come sbadatamente o presa dalla stanchezza per via.
     C’è una certa nervosità nell’aria. Il mio telefono stanotte ha lavorato molto per le comunicazioni con le Batterie e tre volte ho dovuto mandare i guardafili perché le granate avevano rotto le linee.
     Credo che sia il caso di prepararsi ad un’azione e occorre terminare l’osservatorio del Gruppo che è lassù, sulla quota più alta, vicino a quelli della Divisione e del Corpo di Armata. Bisogna finire di scavare la galleria per il telefono, e poi fare una buca in terra per me e per il mio aiutante.
     Ci copriremo alla meglio con sacchetti a terra e con lamiere.
     Mando un sergente e sei uomini minatori a lavorare e intanto diramo un ordine alle batterie perché siano messe in piena efficienza.
Visito la dolina Pistoia, che dovrebbe nella difensiva, battere i capisaldi del Settore. Ci sono otto bombarde da 58 mc due le mando alla dolina Rimini dove il tiro insistente della notte ha sfoconati altri due pezzi.
     Così la 120a e la 172a mi annunziano di trovarsi in piena efficienza e pronte a far fuoco.
     Leggo il comunicato del Comando Supremo e di quello della 3a Armata.
     “Disertori nemici, arrestati, affermano che il nemico sta preparandosi ad un attacco che sferrerà presto contro di noi. Sulla fronte del Carso si concentrano gli sforzi degli austriaci. Nella zona di Tolmino e sulla Bainsizza attaccheranno per la prima volta i tedeschi. Dodici, quattordici divisioni con gran lusso di artiglierie e di gas asfissianti . Un attacco in grande stile che avrà certamente uno scopo. Ma sarà vero? E perché allora si sono alleggerite le difese su questo fronte? Prendo le intercettazioni telefoniche. Stazioni di Corite 9 Ottobre: “Signor Capitano, stanotte gli italiani hanno tirato nella mia dolina con grosse granate. Tutto è in disordine non si può resistervi. Due postazioni sono saltate in aria; ho quattro morti e nove feriti. Che cosa debbo fare? Alfiere Franz”.
     Salto su. E' la ricevuta che gli austriaci fanno ai tiri della Novantasettesima batteria che appunto nella notte del 9 ebbe a battere postazioni di bombarde nemiche nascoste in una dolina sul Cribci.
     Dopo mezz’ora di fuoco si vide alzarsi dalla dolina una fiammata ed un nuvolo di fumo di terra e di sassi. Poi silenzio.
     Le bombarde non perdonano. Comunico la lieta novella al Comandante della batteria e mi metto in cammino per dare un’occhiata alle nuove postazioni della 172a batteria nelle doline Bombarde e Post. Torna soddisfatto a casa e incontro Un insolito movimento di fanti che portano munizioni in prima linea.
     Anche le artiglierie nemiche sono nervose. Tirano a preferenza con grossi calibri cercando i nodi stradali, i comandi, i depositi di materiali, le batterie. C’è qualcosa di strano in questo fuoco rado ma preciso, apparentemente senza scopo, ma, a guarder bene, logico. Non sono più i tiri radenti di una volta. Ora le granate con ampia parabola, piovono dall’alto quasi in piombo e non c’è più defilamento che tenga. Per domattina sono chiamato al Comando Divisionale di Artiglieria. Potrò avere qualche spiegazione su questi tiri che a me sembrano di aggiustamento e di batterie arrivate di fresco, forse tedesche.
     20. — Torno dal Vallone. Mi sono presentato al nuovo Comandante dell’artiglieria divisionale. E' il Colonnello Riccomanni, mio concittadino. C’è un rapporto del Comando di Brigala di Fanteria contro il Cornando della 120a batteria che la notte scorsa, invitata a far fuoco contro una postazione di mitragliatrice nemica, ha dichiarato di non potere eseguire l’ordine per la esiguità del bersaglio e per l’eccessiva prossimità del bersaglio stesso alle nostre linee, cosa che avrebbe messo a grave rischio l'incolumità delle nostre truppe. Inoltre ha fatto osservare che lui non dipendeva dal comando di fanteria, il quale ha a sua completa disposizione le sezioni di bombarde da 58 B e che non poteva far fuoco senza ordine del Comando di Artiglieria e del Comando di Gruppo.
     Rifiuto di obbedienza? Se gli danno torto, il tenente Bicelli me lo fucilano. Io sostengo le sue ragioni. Ci fucileranno insieme? Il Colonnello Riccomanni, dopo avermi ascoltato, mi fa leggere una minuta di risposta che contiene tutto quello che io ho detto e aggiunge: Darò ordine che d’ora innanzi i Comandi di Fanteria non chiedano direttamente il fuoco delle bombarde e ricorrano sempre a questo Comando. E così sia una buona volta che si sappia che non siamo cacafuochi da 58B. Bicelli non sarà fucilato. E nemmeno io.
     E questi tiri isolati, domando al Colonnello, che cosa significano? Mah! si divertono a sciupare munizioni e a punzecchiare. Dal terrazzino del Comando vedo arrivare dal versante opposto del Vallone altre granate. Una butta giù un alto traliccio di ferro preparato per la condotta dell'energia elettrica, due scoppiano sulla strada di Doberdò, una granata a tempo scoppia sulla via mentre passa un camion della Croce Rossa. Il meccanico sente in aria sulla testa il pericolo e sterza violentemente buttandosi, a rotta di collo, giù per la discesa e si salva. Scendo in fondo al Vallone e risalgo dalla strada di Palikisce fermandomi in una piega del terreno sotto la strada dove il Capitano Marinoni, Comandante della l39a batteria, ha le sue baracche. Baracche? Padiglioni, pagode volevo dire! E' un villaggetto rustico ma elegante e lindo, con i suoi viali inghiaiati, la rampa con gli appoggi laterali e bianchi ed il cancello di accesso fatto di filo spinoso da reticolati e recante il numero della batteria.
     Sono invitato ad entrare nel chiosco che serve di mensa agli Ufficiali e mi viene offerto il caffè. Il Capitano non è mai stato disturbato in quell'amena residenza, e oggi si lagna di visitatori importuni. Sopra, sulla strada, ci sono scavate da granate nemiche due buche. Tre altre granate sono cadute sotto a quel macigno, una più su vicino alla batteria di assedio, ed una di grosso calibro ha sbatacchiato poco lontano dalle baracche, e per fortuna dietro un muretto solidissimo, ma lo spostamento dell’aria ha rotto tutti i vetri ed ha fatto partire di volo tutti i telai delle finestre.
     C’è qualcosa per aria. Prepariamoci. Combiniamo insieme le norme per l'eventuale schieramento della sua batteria che è a riposo a Redipuglia ed in parte qui e, per la via di Oppacchiasella, torno in dolina. Sulla via sono scavati parecchi imbuti che squadre di territoriali vanno man mano riempiendo, senza mostrare alcuna fretta e senza preoccuparsi dei nuovi imbuti che van formandosi qua e la per i nuovi arrivi. Ad ogni scoppio sospendono il lavoro, si levano la fedele pipa di bocca e portano la mano alla visiera dell’elmetto per vedere meglio.
     Quando sono scoppi lontani, neppure si muovono. Molti colpi sono lunghi ed hanno altra destinazione. Si sentono i mugolii per l’aria. Al passaggio di un grosso calibro che fa un rumore di carrozzone sgangherato e l’affannoso ansare di una locomotiva in pressione, un vecchio territoriale curvo sul suo lavoro, brontola senza alzare il capo: Firenze Livorno, per Lucca si cambia. E' un toscano, anzi meglio un pisano.
     Dietro al paese di Oppacchiasella, lungo la strada ed in prossimità del cimitero ora sconvolto orrendamente e privo di cancello ed in parte anche di muro, è una quantità enorme di munizioni di artiglieria, accumulate certamente nella notte. Si cammina per un buon tratto tra due muraglie di acciaio e di esplosivi. Perché qui? in questo punto sempre battuto ed esposto alla vista dei velivoli si è radunato tanto esplosivo quanto basterebbe per far saltare in aria la collina intera? Non so, certamente i nemici non tirano per divertirsi e per punzecchiare soltanto. Aggiustano i tiri e preparano qualche sorpresa. In gamba.
     21. — La notte è passata tranquilla e lo stesso la mattina.
     Io ne ho approfittato per far rivedere tutte le vecchie linee telefoniche e per fame stendere una nuova di allacciamento col comando di artiglieria. Intanto con le mie carte mi sono chiuso nella baracchetta della mensa ed ho incominciato lo studio di un eventuale schieramento offensivo. Mentre disegnavo e completavo uno schizzo, con i fogli stesi sulla tavola, mi sono stati annunziati due nuovi Ufficiali destinati alla 172a batteria. Li ho fatti passare. Venivano da Nervesa, cioè dall’Italia e portavano molte notizie del mondo che mi interessavano assai. Si dice che qui non avremo niente da fare. Difensiva e basta. Forse si anderà a riposo. Il nemico le ha prese sode e poi non ha voglia di farsi avanti ed anche se si facesse ne prenderebbe delle altre. In Italia dicono che intanto c’è l’inverno e che in primavera avremo la pace. Mentre si parla ricomincia l’orchestra delle artiglierie e ricominciano a ronzare le granate di passaggio. Quando una passa più vicino vedo uno degli Ufficiali, nuovi alla musica, che con la tazza di caffè in mano gira gli occhi intorno lesto lesto, per cogliere la impressione altrui, e tenta di fare il disinvolto, ma istintivamente si schiaccia un po’ abbassando la testa. Una granata che scoppia vicino fa tremare la baracca e lacera tutte le carte oleate messe alle finestre in sostituzione dei vetri rotti. Nespole! sussurra il tenentino e diventa bianco in viso. Anche lui farà l’abitudine. Cerco di distrarlo con altri discorsi, ma il gioco austriaco si ripete questa volta con una certa insistenza. Il primo colpo era dritto ma corto, il secondo ugualmente diritto è stato troppo lungo. Il terzo potrebbe essere giusto e siamo alla sua mercé. Se ci coglie in pieno ci accoppa perché la baracca non è protetta da nessuna parte e non ha parascheggie. Il terzo colpo scoppia più lontano che mai verso Oppacchiasella. Mi viene in mente il deposito di munizioni vicino al cimitero, lungo la strada. Se scoppia quello siamo fritti. Non ritrovano neppure i tacchi delle scarpe... ma la terza granata è caduta in una dolina più a destra dove una volta era piazzata una batteria da campagna e dove ora è la tenenza dei Carabinieri. L’Ufficiale era fuori ed i pochi carabinieri tutti in servizio. Uno solo, il cuoco rimasto a casa si è salvato buttandosi a capo fitto dentro un fifhaus in parte scavato nella roccia ed in parte di sacchi a terra. La granata ha scavato una buca in mezzo all’orticello e lattughe e fiori sono volati tutti per aria. Certamente ogni posizione è individuata e per ognuna il nemico possiede i dati di tiro. Trattengo i due nuovi Ufficiali a cena e quando mi accorgo che c’è più tranquillità li rimando alla loro sede nel Vallone.
     Telefona il Comando del Raggruppamento. Domattina alle ore sette trovarsi al Comando Divisionale di Artiglieria, quella della 20a Divisione. Va bene.
     22. — Altri informatori confermano la presenza dei tedeschi sul nostro fronte, annunziano imminente l’attacco ed anzi lo precisano nel giorno e nell’ora: il 23 alle 17. Bisogna prepararsi a resistere ed a controbattere, magari a prevenire. Ma le spie dicono ancora che l’attacco sarà preceduto da un bombardamento a base di gas lacrimogeni ed irritanti che durerà quattro ore e costringerà a levarsi le maschere. Allora saranno lanciati gas asfissianti e poco dopo avverrà l’attacco. Sarà vero? Non sarà vero? Vengono dati gli ordini più opportuni per evitare questo nuovo tranello.
     Faccio verificare se tutti gli uomini hanno le maschere contro i gas asfissianti e mando a provvedere il materiale che nuovamente distribuiscono e cioè, torce a vento, sacchi catramati per fare fuoco, bombe fumogene, razzi sibilanti per dare l’allarme ed altri colorati per i diversi segnali.
     Il tempo è piovigginoso ed il vento di nord-est potrebbe facilitare il lancio del gas.
     Prima di sera tutto il materiale è accumulato nella mia dolina e di notte faccio la distribuzione alle batterie in posizione, dando le necessarie istruzioni circa l’uso di ogni ingrediente. Faccio anche mettere vedette a distanza tale che possano farsi segnalazioni e ogni batteria, ogni sezione possa starsene tranquilla all’opera sua ed al sonno. In caso di allarme si mette la maschera e quando la nube asfissiante è prossima si accendono le torce e gli altri fuochi e si lanciano le bombe fumogene. I gas col calore si dilatano, si disperdono innalzandosi.
     23. - Non i gas hanno disturbato stanotte, ma quei tiri che tastano, cercano le posizioni, allungando e accorciando. Giù in posizione qualche pattuglia nemica è uscita in ricognizione ma è presto ritornata alle sue trincee lasciando qualche morto e qualche ferito. Dal Faiti e dall’Hermada i riflettori scrutano. C’è del movimento anche nelle seconde linee di trincee verso la Dolina Golden e Quota Innominata. Il comando di Artiglieria da ordine di concorrere al fuoco e dalla dolina del Muro, dalla Rimini e dalla Post partono le nostre bombe. Il fuoco dura breve tempo. Il  concentramento è stato tale che dove era il movimento ora è silenzio di morte e rovina.
     Domani avrò per la difensiva le batterie complete e in caso di offensiva potrò contare su quattro batterie e mezza, cioè quarantadue pezzi. Dalla Divisione si avverte che l’attacco nemico incomincerà oggi e che alle 17 tutte le batterie dovranno battere cadenzatamente i bersagli già fissati, senza esaurire le munizioni che dovranno invece consumarsi con larghezza al momento opportuno. Ogni bombarda da 58 ha una dotazione di 250 bombe ed ogni pezzo da 240 ne ha da 70 a 80. Per la giornata c’è quanto basta.
     Nella prossima notte farò i rifornimenti. Dopo qualche ora di tranquillità che potrebbe dirsi l’ora del pastore, alle 16 e mezzo circa il nemico intensifica progressivamente il suo tiro facendo concorrere le batterie lontane e battendo specialmente le retrovie donde vuole allontanare i possibili rinforzi e rifornimenti; ma noi, abbiamo prevenuto e non soltanto nelle posizioni non mancheranno uomini e munizioni, ma arriverà come al solito il rancio caldo. Alle 19 il tambureggiamento è intenso da ambedue le parti, alle 21 sembra una romba assordante di voci fatte rauche dallo sforzo, di metalli che vibrano faticosamente temendo di rompersi, di mille sibili, ululati, miaulii che s’incrociano nell’aria umidiccia della notte oscura e la terra ha un lieve e continuo tremito che diviene sobbalzo quando una granata la colpisce esplodendo.
     E allora la fiammata, la vampa chiara e scintillante, dirompe seguita poi dal fischio delle scheggie che volano lontano e che si sentono soltanto quando rasentano la testa e si perdono subito nell'uragano.
     Prendo il posto di combattimento al telefono e seguo le vicende delle varie batterie. La 172a chiede munizioni buone perché ne ha alcune avariate. La 120a ha sparato 80 colpi e continua. La 97a mantiene un fuoco lento per non scoprirsi troppo. Nessun ferito. La dolina Venezia è controbattuta. Lo sapevo. Ce l'hanno perché quando spara coglie nel segno. Raccomando di non sprecar munizioni ed intanto mando il mio esploratore a provvedere il rifornimento. I conducenti scendono con le carrette fin quasi in posizione sotto il bombardamento illuminati di quando in quando da fasci di luce, ma tornano tutti con la pelle sana. Anche questo è fatto. Chiamo nuovamente al telefono. Non rispondono. Linea interrotta. Due arditi guardafili saltano nella notte e giù attraverso. A 500 metri di strada trovano il filo rotto e fuso. Una granata. Allacciano e tornano su.
     Dalla Divisione si fanno premure. La Fanteria vuol sapere se be bombarde sparano. S’intensifichi ancora il fuoco. Va bene!
     Telefono al mio centralino: Cerquetti, Cerquetti! E' il coaporal maggiore telefonista ma non risponde. Ripeto, alzo la voce, provo l’apparecchio che funziona bene. Ho un ordine importante da comunicare ed il telefonista non risponde. Aspetto un momento e ripeto ancora: Cerquetti. Niente. Mi decido, prendo la penna e scrivo un ordine. Un porta ordini giù subito di corsa alla dolina Malta, consegna e telefona alla batteria. Se gli apparecchi sono rotti, tu e gli altri giù di corsa in posizione a far leggere a tutti. Corri, tira via, vai sicuro e passa tra una nespola e l’altra. Il porta ordini giovanetto ardito e robusto sparisce nel buio come una freccia. Dopo un quarto d’ora il telefono chiama. Sono io Cerquetti. Razza di un cane, dove eri? Ti credevo morto. Dove eri? Ti ho chiamato per mezz’ora, in questi momenti c’è un ordine urgente da trasmettere. Dove eri? Cosa facevi? Il telefonista che abbandona il suo posto è come la sentinella che lascia il suo, è un disertore, è un traditore, è degno di fucilazione. Devi stare con il ricevitore sempre all’orecchio, devi sedere sempre su cotesto sgabello. Se occorre devi crepare costì ma non devi allontanarti. Hai capito? Dove eri? Signor Capitano son caduti due bei trecentocinque qui vicino e Zurlo ed io siamo usciti a ricercare le scheggie ed i fondelli per portarli al Genio che ci darebbe dei soldi. Non ho avuto il coraggio di dirgli altro. Con quella nottata d’ inferno sotto quelle briscole un uomo che va allo coperto a meno di 800 metri dal nemico a cercare tranquillamente gli avanzi ancora roventi dei proiettili non è un vile; sia pure che il suo coraggio si impasti con l’ interesse. Ma allora c’è dell’altro. Cerquetti non cercava di procurarsi denaro per beverselo ma per mandarlo alla famiglia, e chi si espone così per la famiglia sente profondamente gli affetti e dunque è un buon soldato e un buon cittadino. Gli perdono.
     24. - L’attacco si annunzia molto energico e c’è da aspettarsi qualche cosa di più, ma intanto, sul mattino, l’intensità del fuoco sulla nostra fronte tende a diminuire, mentre si mantiene uguale verso Flondar Monfalcone e sulla Bainsizza, che tutta avvolta in una fumata brontola e rumoreggia continuamente. Sono informato che anche la Fanteria, e meglio, i Bersaglieri del colonnello brigadiere Ceccherini hanno avuto da lavorare stanotte ma gli assalti sono stati facilmente respinti con rare perdite nostre ma gravissime per il nemico.
     Volano nuovamente aeroplani austriaci-tedeschi (quelli rossastri sono proprio tedeschi). Si alzano i nostri cacciatori ed incomincia il torneo. Le batterie antiaeree tacciono per non colpire i nostri e soltanto qualche mitragliatrice batte l’aria con il rischio di sbagliare; poi tace anch’essa. Il nemico riesce a volare sul Vallone dove lascia cadere qualche bomba tre o quattro capanne volano in aria.
     Una bomba cade in mezzo ad una trentina di muli legati in circolo e ne uccide 12 con tre bersaglieri conducenti. Compiuta la prodezza tentano rientrare nelle loro linee ma trovano la via tagliata dai nostri. S’impegna un combattimento, le mitragliatrici cantano. Un nostro cacciatore insegue un austriaco che fugge e che cerca salvarsi con mille colpi di timone, lo raggiunge e gli si mete alle calcagna mitragliandolo. L’austriaco fugge e si abbassa con la speranza di essere difeso da terra ed infatti si sentono gli antiaerei nemici che sparano qualche colpo, ma i due sono così attaccati che anche i tiri sono impossibili. Il nemico è ferito ad un’ala, piega da una parte e scende.
     Il nostro lo insegue e lo bersaglia ancora fino a che non gli riesce di appiccargli il fuoco all’ala ferita. Allora l’austriaco precipita cercando di atterrare entro le proprie linee. Il nostro aviatore si assicura della vittoria poi si alza rapido e prende la direzione dell’Italia inseguito dalle scariche delle artiglierie nemiche.
     Gli altri non li vedo più: sono scomparsi.
     Nel pomeriggio si scatena un altro attacco nemico e noi rispondiamo energicamente. Dalle linee nemiche salgono nubi dense, bianche. Le vedette danno l’ allarme. I gas. Tutti mettono le maschere al viso e aspettano. Le nubi si disperdono in aria trasportate altrove dal vento. Forse era fumo. Ho mandato stamane lo scritturale del mio Ufficio a Redipuglia a portar certe carte al piccolo magazzino di Gruppo e non è ancora tornato. Alle 19 scende in dolina lo scritturale Loviselli. Barcolla, ha il viso contratto e la voce tremante. Lo interrogo ma non può parlare. Chiamo il dottore. E' paura dice. Si riposa, si rinfranca con un bicchier di vino e poi parla finalmente. Ecco che cosa gli e accaduto: tornando a piedi da Redipuglia sulla via di Doberdò gli è passato avanti un camion vuoto e gli è balenato un progetto che subito ha messo in atto. E' corso dietro al camion ma non è riuscito a salirvi ed è così rimasto attaccato dietro. Intanto risparmiava strada e salita. Il camion correva, aveva raggiunto la sommità della collina del Cernj-Crib in prossimità del bivio di Palikisce e stava per scendere nel Vallone quando una granata ha colpito in pieno il cofano, facendo saltare tutta la parte anteriore del carro e rovesciando indietro la parte posteriore. Il Loviselli non sa dire altro perché non ha capito più niente, si è ritrovato in un fosso e ha visto ancora il camion diritto, mutilato davanti al muso. Si è alzato, si è tastato, era incolume. Ha cercato il meccanico ed un altro soldato che gli sedeva accanto e non ha trovato che un brandello di cappotto attaccato ad un ferro. Allora gli è venuta una voglia matta di scappare e di corsa ha attraversato il Vallone, è salito a Oppacchiasella ed ora è qui come uno straccio. Ha la febbre. Febbre di paura. Ma l’ha cavata bella.
     25. — Altra notte in bianco. Si sono fatti rifornimenti di munizioni a tutte le batterie e specialmente alla 120a che soltanto ieri ha sparato 240 colpi e ha avuto il Capitano Micheli ferito e due bombarde sfoconate.
     Il Comandante ne aveva chieste 300, ma siamo stati appena in tempo a trasportarne 200 dal Vallone alla dolina 6 B. e alla dolina Rimini. Se si pensa che questo facchinaggio si è fatto allo scoperto, sotto il fuoco, in gran parte a braccia per la impossibilità di fare avvicinare veicoli alle posizioni e che per giunta i due camions richiesti sono arrivati alla una, non c’è da lagnarsi. Gli uomini della 139a che aiutavano la 120a hanno faticato sei ore senza riposo. Le bombe pesano 16 chilogrammi e 29 quelle più grosse del calibro 58. E' un bel peso. Il comandante però non è contento e telefona che ha già ricominciato a far fuoco e che le duecento bombe gli basteranno si e no per la giornata e chiede altre trecento bombe per la sera. Ho pochissime carrette a disposizione, i muli sono stanchi. Debbo far poi il rifornimento alle batterie da 240 le quali consumano minor numero di proiettili ma pesano 67 chili e malamente si portano a spalla. Chiedo il concorso di un camion ma non ottengo promessa.
     Il Comandante di Artiglieria chiede notizia sull’efficacia del fuoco e raccomanda che sia mantenuto costantemente. Sarà una giornata molto calda. Tutte le artiglierie si svegliano e formano una cortina di fuoco davanti alle nostre linee. Il nemico tenta di avanzare ad ogni costo ed avanza buttandosi avanti a plotoni affiancati sotto un fuoco micidiale. Oscilla sotto le raffiche nostre, poi riprende lena, ricompone i vuoti che si formano numerosi e quando il terreno è ricoperto di cadaveri si ritira con gli avanzi. Sembra persuaso, ma dopo un'ora o due ritorna con maggior violenza e regolarmente ne tocca. Non riesce ad oltrepassare la siepe di fuoco che gli hanno costruita davanti i nostri cannoni e le nostre bombarde. La linea di fanteria resiste meravigliosamente e nelle nostre trincee non un varco si apre, non uno strappo nei reticolati nostri. Verso sera passano alcune barelle. Come è andata? Domando. Bene, pochi feriti e pochissimi morti. La 172a batteria della dolina Post unica postazione utile per questa azione ha sparati una cinquantina di colpi durante la notte e alle quattro altri dodici. Sta sparando ancora senza aver subita alcuna perdita. Dalla dolina del Muro anche la 97a si batte fieramente ma alle 5 e 15 è scoppiata la bombarda n. 98 di matricola senza far vittime. L’incidente è strano. La bombarda era stata caricata con la sua bomba e l’Ufficiale era sul punto di far fuoco, quando si è accorto di un guasto al foro di focone che poteva produrre la fuoriuscita di esplosivo e di fuoco verso la batteria ed investire i serventi. Allora all’innesco solito ha fatto sostituire un lungo pezzo di miccia che ha fatto accendere, ordinando poi a tutti gli uomini di ricoverarsi in caverna. Proprio in questo momento un proiettile oppure una scheggia nemica imboccando la volata della bombarda ha colpito la spoletta della bomba già collocatavi per il lancio e ne ha provocata l'esplosione che ha naturalmente frantumata anche la bombarda. Vittime però nessuna e per vero miracolo.
     Alle ore 16 mi vengono promessi otto camions che saranno alle 9 al cimitero di Oppacchiasella. Meglio così. Sto telefonando la notizia alla Batteria quando un rullio di treno diretto in marcia mi annunzia l’avvicinarsi di un grosso calibro. Non ci fò caso ma il rumore si fa subitamente così intenso che i due o tre uomini rimasti allo scoperto a lavorare fanno un balzo e si rannicchiano nella caverna. Uno schianto orribile, lacerante, una fumata mista allo spolverio della terra mi stordiscono e mi acciecano. La colonna di fumo si alza ancora li davanti a pochi metri sull’orlo opposto della dolina, presso la tettoia della barroccina e sopra la scuderia. Aspettiamo qualche secondo la grandine dei sassi che questa volta è composta di massi di parecchi chilogrammi i quali cadono pesantemente anche sulle nostre baracche mettendo a prova i blindamenti. La mia e quella del Dottore sono senz’altro sfondate in più punti e conviene mettere altre lamiere perché non piova dentro. Andiamo a vedere gli effetti dello scoppio. Un buco in terra largo due metri e profondo uno, e nient’altro. La barroccina intatta, soltanto la tettoia sta ritta con tre gambe, la quarta, una grossa tavola di abete, è portata via di netto e sparita. Anche i cavalli sono incolumi. La cavallina, che è a mia disposizione per sella, non ha neppure smesso di mangiare e sdegna le missive del nemico. Ma la vittima c’è. Il merlo è morto, colpito nella sua gabbia da una sottilissima scheggia di acciaio o di pietra che l'ha leggermente insanguinato. Non sono superstizioso e non credo a certe sciocchezze, ma la morte della mascotte, oggi durante quest’azione che gli stessi comandi considerano seria, mi ha fatto impressione. Salgo nuovamente al mio osservatorio e vedo il Faiti nuovamente in fiamme. Sulla Bainsizza si combatte accanitamente. Anche più in là, verso il Monte Santo, Gorizia, S. Michele, Vodice, rumoreggia il cannone, ed ogni quota, ogni sella s’infiocca fittamente di fumo. Le nostre batterie riaprono il fuoco e fanno un rumore assordante. Ma non è dunque vero che siamo in pochi e che molti cannoni sono andati via. Dove? Chi sa? Ce ne sono sempre abbastanza per respingere il nemico ed il nemico non verrà avanti. Gli altri faranno come noi. Domani certamente passeremo alla contro offensiva, ma io ho già pronto lo schieramento nuovo e in due o tre ore, previo qualche piccolo spostamento di posizione, posso fare entrare in linea anche la 139a batteria che è al riposo e concorrere al fuoco con tutte le forze.
     Voglio far preparare l’esecuzione che ritengo sicura per domani, ma non vedo giungere i camions promessi. Telefono, sollecito e finalmente alle 23 e venti ricevo questo fonogramma: “Cotesto Comando provveda al trasporto materiali con mezzi propri essendo stato sospeso, ordine superiore, invio dei camions”. Sono fritto!
     26. — Terza notte in bianco. Ho dovuto sacrificare ancora una volta i muli sfiniti e nelle poche ore disponibili della none abbiamo fatto qualche cosa, ma il giorno ci ha colti in posizione e le batterie non hanno sufficienti munizioni per una offensiva. La 120a Batteria ha sparati ieri 351 colpi, la 97a, quattro, la 172a, 26 colpi; un solo ferito alla 120a.
     La battaglia nel nostro settore sembra allentare un po' ma di mattinata si dice male. In ogni modo Cadorna ha detto che il nemico ci troverà saldi e ben preparati. E lo siamo, tanto è vero che non gli è riuscito di venire avanti. Ora tocca a noi conquistare l’Hermada. Siamo pronti. Ore 8 chiamata urgentissima al Comando Divisionale di Artiglieria.
     Ecco l’offensiva. Parto con il mio progetto e lo schizzo di schieramento. Non c’è nessuno. Finalmente ecco il mio Colonnello con la pipetta in bocca ma il viso rabbuiato. Andiamo avanti? domando. Ma che! Dobbiamo andare indietro. Rimango li come un cretino. Non ci credo. Il Colonnello aggiunge un “purtroppo” che mi fa cadere di mano il progetto di schieramento offensivo. Raccolgo e ficco in tasca, domando: Dove? Non si sa bene ma ora daranno gli ordini. Nell’interno del Comando c’è un via vai e un lavorio insolito di conferenze e di fonogrammi. Gli ordini partono uno dietro l’altro e intendo qualche frase. Far fuoco tambureggiante, poi ritirare i pezzi nelle nuove posizioni. Altre munizioni? non ne mandiamo più costà. Le troverà sulla nuova linea. Esce un Ufficiale di Stato Maggiore e riesco a carpirgli di mano la carta del nuovo schieramento. Cavo di tasca il primo pezzo di carta che incontro con la mano. (E' una letterina del mio Guido) e lucido in fretta la parte che mi riguarda. Dio! Da Castagnevizza e da Selo dobbiamo ripiegare sopra Oppacchiasella. Io dovrò prendere posizione sull’orlo orientale del Vallone fra la strada di Oppacchiasella e quella di Nova Vas, dietro il trinceramento in cemento armato che sta come appiccicato sul costone, e dovremo batterci così, noi in basso col precipizio alle spalle, e loro invece in alto e comodamente nascosti nei ripari che noi lasciamo indietro. Ma perché? Noi vinciamo. Le cose sono andate bene. La resistenza è tenace. Il nemico non ha fatto un sol passo avanti. E perché ritirarsi? Pare che non sia così dappertutto mi rispondono. La terza armata ha resistito, ma la seconda no. Il nemico ha sfondato.
     Mentre sto per tornare a piedi per la scorciatoia con l’ordine di ritirata e lascio a capo basso la baracca del Comando, passa per aria un nespolone che scoppia nel fondo valle, poi un altro colpisce la strada di fronte ed un terzo che, passando sopra le baracche divisionali defilate del costone est, va a sbattere poco più sotto in una scogliera e rimbalza scoppiando per l’urto in uno sminuzzamento di scheggie che si irradiano nel vallone senza far male a nessuno. Accipicchia se tirano oggi!
     Tirano dappertutto. Fino a Redipuglia e S. Pietro Isonzo e Gradisca, a Villasse, a Sagrado. Per tornare a casa debbo studiare l’itinerario e tenermi lontano dalle batterie che sparano e che sono bersagliate dal nemico. Vicino ad Oppacchiasella mi fermo ed osservo. Battono il nodo stradale così importante e così bene indicato dai muri diroccati del paese.
     Uno, due, tre colpi, e poi cercano altri bersagli. Allungo il passo ed arrivo a casa. Ho invitati ad una riunione tutti i comandanti di Batteria i quali arrivano precisi per vie diverse ma tutte ugualmente scomode e poco igieniche. La notizia del ripiegamento li colpisce e li abbatte. E' inutile deplorare, bisogna agire. I mezzi di trasporto sono limitatissimi, perché camions non si hanno e con le carrette nostre non si trasportano armi e munizioni. Intanto la 139a che non è in posizione provvederà a trasportarsi con tutto il materiale a Redipuglia, quindi concorrerà ad aiutare le altre batterie. La 172a e la 92a franno fuoco tutto il giorno consumando le munizioni e nella notte trasporteranno i pezzi nel Vallone. La 120a rimarrà in posizione e farà fuoco intensissimo.
     Mi provo a chiedere camions e con mia meraviglia domandano quanti?
     Dieci camions per la nottata intera, 20 per mezza nottata. Ma per essere più sicuro chiedo 12 carrette da fanteria che unite alle nostre 14 possono fare un servizio sussidiario. Intanto in dolina si fanno le valigie. Tento di trasportare qualche baracca e qualche mobile, ma al solito mancano carri e cavalli. Ci limitiamo alle carte di ufficio ed al materiale in carico, al nostro bagaglio personale, alle cucine e servizi da tavola.
     Sul carro bagagli c’è ancora un poco di posto ed il dottore che dirige l’operazione mette su tutto quel che può. Alle 18 il carro di Gruppo parte e con esso sloggiano il dottore,l’aiutante maggiore che si sente male, i cucinieri, gli attendenti e vari uomini per preparare gli alloggi nella Dolina Novara presso Doberdò. Restano con me l'ufficiale alle munizioni, l'ufficiale esploratore e due telefonisti. Prima di notte assistiamo ad un'altra battaglia aerea finita con la fuga degli austriaci, i quali però poco dopo sbucano fuori all’improvviso e attaccano i  dracken che si librano in aria sulla collina del Cerni-Grib. Gli apparecchi sono quattro e quattro sono parimenti i dracken ma tre all’apparire del nemico si abbassano mentre il quarto sfida impavido le scariche di mitragliatrice che il nemico gli regala, girandogli intorno ferocemente. Un apparecchio da caccia italiano comparso all’orizzonte salva l’ardito osservatore da una catastrofe quasi sicura ed insegue il nemico fin dentro le sue linee. Cala la notte e subito incomincia il movimento del nostro ripiegare. Si tratta di poche centinaia di metri, ma ripiegare dispiace sempre. Mi voglio assicurare che i camions verranno ma non riesco ad ottenere risposta. Ho racimolato tutte le carrette del Gruppo e le ho mandate a caricare i tubi di lancio che porteranno nel Vallone. Poi torneranno, e in varii viaggi riusciranno a sgombrare almeno una batteria.
     Telefono nuovamente e la promessa dei camion è confermata. Sono le 22 e non si vede nessuno. Lascio la dolina ed arrivo alla piazzetta di Oppacchiasella presso il luogo convenuto per l’appuntamento ma non c'e’ l’ombra di una carretta. C’è soltanto il carabiniere di servizio, più avanti scorgo un’ombra. Mi avvicino. E' un capitano bombardiere che aspetta anche lui dei veicoli e mi racconta: — sei carrette le ho già, le ho incontrate per via, dovevano fare un altro servizio ma io le ho portate via. Erano le mie, sussurro, e le voglio, aggiungo non senza lagnarmi con il collega del suo sistema semplicista di arrangiarsi. Infatti un quarto d’ora dopo le carrette arrivano ma i camions no. Faremo quel che sarà possibile.
     Alle due mi si avverte che i camions d’ordine superiore sono stati destinati ad altri servizi.
     Ma io devo portare i pezzi nelle nuove posizioni ed essere pronto a sparare domani. Mi mangio le mani e passeggio su e giù come un orso. Ormai non ho più letto né roba qui in dolina e domani dovrò abbandonarla; con quanto dolore non so esprimere.
     27. — Di buon ora le batterie che hanno vegliato e faticato molto, comunicano che hanno smontati tutti i pezzi uno alla Volta, mentre gli altri sparavano, e quindi trasportati al Vallone meno quattro della 172a che si caricheranno di giorno. Le munizioni non si possono trasportare senza mezzi ma sono ridotte a poche. Riforniremo le batterie col deposito del Raggruppamento che è a Doberdò. La 120a ha divorato altre 250 bombe e ormai non le resta che la dotazione di 100 bombe a pezzo. Alle 9 le ultime bombarde da 240 sono arrivate al Vallone Ritiro il centralino telefonico, gli apparecchi, il filo e tutti gli uomini sparsi ai loro posti, sospendo i lavori dell’osservatorio, consegno precise istruzioni scritte al Comandante della 120a che deve restare in posizione con la fanteria e con gli uomini ed il materiale rimasto sono pronto a ripiegare. Sono ancora allacciato al Comando di Artiglieria e prima di muovermi domando istruzioni. Il tenente Pettinelli è all’apparecchio e tiene il ricevitore all’orecchio. D'improvviso una scarica seguita dalla solita pioggia di sassi e di proiettili si abbatte vicino a noi. Il tenente Pettinelli sussulta violentemente, il telefono è interrotto. Il tenente ha sentito una forte scossa ma non si tratta che di un proiettile che scoppiando ha interrotto la linea.
     Un guardafili corre fuori e ritorna poco dopo portando in braccio un magnifico scheggione di 305 ancora caldo. Lo porterò con me. La linea è riparata in un attimo. Ordini nuovi non ci sono. Si porta via l’apparecchio, si ritira la linea ultima rimasta e parto.
     Per via un ciclista mi consegna un biglietto. Leggo: sgombrare subito dal Vallone e scegliere postazioni sul ciglio ovest di essa, fra il Cerny - Crib e la strada di Palikisce. Dio mio che cosa succede mai? Un altro arretramento. Mando in fretta gli ordini e prima di mezzogiorno la 172a e la 97a hanno portato a destinazione metà dei loro pezzi. Io vo cercando invano nella zona assegnatami una sola postazione che sia buona per le mie bombarde. Non ci sono vere doline, sono buche senza defilamento e senza piazzuole. Dovremo combattere allo scoperto e con lo svantaggio del terreno. E poi chi fa le postazioni? Chi porta le bombe e dove si riparano se non c’è neppure una caverna? Scegliamo le postazioni neno indegne e ci prepariamo al nuovo cimento. Siamo dietro ad una linea di trincee murate ma deserte mentre la linea di Oppacchiasella era armata e difesa. Qui pero c’è l’artiglieria da campagna che, arrivata prima di noi, si è sistemata un po' meglio. Alle 14 ottengo finalmente 6 camions che mi arrivano due alla volta. Uno lo mando al Vallone a caricare le bombarde ancora rimaste, due li metto a disposizione della 97a per lo sgombro del materiale e delle munizioni, uno per la 172a e l’ultimo per la l39a. Intanto mando, a Redipuglia il carro bagaglio con una prima spedizione di roba e prendo sede nella Dolina Novara.
     Ore 16: gli avvenimenti incalzano. Il Comandante del Raggruppamento mi chiama d’urgenza e mi mostra l’ultimo ordine ricevuto che contiene in sé tutta l’amarezza di una sconfitta.
     Si facciano subito saltare in aria i pezzi, si abbandoni tutto il materiale, e gli uomini, con quello che si potrà salvare, si raccolgano stasera oltre l’Isonzo, avvertendo che i ponti saranno fatti saltare alle ore 19. E' finita! Ma non per colpa nostra. Comunico gli ordini alle Batterie. La 172a ha portati 6 pezzi a Redipuglia dove già si trovano quelli della 139a che avevo ragione di ritenere salvi. La 97a approfittando di un camion ha mandato quattro pezzi a Terzo con la speranza che per ferrovia si possano salvare.
     Alla 120a trasmetto con vera emozione un ordine di onore.
     “Rimarrà in posizione sparando continuamente fino ad esaurimento di munizioni quindi farà saltare i pezzi e si ritirerà con le fanterie”. Consegno da me quest’ordine scritto al tenente Bicelli che è giovane ed ardito comandante e gli stringo forte la mano ben augurando. Bicelli, sereno e calmo, mi risponde: — Non dubiti, farò il mio dovere, e torna su in posizione. Povero figliolo! Forse dovrà sacrificarsi con tutta la Batteria. E pensare che da marzo non hanno avuto Un sol giorno di riposo!
     Arriva il carro del Gruppo a lo faccio scaricare lì sulla strada. Bisogna scegliere le cose più necessarie ed abbandonare il resto.
     Così i sacchi dei corredi, casse di stampati bianchi, arnesi da zappatore, mobili, teli da tende, tutto si ammucchia in terra.
     Si ricaricano le carte di ufficio, le armi, le cucine, i telefoni, il materiale sanitario, gli esplosivi, le cassette ufficiali ed i viveri di riserva. Il carro e già carico e riparte diretto a Redipuglia. Parte anche un camion con il materiale delta 172a  Batteria e con una bombarda. Sopra vi stanno ancora parecchi soldati i quali mi assicurano di aver fatto saltare le altre bombarde giù nel Vallone.
     Ma perché scappare? Il mio colonnello Biego di Costa Bissara, passa nella sua motocarrozzetta e si ferma. “I tedeschi sfondano a Tolmino e si sono precipitati su Cividale ed ora forse sono ad Udine. Siamo accerchiati sul fianco sinistro e forse lo saremo presto anche alle spalle; non c’è tempo da perdere. Riunione a Topogliano stasera”. E parte in velocità. Resto annientato. Passa un altro carro della 97a; al Vallone non c’è più nessuno, mi dicono. Le baracche sono vuote, i magazzini sono stati aperti e la roba distribuita ai soldati. Cominciano a scendere dalla prima linea le fanterie a scaglioni. I cannoni tacciono e quelli pesanti sono sulla via sotto al traino. Ecco quelli di Doherdò che scendono lentamente tra gli ultimi. Il movimento della mattina è andato sempre più a diminuire ed ora passano rare carrette e le Batterie più lente e più lontane. Gli aeroplani nemici vengono a spiarci ed a ridere. Maledetti!
     Ce n’è uno lassù che perseguita con la mitragliatrice una colonna di fanti discendenti per un sentiero fiancheggiato da un muro. I fanti non se ne accorgono e non se ne danno per intesi e l’uccellaccio scende più basso ed indisturbato per colpire meglio la preda.
     Non posso fare a meno di gridare: “a terra, a terra, guardatevi”. Finalmente hanno visto, si fermano e si riparano. A proteggerli viene da lungi un nostro apparecchio che aggredisce con violenza da vicino, spinge l’avversario indietro verso la valle e lo colpisce a morte. L’austriaco si abbatte proprio sul lago di Doberdò.
     Il nemico disturba con altri mezzi. Ora ha allungati i tiri per colpire proprio sulla via della ritirata. Forse ha saputo e gode della nostra sventura. Guai se facesse un vero tiro di sbarramento sulla linea dell’Isonzo. Ho avviati a Redipuglia quanti più ho potuto ma ci sono ancora molti uomini indietro. Ho con me la barroccina ed il cavallo. Mando l’Ufficiale esploratore al Vallone per sollecitare i ritardatari. Ho la responsabilità di tanta gente e non voglio abbandonarla. Sono un po’ inquieto. Sono le 17,30 e penso a quei ponti che dovranno saltare tra un’ora e mezzo. Passerò a nuoto. Mi viene un’idea: avranno fatto già saltare le bombarde portate nella posizione del Cernj-Crib? Ho finito ora di bruciare le carte topografiche con vecchie ma importanti indicazioni, un gran rotolo di carte che hanno formato un grande braciere e non ho certezza di aver distrutto tutte le armi. Sono solo, a piedi. Come fare? Passa una carretta guidala da un soldato semi ubriaco. Lo fermo, vi monto su, e mi faccio portare in posizione. Attraverso il paese di Doberdò fatto ormai segno a colpi frequenti. Risalgo la collina, raggiungo il bivio di Palikisce e scendo.
     Ancora quattro bombarde sono lì intatte.
     Un sergente e sei uomini stanno intorno intontiti e non fanno niente. Li sveglio con due urli: “Avanti, presto, distruggere ed andar via”. Non abbiamo gelatina esplosiva, non abbiamo bombe né micce né polvere, come si fa?
     “Come si fa? — Rispondo. — Con le mani armate di mazza”. Abbandonate lì vicino trovo due mazze e faccio colpire prima gli affusti, poi con insistenza e con forza faccio battere sopra i tubi di lancio. Due si rompono nella volata, uno si schiaccia nella bocca, ed è reso inservibile, il quarto è più ostinato. Mi viene un’idea, cerco una bella pietra grossa e rotonda e la provo alla bocca dela bombarda. Non entra. Giù a colpi di mazza gliela faccio ingollare, gliela faccio scendere fino alla camera di scoppio. Poi faccio battere ancora sul tubo che cede sensibilmente.
     La pietra non esce più. Gli austriaci non avranno nelle mani una sola bombarda sana. E ora giù a gran trotto, grido ai miei soldati e ci mettiamo in viaggio. Ripasso dalla dolina Novara e guardo con dolore il mucchio della roba abbandonata. Poco più là c’è il deposito delle munizioni. Ci sono più di duemila bombe. Non regaleremo neppur quelle al nemico. Dietro a noi scendono le squadre del Genio che incendiano e distruggono tutto ciò che abbiamo lasciato. Anche i depositi di munizioni all’ultimo momento saranno fatti saltare. Non si vede la fretta né il disordine. E' una ritirata, non una fuga.
     Raggiungo un cannone da assedio trainato dai nostri soldati; c’è un mio ufficiale che mi spiega che il comandante di quella batteria non voleva abbandonare né far saltare quel pezzo che non poteva trasportare per mancanza di uomini e di cavalli, ma non si muoveva di lì, si era raccomandato ai bombardieri, e i bombardieri che avrebbero potuto passare l’Isonzo correndo, hanno preferito salvare il cannone e sudare. Bravi ragazzi! L’ufficiale di Artiglieria è raggiante, il pezzo procede lentamente ma procede e questo basta.
     Passo avanti e continuo la via dolorosa, da solo, perché i pochi nomini che avevo con me si sono uniti al traino. Ad un certo punto sento dietro a me il rumore di un camion che si ferma ed una voce che mi chiama. Salga salga! E' pieno dei miei soldati racimolati da un tenente. Gli ultimi? Ce ne sono più indietro? No. Allora salgo anch’io. In pochi minuti siamo a Redipuglia dove già si sono raccolti quelli partiti prima, il camion e le carrette.
     Passando vicino ad un piccolo cimitero mi vien fatto di pensare ai cimiteri grandi di Ferleti, di Boneti, di Oppacchiasella ed alle tombe sparse e disseminate sul Carso dove quasi ogni dolina è un sacrario e custodisce degli eroi. Povere tombe di martiri e di eroi che siamo costretti ad abbandonare! Povere tombe che erano compagne dei vivi entro ogni riparo e che i vivi custodivano amorosamente, religiosamente portandovi ogni giorno un piccolo abbellimento.
     Raccolgo i soldati presso il magazzino vestiario del mio Gruppo e faccio una larga distribuzione di roba a tutti. Chi si prende scarpe, chi biancheria ed anche io un paio di scarpe e due paia di calze pensando che avrò da camminare molto e che le mie cassette sono andate a Terzo con la speranza di poterle spedire. Ho mandato a Terzo anche il mio attendente Zuliani. Vuotato il magazzino, riempio, quanto più posso, di soldati i due camions che ho a disposizione, ma ne restano a terra più della metà. Manca la 139a Batteria, perché si è avviata con altri camions e carrette. Molti soldati della 97a e della l72a sono stati chiamati al traino di artiglierie e li vedo scendere in lunga fila dalla strada di Doberdò, tirando le funi. Pochissimi sono i mancanti. Non c’è tempo da perdere, sono quasi le 19 ed io parto con il primo scaglione lasciando altri ufficiali con il secondo. Rimanderò indietro i camions non appena rimessi in libertà. Le vie del Carso sono ormai quasi deserte. C'è qualche lento traino che passerà i ponti lesto ed in tempo, c’è qualche disperso che si affretta verso il fiume. Tutti però sono calmi e fiduciosi. Nessuno ha perso la testa. I miei ufficiali e soldati sono vicini a me. Da oriente, al disopra del Carso, arrivano vari colpi di granata diretti alle strade ed ai ponti. Dall’alto diversi apparecchi nemici, ormai indisturbati, lanciano sui paesi bombe, librandosi a bassa quota e osservando.
     A nord, verso Gorizia, si sentono rombi incessanti, ma anche in direzione di Udine c'è molto rumore di artiglieria. Che abbiano raggiunto la città? Che siano alle nostre spalle? Il cannoneggiamento è intenso e sembra estendersi anche nella regione di Palmanova. Un’angoscia tremenda mi assale che non è descrivibile.
     Sono dinanzi ad uno dei momenti più tristi della mia Patria che in tre ore deve perdere ciò che ha conquistato in tre anni di sacrifici e di sangue. Ho la chiara percezione che non ci a1veremo. Il  nemico verrà giù a tagliare in due la colonna lunghissima. Noi siamo in coda. Meglio morire che cader vivo nelle mani dei Croati!
     L’aria si oscura ma a Nord è uno scintillio e un lampeggiamento di vampe. La battaglia è disperata. La resistenza grande. C’è là chi si sacrifica per salvare noi. Anche sul Carso si accendono fiamme sinistre e lingue di fuoco punteggiano i monti e le valli rischiarando l’aria. Sono le squadre di distruzione che scendono insieme con gli ultimi arditi, incendiando e distruggendo costruzioni e munizioni, magazzini e armi. Nulla deve restare in mano al nemico.
     Passano due soldati di artiglieria e raccontano:
     Gli arditi sono rimasti in trincea fino ad ora, facendo con i razzi tanti segnali che gli austriaci non hanno capito nulla e sono rimasti fermi. Le bombarde hanno sparato fino all’ultimo. C’è sul Cernj-Grib una batteria di Gruppo destinata alla morte. Il comandante spara continuamente. I pezzi hanno la voce fioca, sono roventi e le granate cadono a poca distanza, ma basta che si senta il colpo di partenza e che il nemico sappia che c’è qualcuno a difendere ancora le posizioni. Intanto gli altri, i più si avviano doloranti, ma calmi, con passo lento ed ordinato, verso l’Isonzo, l’oltrepassano, si incolonnano negli itinerari prestabiliti che si affollano di carri, di camions, di salmerie, di pedoni, tutti volti verso occidente, in silenzio.
     A Redipuglia il transito è quasi cessato, e siamo rimasti quasi soli noi bombardieri a raccogliere quanto ancora possiamo della nostra roba.
     Sono le 18,30, fra mezz’ora dovrebbero saltare i ponti. Non c’è tempo da perdere ma con tre soli camions non posso portare tutti gli uomini. A piedi la via è lunga. Prendo una decisione. Carico quanti più posso sui camions e via di corsa alla volta di Topogliano dove si concentreranno tutti i bombardieri del mio Gruppo, ma giunto a Sagrado, prima di imboccare il ponte dell’Isonzo mi fermo ed interrogo il carabiniere di guardia ed i soldati del Genio che vanno su e giù per le scale lungo i piloni: Ci sono ordini di far saltare il ponte? Possono i camions tornare indietro a Redipuglia e ripassare l’Isonzo tra un’ora?
     Nessun ordine di brillamento è stato dato ma tutto è pronto, la dinamite è posata nelle nicchie ed i fili per l'accensione elettrica aspettano soltanto la scintilla.
     Riprendo la corsa e con emozione percorro il ponte bellissimo inaugurato appena da tre giorni. Quante fatiche, quanto denaro e quante speranze stanno per saltare in aria! Passato appena l'Isonzo, fermo, faccio scendere i soldati che si incolonnano a piedi verso Topogliano e ordino ai camions di tornare di corsa a Redipuglia a prendere altra truppa, portarla oltre il fiume e ripetere il servizio fino a che non siano tutti passati. Potrebbero essere tagliati fuori.
     Manca la benzina nei motori. Un ufficiale accompagni le macchine al deposito (ormai deserto) di Gradisca, faccia in qualunque modo un rifornimento, anche vuotando i serbatoi di altre macchine, anche con la pistola alla mano, vada e torni. Io mi avvio con il primo scaglione mentre i primi colpi nemici cercano nel buio il ponte per tagliarci la via. Piove a dirotto.
     A Topogliano sosto sotto la pioggia con l'animo inquieto. I camions non tornano, gli altri miei soldati non arrivano. Dal Carso scendono bagliori sempre più frequenti, sempre più grandi che di tanto in tanto illuminano il paese e la via. Nulla.
     Passano pochi carri e qualche salmeria ritardataria; nessun fante.
     Quasi due ore d’indescrivibile angoscia e sto per decidermi a tornare a piedi verso il ponte, ma un rumore di motori mi trattiene. I camions arrivano, si fermano, scende l’ufficiale. Non ho trovato, mi dice, a Redipuglia più nessuno. Tirano sul ponte e tra poco le mine brilleranno. E' passato sul ponte solo, in bicicletta, il comandante della 120a batteria, quella rimasta in trincea. Mi ha detto: Siamo rimasti fino in fondo, l’onore è salvo, i pezzi saltati, gli nomini quaggiù tirano quasi di corsa un pezzo da 149, sono tutti, vo con loro e sparisce nella notte.
     Una colonna si avanza, sono i miei soldati silenziosi e tranquilli.
     Hanno passato il ponte di Villesse sotto il bombardamento di un aeroplano che per la pioggia si è presto dileguato. Ho degli ordini:
     Ogni batteria bombardieri concorra al traino dei pezzi del 13° Gruppo di assedio. Le trattrici ci sono e non ci sono. I pezzi devono essere portati verso il Tagliamento. Trovo il Colonnello del 12° Raggruppamento d’assedio e sento la voce del suo Aiutante Maggiore. La conosco. E' voce amica. Carlo Mocenni ed io ci incontriamo e ci baciamo esprimendo con una stretta di mano tutta la nostra tristezza.
     Uno ad uno sfilano i nostri cannoni facendo con i loro cingoli un sordo rumore come di schiaffi dati sul fango. Ci sono alcune trattrici che marciano assai velocemente. Ma alcuni pezzi debbono essere portati a braccia e alle funi si attaccano senza indugio i miei uomini, cinquanta per pezzo e spariscono nella via.
     Il mio attendente arriva in bicicletta da Terzo e mi porta una brutta notizia che i treni non partono e che le mie bombarde portate a gran fatica fino a lì e che io credevo in salvo, dovranno anch’esse subire la sorte delle altre e salteranno insieme con i depositi militari e la stazione stessa. Anche la mia roba, anche le mie cassette e quelle di altri ufficiali sono state perdute.
     Non posso occuparmi del mio corredo ed il mio Aiutante Maggiore tenta una spedizione di uomini fidati che porterà in salvo quel che potrà. Intanto mando Zuliani a Cervignano per veder di poter salvare la mia bicicletta e l’altro bagaglio ma senza speranza. Gorizia è stata sgombrata soltanto in parte; molta popolazione è rimasta, il saccheggio ha diminuito la preda del nemico il quale si è precipitato su Cividale e Udine.
     A Cervignano non stanno ad aspettarlo e quello che non fa l’incendio fa il saccheggio che dinanzi al nemico invasore non è delitto ma necessità di rappresaglia. E il nemico ci insegue e ci incalza da due parti. Non sento né stanchezza né fame, sebbene da ieri non abbia mangiato e non abbia dormito da parecchie notti. Soltanto penso che ho con me, anzi sopra di me, tutto il corredo che posseggo e tutto il mio bagaglio. Nella casa di una donna povera e sgarbata assai, trovo almeno un fuoco acceso per riscaldarmi un poco ed asciugarmi ed in mancanza di catinelle mi lavo mani e viso... nel paiolo della polenta. Intanto la barroccina del Gruppo mi ha raggiunto e vi salgo su col mio Aiutante Maggiore dopo essermi assicurato che tutti i miei uomini mi hanno preceduto.
     28. - Nottata di inferno. Anche più infernale della giornata di ieri che si ricongiunge con quella di oggi senza un minuto di sosta, senza possibilità di riposo. Ho camminato sulla barroccina tutta la none sotto la pioggia continua che forse è stata provvidenziale per noi, perché ha trattenuto il nemico e gli ha impedito di raggiungerci e, finora, di accerchiarci, ma siamo sempre dentro la sua morsa e difficilmente potremo uscirne. Ho lasciato Topogliano alle due. Era partito il mio colonnello, era scomparso Carlo Mocenni ed il paese era quasi deserto. Dal Carso e dall’ Isonzo giungevano continui boati e bagliori sanguigni rischiaravano la caligine nella quale eravamo immersi.
     Un’esplosione terribile che scuote la terra sotto i nostri piedi ci annunzia l’opera ultima del Genio che ci segue devastando, incendiando e distruggendo, e sbarrando con le mine la strada al nemico.
     Certamente è saltato un deposito di munizioni. Un incendio illumina tutto intorno a noi di una luce rossa abbagliante e fumosa e si ode un altro scoppio formidabile. Sono i paesi graziosi e lindi della regione pedecarsica che bruciano, sono i ponti di Villesse e di Sagrado che saltano.
     Mi si stringe il cuore e mi passo una mano sulla fronte. Sogno forse? No, pur troppo. Altri scoppi ed altri bagliori si alternano e non si contano più.
     Piove sempre e l’avvilimento mi prende, quasi la vergogna della fuga. Ma la riflessione e la volontà lottano con me. Non è fuga questa e non è volontaria, ma comandata. Tristissima necessità di cose che non so valutare perché ignoro la nostra situazione attuale, ma che certamente è necessaria.
     Il cavallo trotterella sulla via quasi sgombra, oltrepassa qualche mulo e qualche carretta, raggiunge qualche traino a cui dedicano tutte le loro giovani forze i miei bravi soldati, che pur grondanti di sudore e di pioggia hanno buttato via perfino il loro pastrano per essere più liberi di muoversi e di tirare il loro pezzo, che dovrà proteggere la ritirata. Al Tagliamento? Al Piave? Chissà?
     Più vo avanti e più cresce il movimento della via. Sono volti tutti dalla medesima parte gli esuli del Carso, ma sono tutti del Carso e della terza Armata? Quando incomincia ad albeggiare scorgo nomini e cose che non hanno percorsa la nostra via ma che muovendo da altri punti del fronte si sono incanalati sulla nostra via, come ruscelli in un fiume e di questi affluenti ne troviamo sempre ad ogni via traversa, ad ogni sbocco.
     Soldati dispersi, brigate nuove, fanti disarmati e laceri; muli faticanti sotto un pesantissimo carico e poi e poi... per l’agglomeramento siamo costretti a fermare. Non si precede più? tutte le vie discendenti dal Carso, dalla Bainsizza, dalla Carnia, sono trasformate in torrenti umani, e poco alla volta cercano di scaricarsi sulla via principale che è un fiume grosso e torbido, ed ingrossa e si intorbida ad ogni crocicchio ed a ogni confluenza. Se qualche po’ di disordine c’è, esso viene dalla nostra destra, quella che ha dovuto sloggiare in fretta, ma per ora le due o tre colonne che rigano la strada non hanno inquietezza e marciano lentamente, ma avanzano. Ogni tanto sopraggiunge un camion, una fila di camions che vogliono passare avanti e fanno atti di impazienza. Qualche ufficiale grida: Alt, incolonnarsi a destra! Ma sì, appena si fa uno spiraglio, i prepotenti si buttano tra un carro e l'altro e s'incagliano fermandosi e fermando gli altri. Allora è una colonna di tre, dieci, venti chilometri che si ferma: si arruffa e si addormenta nell’inerzia; chi è indietro non sa, e aspetta pazientemente la ripresa del viaggio; chi è avanti si azzuffa per la precedenza e non sa trovare il bandolo della intrigata matassa, e ordinare i movimenti necessari perché ciascuno riprenda il suo posto. E intanto nessuno si muove ed il tempo passa. Scendo e percorro vari chilometri avanti e trovo finalmente la causa della lunga sosta. C’è attraverso la strada un camion fermo. Il meccanico lavora intorno alla macchina, suda, s'izuppa di pioggia ma non riesce.
     Dopo un’ora si parte. Davanti a noi, c'è una sezione di Pompieri del Genio e indietro a noi un’ambulanza di sanità carica di ammalati. E' un’ospedale che sgombra così, i malati che non  possono andare da soli sono nell'ambulanza, quelli più leggeri ed i feriti in via di convalescenza sono a piedi. I malati gravi sono rimasti nell'ospedale con un medico e qualche assistente ed infermiere. Si daranno prigionieri volontari, ma quelli che marciano a piedi, fanno pietà. C’è chi si regge appena in piedi, chi ha la testa fasciata, od il braccio al collo.
     Ce n’è qualcuno zoppo che si regge con il bastone e perfino febbricitante. In tutti è visibile l’orgasmo della fuga, la preoccupazione di salvarsi dalle mani del nemico. Uno si raccomanda piangendo per essere caricato sull’ambulanza, ma è respinto, non c’è posto. Si dà per vinto e siede sopra un mucchio di sassi prendendosi disperatamente il capo tra le mani. La colonna ferma ogni venti passi. Abbiamo la velocità di appena due chilometri all’ora ed abbiamo il nemico alle costole. Da una via laterale sbocca un’altra lunghissima fila di carri. Viene da Cervignano e ci sfila dinnanzi. Sulle carrette e sul dorso dei muli delle salmerie, vedo cose strane: casse di bottiglie, pezzi di stoffa, mobili di lusso con specchiere, sacchi di farina e ogni ben di Dio. Domando: Perché? Prima di. abbandonare il paese al nemico sono stati vuotati i magazzini militari, e ciò che i privati non hanno potuto portar seco è state dato in possesso ai soldati. Poi si è dato fuoco a tutto. Se il momento non fosse tragico sarebbe curioso fermarsi a vedere questa processione di soldati forniti ed anche carichi delle cose meno guerresche e più raffinate. Ce n’è là uno che regge con tutte due le mani diverse bottiglie grandi di acqua di colonia; un altro porta con sé un’intera bottega di cartoleria. Sovra una carretta un fantaccino fa coscienziosamente colazione, inzuppa uno alla volta parecchi biscotti entro un vaso di marmellata, poi si lecca i baffi e per sedare la sete, tracanna mezza bottiglia di strega. Vuole sigari? sigarette? mi domanda dall’alto di un carro un artigliere mostrandomi un sacco pieno, frutto di un... prelevamento senza buono e senza bolletta. Quale contrasto e quanta tristezza! Non ho da fumare ma non rispondo neppure all’offerta che mi sembra un insulto. E non solo non ho da fumare, ma neppure da mangiare. Mentre vedo che tutti sono ben provvisti creperò di fame, prima di avvicinare la bocca a cibo che rappresenta la rovina di un nostro paese. Io ed i miei compagni siamo stanchi e talmente inzuppati di acqua che non possiamo proseguire.
     Lungo la strada è una casa che sembra tuttora abitata. Entriamo in una grande cucina piena di gente ed ingombra di roba, sotto il porticato un grande carro a quattro ruote è pronto per il carico. La gente non è tutta di famiglia. Ci sono anche profughi Friulani che seguono a piedi la via dell’esilio, la famiglia fa i suoi fagotti per fuggire. Ma intanto ci offrono un bel fuoco ed un pezzo di polenta. Asciughiamo alla meglio i nostri panni e ci leviamo la fame, alla polenta possiamo aggiungere una fetta di formaggio. Pranzo da principi. Riempio la mia borraccia con acqua buona, e dopo due ore ci mettiamo di nuovo in cammino sotto la pioggia, seguiti dal malinconico canto dei poveri contadini seduti in gruppo sopra le loro materasse ed i loro poveri corredi, riparati da grandi ombrelli verdi. Vanno via tutti, vecchi, donne e bambini, col freddo e con la pioggia. Vanno... Dove? Non lo sanno neppur loro. In luogo sicuro verso l' Italia, di la dal fiume dove vanno i loro vicini, che sono avanti sopra un altro carro tirato da buoi e dove si dirigono i loro parenti che sono poco indietro e parte a piedi e parte sopra una carrozzella sgangherata e tirata da un ronzino sfinito.
     Solite fermate, solito energico intervento di qualche ufficiale e avanti. Un camion è precipitato in un fosso laterale della strada. E' tutto fracassato. Sta per avvicinarsi la sera e quasi che non bastasse ancora, si scatena una tempesta di pioggia che in pochi minuti allaga la strada, riempie le chiaviche avvilisce i quadrupedi e tormenta gli uomini. Seguitano i tuoni e gli scoppi, le vampe rossastre della battaglia che aggiungono orrore alla scena, ma nessuno si ferma. La colonna si allunga e si fa sempre più densa; il procedere è sempre più difficile e lento; la notte aumenta l'ostacolo; i panni fradici e freddi aderiscono alla nostra pelle, minacciando malanni. A Corgniola mi fermo, e in carità chiedo riparo ed un pezzo di pane ad una donna che sta nella sua casa presso la porta. Costei si volta indemoniata e mi apostrofa: “Non ho niente, sono sola e con quattro putei, mi mario è soldà al fronte e mi devo scappar via de qui, xe n’a bella roba ciò!”. Resto interdetto ed avvilito ma la povera donna ha ragione. E' una bella pretesa che questi poveri abitanti costretti a fuggire per la nostra debolezza debbano anche privarsi del loro pane per nutrire noi. In paese non c’è nulla, le case intorno sono vuote, le botteghe chiuse e nulla da nessuna parte.
     Una porta si apre, e senza complimenti entro. Una vecchia grinzosa e terrea che fuma tranquillamente la pipa, mi offre il canto del fuoco in uno di quei grandi camini friulani, ma da mangiare no. Torno sulla porta e fermo un soldato che porta due tasche a pane turgide. Da una toglie qnalche scatoletta di carne in conserva, dall’altra due o tre gallette e me le offre, la cena è pronta e la ingollo avidamente mentre il calore della fiamma fa fumare le mie scarpe, il mio pastrano, tutta la mia persona che sembra una spugna. Sono stanco, mi piego sulla sedia e sonnecchio a lungo. Quanto, non so, perché il mio orologio è fermo. Ho dimenticato di caricarlo e fuori nessuno sa dirmi l' ora.
     29. Alle ore 10 di ieri sera sono passate due mie batterie che trainavano pezzi da 149 e 205 e pur sotto la pioggia fredda ed insistente non davano segni di stanchezza. Coraggio, dico loro, se avete peso le nostre bombarde salvate almeno le batterie dell’Italia. I bombardieri mi sorridono e passano. Alcuni sbocconcellano un pezzo di galletta. Essi non hanno saccheggiato ed invece hanno lavorato. Un sergente maggiore mi rifornisce i viveri: tre gallette ed una scatoletta di carne. Mi bastano per una giornata. Sento dire che c’è lì prossimo un deposito di viveri a secco, e che i miei soldati sono tutti provvisti. Corro, cerco, ma non trovo altro che una stanza con molte casse vuote e carte per terra. I viveri sono finiti, il magazzino abbandonato, torno alla casuccia ospitale e sul far del giorno riesco ad ottenere un pezzo di polenta che mangio con appetito. Nonostante il lungo riposo il mio cavallo è talmente stanco che non posso farci assegnamento. Lo consegno ad un soldato perché lo conduca a mano e riprendo la strada a piedi, sotto la pioggia continua e con i piedi affondati nel fango fino alla caviglia. Una colonna di pezzi di assedio trainata a trattrici mi raggiunge. In testa è un camion e su di esso riconosco il maggiore Finigia che comanda un Gruppo. Gli offro i miei servigi, sono subito accettati e monto in camion anch’io. Ho viaggiato lentamente con frequentissime fermate, lunghe soste, tutta la giornata. La colonna è divenuta sempre più densa, sempre più disordinata pel continuo affluire di carreggio e di quadrupedi dalle vie traverse. Sono aumentati anche i branchi di uomini a piedi.
     Molti soldati di numerosi reggimenti, senza ufficiali ed anche senza armi. Vengono in gran parte dalla Carnia e dalla regione del nord. Non sanno dir nulla ma tutti affermano che il nemico ci insegue da tergo e da destra. Hanno già passato l’Isonzo, sono scesi sotto Udine, vanno verso Codroipo. Intanto le fermate si fanno sempre più lunghe, sempre più ingiustificate. Uno, due, dieci camions sono stati rovesciati nelle fosse laterali della strada, un carro si è rotto ed impedisce il transito, è talmente carico che ci vorrà un’ora per sgombrare. Da un gran pezzo aspettiamo. Ma lavorano veramente? Scendo e vo a vedere. Il carro è ancora capovolto in mezzo alla strada, i conducenti stanno a guardare senza far niente e quelli che sono dietro protestano e gridano inutilmente ma non si muovono. Impugno la pistola ed obbligo i conducenti al lavoro, tiro giù da altri due carri quanti soldati mi capitano sotto mano e, sempre minacciando, riesco a fatica ad ottenere che la colonna proceda, avanti ancora. Ai militari in ritirata si aggiungono ormai i profughi borghesi. Sono prolunghe tirate da buoi, cariche di povere masserizie sulle quali stanno silenziose e tristi intere famiglie che hanno detto addio alle loro case, alle loro ricchezze, sono povere mamme che cercano di portare in salvo i loro bambini stanchi, tirandoseli dietro nel pantano enorme, e schivando le ruote e le zampe dei cavalli, sono vecchi cadenti che si affannano sul margine della via chiedendo al loro bastoncello, quasi l’aiuto di una carrozza, sono contadini ed artieri che si dirigono verso occidente, senza meta fissa e portandosi addosso enormi sacchi con le cose più care e l’ultimo campione delle provviste invernali. Tutti fuggono e fuggono con l' anima in pezzi.
     Alcuni, anzi molti, riescono a salire sui carri militari e persino sui muli. I soldati lasciano che salgano, anzi li aiutano, e, se il posto manca, scendono e cedono il loro. Anche famiglie agiate viaggiano così con qualche valigetta di pelle sulle ginocchia e mangiando un pezzo di galletta offerta dai soldati. Pochissime le automobili private. Nessun prete ho incontrato per via. Sono tutti rimasti al loro posto. Prima di domani dovremo trovarci al di là del Tagliamento. Alcuni pezzi sono rimasti indietro. Non possiamo fermarci. Torno indietro anche io a piedi. Il Maggiore aspetterà al prossimo paese. Rifaccio diversi chilometri di strada e trovo una trattrice ferma per un guasto al motore. Operazione lunga, ma finalmente riparte. C’è l’ordine di passare presto il tagliamento sul ponte di Mandrisio. Si riprende la marcia che durerà tutta la notte.
     30. — Notte infernale, oscura e piovigginosa. I lampi degli incendi ci seguono e sebbene camminiamo par che i colpi delle artiglierie ci seguano ad uguale distanza. La colonna dei carri sulla strada è ormai talmente densa che è quasi impossibile muoversi e nessuno regola il transito.
     Uomini e quadrupedi tutti sono stanchi ed affamati. Ad ogni momento siamo fermi e quasi sempre, perché qualcuno non osserva scrupolosamente gli ordini. Non tiene la mano destra, vuole passare avanti e si ferma. E allora tutti si fermano.
     Sono stato tutta la notte su e giù per supplire i carabinieri insufficienti ed assenti. Una volta era un camion rimasto senza benzina. Il maggiore Finigia fornisce una stagna delle sue. Un’altra volta invece è una carretta buttata in traverso, il conducente stanco si è addormentato ed i muli lo hanno imitato. Dietro a lui nessuna protesta. Scuoto il soldato e lo minaccio, appoggio una legnata sui muli ed il veicolo parte. Sono stato sempre con la pistola in pugno ed ho urlato quasi sempre. Anche il nostro autista è stanchissimo, da tre notti non dorme lavorando notte e giorno. Mentre si marcia lo vedo piegarsi sul volante ed addormentarsi. Il Maggiore se ne accorge e lo sveglia con un solenne scapaccione. Il povero ragazzo dice che fa il possibile per stare sveglio, ma che non ne può più. Si deve andare ad ogni costo ed altri pugni ed altre minacce gli tengono aperti gli occhi. Un pezzo si è nuovamente distaccato. Fermiamo nella piazza di una borgata e per quattro ore dobbiamo aspettare. Intanto il cielo si rischiara ed apparisce una stella. Un vecchietto che non può dormire sta sulla porta a guardare con inquietezza l’insolito transito e ci avverte che la via che dobbiamo percorrere è tutta allagata e che dobbiamo fare un lungo giro per andare al ponte di Mandrisio. Forse il Tagliamento è in piena ed anche la campagna circostante allagata. Vado a fare una rapida ricognizione e constato che il vecchio ha indovinato. Prendiamo pazientemente la via più lunga e pieghiamo verso il nord per descrivere un' ampia curva, ma bisogna tenerci collegati con i pezzi che a distanza ci seguono perché tutte le batterie devono essere salvate. Giungono ai nostri orecchi dei rombi e degli scoppi sordi. Sono bombe di aeroplani nemici che cercano di tagliare le colonne. Il sereno, li aiuta e dobbiamo prepararci ad un attacco. Verso l’alba siamo al ponte di Mandrisio e purtroppo è vero quanto ha detto il vecchio. Tutto intorno è allagato ma la via emerge. Avanti dunque! Tentiamo il passaggio ma siamo fermati da un Maggiore dei carabinieri che impedisce il passo. Infatti il ponte sembra che in mezzo al fiume abbia ceduto e le acque terrose e gialle vi passano sopra con impeto. Sarebbe imprudente transitare con pesanti carichi e conviene cercare altro punto. Il Maggiore autorizza il passaggio ai pedoni, ma, rassegnandosi a nuotare o, per lo meno, ad immergersi fin sopra la cintola. Mi sembra inutile questo nuovo bagno volontario e mentre le trattrici aspettano i rifornimenti di benzina per tirare i pezzi io saluto il maggiore Finigia e col mio Aiutante Maggiore mi dirigo a piedi verso il ponte di Latisana, unico utilizzabile e perciò affollatissimo. Vari chilometri prima del paese, la strada, abbastanza larga, è affollata da quattro colonne di carri, ma io procedo a piedi sul margine. Le gambe però sono stanche, da sei notti non ho dormito e da tre giorni non ho mangiato che qualche galletta, una scatola di carne in conserva e qualche pezzo di polenta datami in carità da qualche contadino. Ho un sonno morboso, ma soprattutto ho fame. Non avevo mai conosciuto questa brutta bestia che morde lo stomaco ed avvilisce lo spirito.
     Passo avanti ad un cascinale e mi sembra di sentire il muggito di una vacca. Mi precipito. E' possibile? Una donna ed un vecchio stanno mungendo tranquillamente due vacche. Chiedo, ottengo e pago, salato si, ma volentieri, due grandi ciotoli di latte fresco ed un pezzo di pane inzuppato dentro. Mi sembrano piatto degno di un banchetto diplomatico.
     Finalmente ho rifornito il mio serbatoio di forze e riprendo il cammino. Mi raggiungono altri fanti trafelati e disarmati. Dietro a noi la strada piena di carreggio è stata lungamente mitragliata dagli aeroplani nemici. E' stato ordinato di tagliare le tirelle ai carri e di mettersi in salvo con i quadrupedi, di abbandonare i pezzi, salmerie e materiali di ogni genere. Sono state vedute anche pattuglie di ulani che tentavano di tagliare la colonna. Si sente sempre il tuono dei cannoni che avvicinandosi sparano dietro a noi, tentando di tagliarci la via della ritirata ed i ponti. Un ufficiale però con la rivoltella in pugno ha fermato la fuga inconsiderata ed il materiale è stato in gran parte ricuperato.
     Arriva un camion carico di materiale del Genio. Vi monto su e domando: Sono quelli che hanno distrutto ed incendiato tutto sul Carso? Assicurano di non aver lasciato nulla al nemico. Soltanto ceneri e rovine. Bravi. Ed al Vallone? Nulla! E a Boberdò? Nulla! E a Redipuglia, a ViIllesse, a Sagrado? Bruciano ancora. I ponti sull’Isonzo sono tutti saltati, ora faremo saltare quelli del Tagliamento. Dietro a noi precede ordinata e seria una Batteria Inglese, più indietro vedo la divisa azzurra di qualche francese. E' guerra di alleati e tutti sentiamo un dovere solo, tutti abbiamo un solo dolore. Latisana è ingombra in mode eccezionale. Non si va più avanti. Da due ore, siamo fermi nello stesso posto ed in tre ore abbiamo fatto due chilometri. Sento il bisogno di rivedere i miei bombardieri che tirano ancora i pezzi della Pesante Campale e salto giù dal camion. Raggiungo il ponte, anzi i ponti. Quello della ferrovia serve ai pedoni, i quali sfilano ad uno ad uno per una porticina, interrogati e visitati dai carabinieri. I carri passano sul ponte della via rotabile ma pochi alla volta per non caricare troppo il ponte e debbono subire anch’essi una rigorosa visita. Due intere armate devono passare di qui ed il nemico incalza e le voci più catastrofiche circolano, ma nessuno si lascia prendere dalla paura e le colonne silenziose e lente passano come enormi vermi senza termine, sopra il fiume gonfio e giallastro. Sarà questo finalmente il luogo dove eleveremo la barriera di fuoco che impedirà l’invasione? Parrebbe di si dal momento che si sta lavorando intorno al trinceramento del fiume e le artiglierie vanno al trotto a prendere posizione sulla riva destra a monte ed a valle del ponte. Ritrovo Mocenni e il suo Colonnello che mi ha invitato a seguirli fino a Musson dove saranno piazzate le batterie dei 149. Accetto e li seguo tanto più che ho ritrovati i miei soldati e ho dato loro il luogo di concentramento. Taglio Veneto, vicino a Cordovado e a Musson. Queste batterie di pesante campale sono state meravigliose e sono contento che i miei uomini abbiano lavorato e faticato per esse. Tutti i pezzi sono salvi, ma già si stanno puntando dietro all’argine del fiume come se si trattasse di una manovra. Il Colonnello ha con sé tutto lo Stato Maggiore, i suoi pezzi, i suoi uomini. Gli ufficiali non hanno perduto nulla della loro roba. M’invitano a colazione in una casetta piccola ma pulita. Sulla tavola una tovaglia! Mensa ben fornita, cuoco, camerieri, attendenti, tutto. Come hanno fatto? Ed io non ho neppure da cambiarmi la camicia né da soffiarmi il naso. L'amico Mocenni indovina e mi fa un fagottino che aceetto con gratitudine a titolo di Prestito: Una camicia, due paia di calze, fazzoletti, cravatte, spazzola e pettine, astucci per toilette. E' molto gentile l’amico.
     Ritorno a Cordovado, sfamato e rifornito sufficientemente con il mio fagottino sotto il braccio. Ormai sono al termine della peregrinazione. Riunirò i miei uomini, avrò nuove bombarde, tornerò sul Tagliamento e sparerò, sparerò tanto che gli austriaci non passeranno.
     Da Cordovado tre chilometri ancora e sono a Teglio. Non tutte le mie Batterie sono arrivate. Due sono state trattenute per trainare pezzi di Artiglieria Pesante fino a Motta di Livenza; mi viene un sospetto: che lo schieramento del Tagliamento non basti? Ma dove mai dovremo ritirarci?
     Mi annunziano l’arrivo del nuovo Comandante del Raggruppamento, il Colonnello Amei proveniente dalla scuola di Susegana. Mi presento, ricevo ordini e col dottore e il mio Aiutante Maggiore vò a dormire tranquillamente... in un fienile.
     31. — All’alba riunisco i miei uomini per batteria, e incolonnati per quattro, li guido a Cordovado che sarà, a quanto pare, il luogo di sosta e di riordinamento. Prendo stanza in una casa abbandonata presso la via provinciale. Davanti alla porta è un continuo passar di carri ma anche di soldati a branchi, a piedi, di ogni arma e di ogni reggimento, dispersi e reduci dei saccheggi di Cividale, di Gorizia, di Cervignano e passano lenti, sfiduciati, accasciati, silenziosi, senza guida e senza meta. Ci sono mescolati molti manigoldi che hanno commesso i più gravi reati, dalla diserzione al furto, ma nessuno gli bada. Non vedo i loro ufficiali. Dove saranno? Chissà? Accanto al mio ufficio in una cantina hanno scoperto varie bottiglie di vino.
     Sfondare la porta, aprire i rubinetti ed empire borracce, secchie, gavette, ogni recipiente che si trova sottomano è un solo atto fulmineo. Il vino trabocca dai vasi, gli spintoni di chi sta dietro fa versare altro vino e dalle botti esce un fiotto che allaga il pavimento, supera la porta e scorre via tra le grida bestiali degli assalitori. Intervengo prontamente con quattro bombardieri, prendo a calci, e bastonate le canaglie e l’ordine ritorna, ma non ritorna il vino nelle botti. Un odore acre invade anche l’ufficio mio che sembra una bettola. Un biglietto del Comando: Organizzare subito una Compagnia su quattro Plotoni, formare pattuglie, armarle di fucili e cartuccie e metterle a disposizione del Comandante della Testa del Ponte a Latisana. E' come dirla! Dove trovo i fucili e cartuccie per armare una compagnia? Le mie Batterie hanno appena 20 fucili ciascuna e tutti arrugginiti perché mai adoperati. E le cartuccie? Mi viene un’idea. Mi metto sulla strada ed osservo. Passano ancora i branchi di soldati ma disarmati. Qualcuno indossa impermeabile da ufficiale e fa ritenere che abbia utilizzata qualche cassetta abbandonata, altri tengono pistole e bandoliere. Li fermo e li disarmo senza complimenti. Il fucile nessuno l’ha. E' inutile.
     Allora frugo nelle carrette ed incomincio a pescare. In poco tempo raccolgo più di 50 fucili con baionette e giberne vuote, ma siamo indietro. Non bastano. Passa un’altra carretta di requisizione carica di roba accuratamente coperta. I muli sono sfiniti e non vanno più avanti. Il conducente li stacca e e li porta via, piantando li la roba. Faccio togliere il copertone ed insieme a varie cassette da ufficiali e casse di magazzini militari trovo altri sessanta fucili con baionette e giberne. Tutte le armi sono ammucchiate presso il muro lungo la strada. Fermo ogni soldato che ha giberne senza fucili e gli tolgo i caricatori. A sera posso armare più di trecento nomini che presteranno servizio la notte stessa. Apro anche le casse e fo una distribuzione di fazzoletti, cravatte, calze. I soldati ne avevano gran bisogno ma anche molti ufficiali ne approfittano. Con pistole tolte a soldati razziatori armo anche diversi ufficiali, poi consegno le cassette Ufficiali ai carabinieri. Mentre distribuisco le nuove armi ai miei nomini, passa per via un caporalino di fanteria, disarmato ma con le giberne piene di caricatori, lo fermo e sto per ripetere il solito sequestro di cartucce che ognuno ha finora accettato senza ripugnanza e quasi come sollievo da un peso inutile. Il caporaletto al mio atto, porta istintivamente le mani alle giberne come per proteggerle e si rabbuia tutto. Poi si fa coraggio e mi prega di lasciargli tutte le cartuccie. Dammene la metà gli dico, ma lui come se non avesse inteso e guardando fisso la catasta dei fucili in disparte con voce di preghiera mormora: Signor Capitano, in favore, mi dà un facile? Ho capito bene? Hai detto che vuoi un facile? Ma allora tu non l’hai buttato via?
     Il mio si è rotto ed ho dovuto abbandonarlo perché non serviva più.
     Tieni prendi un fucile. Bravo il mio caporalino. Se tutti fossero come te! vai. Il caporale parte contemplando con compiacenza il suo fucile e mi ringrazia. Con tanta tristezza di spettacolo, quest’atto bello ed ingenuo mi ha rinfrancato.
     Finché ci saranno di questi soldati si può sperare ancora. E di questi soldati ne abbiamo ancora molti! molti! molti!
     Frammisti ai militari passano anche molti borghesi, che fuggono con quanto più possono della loro roba che portano sulle spalle o su carrette trainate a mano, o da somarelli o da bovi. Sono altre, molte altre famiglie dolenti che emigrano in fretta con la quasi certezza che la loro casa verrà saccheggiata e contaminata dal nemico. Annotta e piove. La scena è lugubre, lacrimosa, pietosissima.
     Il silenzio delle voci stesse rende più misterioso il passo lento e cadenzato dei quadrupedi nel fango e il rullio delle ruote. Ad un tratto un pianto di donna rompe nella notte oscura il raccoglimento della scena e sembra qualche cosa di strano, di inesplicabile. Mi avvicino ad una signora tutta vestita di nero, con la testa avvolta in un grande scialle, si dispera e resta come inchiodata sulla porta della sua casa che sta per abbandonare. Ha una borsetta in mano che mi mostra desolata. Vi teneva carte, denaro e titoli, tutto il suo patrimonio e nel buio la borsetta si è aperta e ha perduto tutto nella fretta della fuga.
     E' tornata in casa sperando in una dimenticanza, ma niente. Non può cercare, non troverà niente. E' sola. Sue marito è lontano, i suoi figli sono soldati deve fuggire, non sa dove e non sa come. A piedi no perché è ammalata, altri mezzi non ne ha e ora non ha più nemmeno i denari.
     Cerco di calmarla ed intanto guardo di trovarle posto su qualche camion, ma camions e carrette passano tutte cariche e ricolme. Il problema è grave. La povera signora si abbatte contro il muro piangendo dirottamente e non si risolve a muoversi. Passa una batteria da campagna e dietro un cassone vedo attaccata una vecchia barroccina forse trovata per via. Ordino ai conducenti di fermare, con l’aiuto di altri soldati faccio prendere di peso la donna senza neppure interrogarla, le raccomando di tenersi ben forte alla spalliera e di coprirsi bene e faccio partire. Il viaggio non sarà breve ne piacevole, ma la salvezza è certa perché la batteria non sarà abbandonata al nemico.


Stampa la pagina


Invia ad un amico



Pag. 2
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
 

     
 
:: Pubblicità ::