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Ali d'Italia in guerra.


      La stampa annuncia che il comandante, tenente colonnello Armani, vero ed ottimo padre dell'aeronautica in guerra, il cui «pugno» punitore più volte redense e spesso condusse alla gloria elementi eterogenei all'ambiente aviatorio ed alle discipline del cielo, è animato dal desiderio di dare forma concreta all'esaltazione doverosa delle prodezze, degli eroismi, delle vittorie e delle glorie compiute dall'aviazione da bombardamento durante la guerra, arma cui purezza di ideali, nobiltà di propositi, fede tenace, abnegazioni superiori ed olocausti alati resero grande e sublime.
     Il comandante, in quest'opera, ch'è alta espressione di riconoscenza e precipua, luminosa prova di amore ai Fratelli morti per la Patria, chiede la collaborazione di tutti coloro che ebbero l'onore di appartenere all'areonautica e di contribuire, in qualche forma, con l'offesa dall'alto, a rendere più degna dell'eroismo italico la gloria di Vittorio Veneto.
     E chi, fra costoro, non sentirà prorompere il bisogno di favorire la attuazione del santo desiderio del comandante, di rendere cioè testimonianza imperitura degli affetti che la guerra creò, che l'armistizio disgiunse, ma che la fede, l'amore alla nostra arma ed alla Patria nostra alimentano?
     Io pure non posso soffocare l'impeto dell'animo mio; obbedisco al comandante ed alla necessità di contribuire, assai modestamente, alla formazione di quel «ricordo», ch'è doverosa riconoscenza, cui l'intenzione del colonnello Armani vuole raggiungere.
     «Fannogli onore e di ciò fanno bene».
     Ebbi l'onore di appartenere alla sesta squadriglia Caproni (XI gruppo) allorché la comandava il capitano Raffaele Tarantini.
     Compii, quale mitragliere, alcune azioni di bombardamento con il seguente equipaggio:
     tenente Manlio Borri di Firenze … capo pilota;
     sergente Greselin . . . . . . . . . . . . . . 2° pilota;
     tenente Franco Cutry . . . . . . . . . . . osservatore;
     sergente Antonio Salvadego . . . . . mitragliere,
partecipando alla titanica lotta sul Piave nell'ottobre 1918.
     Condotto all'azione da quel valoroso ufficiale che era il tenente Borri, entusiasta e severo, votato al dovere fino al parossismo, cooperai, modestamente, ma con piena coscienza ed animato dalla forte, precisa volontà di far onore alla mia squadriglia ed alla nostra arma, nell'azione del 27 ottobre 1918, battendo i depositi di munizioni di Vittorio Veneto e con efficacia, come è risultato da testimonianze. In tale azione, due unità del piccolo gruppo, per offesa nemica, caddero al suolo, racchiudendo nelle carlinghe, come in una bara, i corpi dei gloriosi equipaggi.
     Di essi, appartennero alla sesta squadriglia Caproni il
     tenente americano Coleman de Witt . . . pilota;
     id. James Bahl . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pilota;
     tenente Vincenzo Cutello . . . . . . . . . . . osservatore;
     sergente Tarcisio Cantarutti . . . . . . . . . mitragliere,
i quali, attaccati da cinque apparecchi da caccia nemici, accettarono la lotta impari con deciso coraggio, abbattendo in fiamme due degli apparecchi nemici; a loro volta, colpiti da pallottole incendiarie, caddero eroicamente al suolo, che, nel giorno stesso, veniva riscattato dalla fanteria italiana avanzante. L'equipaggio caduto venne proposto per la ricompensa di medaglia d'oro al valor militare.
     In successive azioni, del 28 e del 30 ottobre 1918, bersagliai le truppe nemiche, ottenendo, col mio equipaggio, encomio solenne pel seguente motivo: «Partiti sul cadere del giorno, con pessime condizioni atmosferiche per nebbia e nubi dense, per un'importante azione di guerra, soli fra venticinque equipaggi partiti, raggiungevano il bersaglio e lo colpivano efficacemente, dando così prova di bella fermezza, di sereno ardimento e di profondo sentimento del dovere».
     Il 1° novembre successivo, malgrado le condizioni atmosferiche avverse, partii, col mio equipaggio, per battere i ponti di Latisana e scendemmo a 500 metri per battere il bersaglio; l'artiglieria nemica colpiva l'apparecchio, obbligandoci ad atterrare sulla destra del Livenza, sotto la fucileria nemica, in zona neutra.
     La squadriglia, in quei giorni distaccata a Padova, passò poi a Verona fino all'aprile 1919, epoca in cui, per l'ordinata smobilitazione, fu sciolta.
Avium flammigerum agmen
Unus non sufficit orbis


motti dati alla squadriglia dal poeta Gabriele D'Annunzio, che infiammarono e fusero i cuori degli uomini di volo nel cimitero.
     Amor di Patria e necessità di lavoro fecondo condussero i superstiti della fulgida armata aerea nel mondo pacificato.

Pubblicazione inedita della 6a squadriglia Caproni.


     Ora che il cumulo sacro e magnifico di eroismi ed il sacrificio di balde e meravigliose gioventù nostre ha consacrato nei bronzi della storia la grandezza luminosa della nuova Italia, suggellandola con una immensa aureola gloriosa, nella rassegna che su questo giornale viene compiuta dai maggiori fattori del trionfo, questa è la volta di rendere il meritato onore ad una delle poderose unità che formarono la potenza invitta della grande massa aerea da bombardamento italiana.
     La togliamo dal modesto riserbo dei grandi e dei generosi, per metterla in piena luce affinché l'Italia sappia ed onori i suoi campioni che le fecero olocausto di sangue, di cuore e di entusiasmi.
     Parliamo della 6a squadriglia Caproni, quella dal vermiglio distintivo del sole sorgente; l'apparizione del quale nel cielo dei nemici nostri fu segnale di terrore e marchio inesorabile delle più precise e violente distruzioni belliche avversarie.
     Il grande Poeta della guerra d'Italia dettò per essa i due motti fatidici:

Avium flammigerum agmen
Unus non sufficit orbis


che le carlinghe nude e terribili della 6a squadriglia portarono nei cieli dominati.
     Lo spazio limitato di cui dispone il giornale, non ci consente di passare una completa rassegna alla pleiade dei valorosi piloti, osservatori e mitraglieri che agirono con la 6a squadriglia Caproni, portandovi il generoso patrimonio delle loro vite, del loro entusiasmo e del loro coraggio, citandone tutte le vicende meravigliose di volo e di guerra.
     Dal tempo di formazione della squadriglia, sul campo di Aviano, il 18 dicembre 1915, fino ad oggi, i suoi comandanti furono cinque: tutti animati dallo stesso intrepido coraggio e valorosi condottieri di tutta la salda ed eroica compagine di forti della squadriglia. Essi, nell'ordine, sono: capitano Adolfo Resio, capitano Ferruccio Rossi, capitano Giulio Sibilla, capitano Omero Cavallarin ed il capitano Raffaele Tarantini, tuttora comandante.
     Furono essi i plasmatori del gagliardo animo dei dipendenti ed i Duci che trascinarono alle cruente azioni, con l'esempio fulgido ed irresistibile.
     Ebbero la coadiuvazione dei piloti: tenenti Edoardo Scavini, Lodovico Montegani, Cesare Bacilli, Thaon de Revel, Enrico Bertolini, Alessandro Marelli, Manlio Borri, Ariboldo Soliani, Luigi Ridolfi, Mario Giuliani Gusman; sottotenenti: Giordano Beghi ed Angelo Pacassoni; sergenti: Minardi, Cacciatori, Guarino, Puccioni, Mariotti, Agostini, Greselin, Bonalumi e Cartai.
     Furono degli ottimi ufficiali osservatori: capitano Giulio Schiller; tenenti: Fausto da Passano, Mario Olivieri, Ferruccio Pizzi, Guglielmo Cassinelli, Franco Cutry, Liborio Petracalvina, Vincenzo Cutello, Claudio Lamberti, Cesare Morresi, Vincenzo Machj, Domenico Girardi, Domenico Martino, Orazio Ajello.
     Citiamo anche i saldi mitraglieri, strenui difensori degli equipaggi dagli attacchi nemici; sergenti: Cantarutti Tarcisio, Borghi, Salvadego; caporali Vittone, Marcon e soldati Zamboni, Pezzoni, Del Lago.
     Tutti i nominati, modesti e gloriosi combattenti, che formarono il nucleo ferreo e tremendo dei bombardieri dell'aria della 6a squadriglia, furono gli arditi che non conobbero barriere né di fuoco, né di offese avversarie nell'adempimento del loro compito inesorabile, incrociando nel cielo, sorvolando sulle pianure, sui fiumi, sul mare e sui monti, lanciando le bombe laceranti e sconvolgenti sulle più munite posizioni e difese nemiche.
     Fu della 6a squadriglia l'equipaggio che nel compimento dell'azione di guerra fu preso nei vortici di tormenta delle gole alpine e dovette atterrare sulla gigantesca massa di neve e di ghiacci dell'Adamello.
     Soccombettero compiendo il loro dovere in audacissime e strenue azioni i tenenti piloti Alessandro Marelli, Ariboldo Soliani, Domenico Martino; il tenente osservatore Vincenzo Cutello ed i mitraglieri: sergente Tarcisio Cantarutti, soldati Pezzoni.
     Fecero pure parte della squadriglia sei ufficiali piloti americani, alla quale portarono il loro coraggio e la saldezza meravigliosa dei loro cuori buoni e gioviali.
     Per l'ultima poderosa offensiva che dette all'Italia la grande vittoria, la 6a squadriglia fu l'unica alla quale furono affidati i nuovi grandi apparecchi da bombardamento Caproni 600 HP. Durante le giornate della nostra fulminea vittoria, la squadriglia partecipò alle azioni con un totale di 25 apparecchi del nuovo potente tipo, e rovesciò la distruzione e lo sterminio su le masse nemiche, contribuendo, poderosamente, alla rotta dell'avversario.
     Perdette, in quelle memorabili giornate, un apparecchio su Vittorio Veneto, pilotato dai tenenti americani Coleman de Witt e James Bahl, col tenente osservatore Vincenzo Cutello ed il mitragliere sergente Cantarutti Tarcisio.
     Essi, attaccati da cinque apparecchi da caccia nemici, accettarono la lotta impari con deciso coraggio, abbatterono, in fiamme, 2 degli apparecchi nemici; a loro volta, colpiti da pallottole incendiarie, caddero eroicamente al suolo, che nel giorno stesso veniva riscattato dalle fanterie italiane avanzanti. L'equipaggio caduto venne proposto per la ricompensa di medaglia d'oro al valor militare.
     Agli eroici che diedero la loro vita in sacro olocausto alla Patria, agli intrepidi che diedero tutta la loro passione e tutto il loro ardimento fino alla vittoria, vada il saluto ed il riconoscimento dei compagni sopravvissuti, della nuova Italia più grande, più potente e più gloriosa, che ha ripreso l'antica sua via di Maestra nella Giustizia e Civiltà delle Genti.

(Della 9a e 201a squadriglia – Ricordi del capitano Trezzi).


     La 201a squadriglia «Ca 3 R. M.» venne riunita al Centro formazione squadriglie di Ghedi, ed ai primi di luglio 1917, completato il suo organico, venne trasferita in volo al campo di aviazione di Marcon a disposizione della Direzione dei Servizi Aeronautici della Regia marina di Venezia.
     Era composta di 4 apparecchi «Ca 3» al comando del capitano Calleri, ufficiali piloti i tenenti Bonamini, Mammoli, Sailer e Trezzi e sottotenente Arosio; sottufficiali piloti i sergenti Rossi, Foà, corazziere Urbinati.
     Le prime azioni della squadriglia furono di ricognizione della costa Istriana, operazioni che ebbero inizio verso la metà del mese di luglio 1917, non appena la squadriglia si ebbe sistemata nella sua nuova sede.
     Tali ricognizioni consistevano nel portarsi in alto mare, tanto da poter distinguere il litorale, ed osservare se lungo le stesse avvenivano movimenti di navi. Avevano inizio all'alba e duravano sino all'imbrunire con un apparecchio al quale si dava il cambio ogni due ore.
     Al ritorno di una di queste azioni, per cause che non si poterono accertare, l'apparecchio del capitano Calleri all'altezza di un migliaio di metri si rovesciò, ed in tali condizioni precipitò trovando con lui la morte il sottotenente Arosio e due mitraglieri della squadriglia.
     Successe al comando il capitano Cellerino, ed a riempire il vuoto lasciato dal povero sottotenente Arosio venne inviato il tenente Orlando, mentre da Taliedo giungeva un nuovo apparecchio.
     Ricostituitasi così la squadriglia nella sua piena efficienza, e segnalato lo spostamento di due corazzate da Pola alla baia di Muggia presso Trieste, venne affidato alla squadriglia il compito di bombardare dette unità coll'ausilio e la scorta delle squadriglie di idrovolanti di Venezia.
     A tale scopo vennero fatti tre sbombardamenti diurni nei quali i nostri apparecchi ebbero un duro battesimo di fuoco, senza però lamentare perdite.
     Dopo il terzo bombardamento le navi, che furono anche raggiunte da diverse nostre bombe, rientrarono di notte tempo a Pola, e non si ebbero a segnalare altri movimenti.
     Venivano in questo periodo fatti gli esperimenti per il lancio dei siluri, che a Venezia furono coronati da successo.
     La Direzione dei Servizi Aeronautici ritenne opportuno inviarci in rinforzo alle squadriglie da bombardamento che dovevano compiere su Pola un'azione di mascheramento al tentativo che il povero tenente Ridolfi doveva fare pel siluramento di qualche unità navale ancorata in tale porto.
     Partecipammo così a due bombardamenti notturni di Pola durante i quali ebbimo a lamentare la perdita di un apparecchio coi tenenti Bonamini e Orlando costretti ad atterrare in territorio nemico e fatti prigionieri, dopo aver distrutto l'apparecchio e peregrinato per vari giorni nella speranza di poter riuscire a raggiungere la Patria.
     Si arrivava così alla fine di ottobre ed improvvisa quasi inattesa ci giunse la notizia che il nemico aveva sfondato le nostre linee ed avanzava su tutto il fronte.
     Con le squadriglie idrovolanti della Regia marina compimmo allora delle azioni di bombardamento per proteggere la ritirata ed ostacolare l'avanzata nemica, ed in una di queste azioni compiute a bassa quota, veniva abbattuto, colpito in pieno da una raffica di mitragliatrici, l'apparecchio del tenente Sailer e nella caduta trovarono la morte il corazziere pilota Urbinati ed il caporale mitragliere Pastore, mentre il tenente Sailer veniva fatto prigioniero.
     Rimasti con due apparecchi ricevemmo l'ordine di trasferimento al campo di Ghedi, lasciando il campo di Marcon a disposizione del Comando d'Aeronautica della III Armata, e con tutto il personale ed apparecchi passati alla 9a squadriglia, pure decimata nell'ultimo periodo della sua attività.
     La squadriglia si ricostituiva su 4 apparecchi al comando del capitano Cellerino e ufficiali piloti i tenenti Mammoli e Trezzi; ufficiali osservatori capitano Mento, tenenti Di Scenza e Sortino; sottufficiali piloti sergenti Fiscali, Foa e Rossi, e così formata venne inviata al campo di aviazione di Padova a far parte del XIV gruppo col quale partecipò a tutte le operazioni svoltesi dal dicembre 1917 all'agosto 1918, epoca in cui venne inviata al campo d'aviazione di Cà Tessera a formare il Gruppo Speciale Aviazione I al comando del maggiore Carnevali.
     La squadriglia era su tre apparecchi al comando del capitano Mento, ufficiali piloti Marcollin, Trezzi e Mancinelli; ufficiali osservatori tenenti Fugalli, Di Scenza e Sortino; sottufficiali piloti sergenti Fiscali e Rossi.
     Compito particolare della squadriglia era il rifornimento dei nostri emissari lanciati nelle linee nemiche a mezzo di paracadute e portati con un apparecchio Voisin pilotato dal sergente Prudenza.
     Questi nostri emissari erano dislocati a Nordi di Vittorio, a Sacile, a Casarsa ed a Portogruaro e quasi tutte le notti venivano riforniti di colombi viaggiatori, lanciati con dei piccoli paracadute e viveri.
     Negli ultimi giorni, prima cioè dell'inizio della nostra offensiva, vennero pure riforniti di armi con le quali poterono arruolare dei volontari che ostacolarono ed intralciarono la ritirata nemica.

(Dalle memorie del tenente colonnello Armani).

Dell'aviazione da bombardamento alle dipendenze della Regia marina.


     Verso la fine di luglio il raggruppamento subisce nuove trasformazioni, si rifonde in un solo organo con le unità che aveva a Padova e a San Pelagio.
    Io lascio il Comando del Raggruppamento e passo a disposizione della Regia marina.
     La Regia marina aveva iniziato l'organizzazione di grossi reparti da bombardamento secondo i criteri del generale Douhet.
     Allora la Marina aveva compreso e con ammirevole preveggenza e prontezza si è messa all'opera.
     Dovevano sorgere due potenti nuclei, uno nell'Italia meridionale ed un altro nella settentrionale e più precisamente uno a Brindisi ed uno nel Ferrarese.
     Io fui incaricato di organizzare il nucleo nel Ferrarese.
     Il campo era ancora in costruzione, il campo che era costituito da tre vasti campi confinanti l'uno coll'altro e che erano riuniti fra loro dai fabbricati che dovevano servire per alloggi truppa ed ufficiali, officine ecc.
     In questi tre campi dovevano trovare sede 8 squadriglie di 10 apparecchi ciascuna.
     Dopo pochi mesi il campo era quasi ultimato ed erano intanto iniziati i lavori per la sistemazione di altri tre campi nelle vicinanze.
     A lavoro compiuto nel ferrarese avremmo avuto una somma di 400 apparecchi da bombardamento, avremmo allora compiute le operazioni in grande stile secondo i concetti genialissimi del generale Douhet.
     In un primo tempo furono inviati gli apparecchi di disciolte squadriglie e fu questo un inconveniente perché erano apparecchi non rispondenti ai bisogni.
     Furono poi assegnate a questo primo nucleo che si chiamò Stazione di Aviazione della Regia marina di Poggio Renatico, 2 squadriglie di triplani, la 181a e 182a.
     Furono le sole squadriglie che poi poterono compiere delle azioni.
     Non parlo della vita al campo: era una vita di lavoro, di preparazione di sistemazione.
     Passa così l'estate, si arriva all'autunno, si arriva alle giornate di ottobre, si arriva alle fatidiche giornate che furono la fine della nostra grandiosa guerra.

I TRIPLANI.


      Gli apparecchi lenti e di poca velocità ascensionale che fino allora avevano agito solamente di notte, che avevano operato sul Trentino. Gli apparecchi della morte, tutti neri, immensi e formidabili, capaci di trasportare un carico di 1000 kg. di bombe.
     Il Comando Superiore mi chiede se ritengo opportuno inviare un apparecchio a Padova per eseguire azioni in unione agli altri Caproni.
     Io trovo più utile impiegarli tutti (ne avevo 10) impiegarli di giorno, concorrere efficacemente alla lotta.
     Vi si oppongono mille ostacoli, i piloti in un primo momento sono restii. L'apparecchio non riesce a fare molta quota, di giorno può essere facile preda, sia delle artiglierie antiaeree, sia dei caccia. La sua mole costituisce un bersaglio facile per le une e per gli altri.
     Ma le riluttanze sono vinte ed il giorno in cui venne l'ordine di partire per un'azione di bombardamento sulla stazione ferroviaria di Conegliano, 9 apparecchi con ciascuno un carico di 8 quintali di bombe, sono allineati, sul campo. Le condizioni atmosferiche sono pessime. Tutto novolo.
     Dovevamo passare sul campo di Istrana per prendere la scorta che sarebbe partita dal sul campo al nostro passaggio.
     Si parte. E' un mare di nuvole. Non si vede l'Adige, non si vede il Po. Padova è anch'essa coperta dalle nuvole, ma man mano che si avanza l'atmosfera si schiariscee, le nubi si squarciano, si vede il terreno, siamo su Istrana, la scorta si alza, noi prendiamo la rotta per l'obiettivo.
     La scorta ci raggiunge. Siamo in vista del Piave, le nubi si diradano sempre più, siamo su Conegliano.
     Si punta, si sganciano le bombe... è una pioggia di bombe: 8 quintali per apparecchio.
     Nessun caccia nemico, debole tiro di artiglieria; i 9 apparecchi rientrano incolumi al campo, è una gioia per tutti i piloti: era il primo bombardamento diurno che i triplani compivano, l'hanno compiuto felicemente, brillantemente. Brillantemente perché le condizioni atmosferiche pessime, tanto pessime che il Comando d'Aeronautica aveva radiotelegrafato di non partire per le condizioni atmosferiche proibitive, ma quando arrivò il radiotelegramma noi eravamo già partiti.
     Quella sera al campo fu una festa. Il ghiaccio era rotto e noi partecipammo a tutti gli altri bombardamenti, così il giorno dopo effettuammo il bombardamento di colonne di fanterie e di artiglierie sulla strada Saccile Pordenone, bombardammo il campo della Comina.
     Un altro giorno bombardammo i ponti a Motta di Livenza.
     E l'ultimo bombardamento fu quello dei ponti di Latisana il 2 novembre 1918 alla vigilia della fine della nostra grande guerra ed io voglio ricordare questo bombardamento perché compiuto in circostante e tempo veramente eccezionale!
     Le nostre fanterie avanzavano e man mano che progredivano segnavano il loro fronte a terra con delle striscie bianche messe in croce.
     Il cielo era completamente coperto di nuvole, avevamo dovuto navigare fino ad Oderzo ad una quota di 800 metri.
     A Oderzo scorgiamo i segnali delle fanterie. Non potevamo continuare a navigare a quella quota senza correre un grave pericolo per le offese dell'artiglieria; sopra di noi la cappa plumbea delle nuvole, ma chissà: si spera che lo strato non sia molto alto, si tenta di sorpassarlo, si entra nelle nuvole... si naviga per circa 40 minuti nel buio, non si vede più nulla, siamo a 3000 metri e non si vede la possibilità di sbucare da quello strato. Ci assale il nervoso, si sta male. Era mio compagno di volo il capitano Sbrana, osservatore il tenente Poma. Dove siamo?
     Non possiamo assolutamente saperlo. La navigazione nelle nuvole ci ha disorientato.
     Non dirò che la bussola aveva perduto la bussola... come dicono tanti che dicono che nelle nuvole la bussola comincia a girare, girare e non funziona più; no, la bussola, anche fra le nuvole funziona benissimo; se gira è perché il pilota fa girare incoscientemente l'apparecchio e per forza la bussola tarda ad orientarsi e poiché il pilota continua incessantemente a girare la bussola diviene instabile.
     Ed appunto io mi sono affidato alla bussola, ho preso io il volante, ho cercato di andare diritto verso una direzione e quando ho veduto che la bussola segnava costantemente una direzione, ho iniziato il volo librato dirigendomi a Sud; forzatamente andando a Sud, dovevo andare verso il mare, una volta sulla spiaggia avremmo seguito la costa e saremmo ritornati al campo.
     E così infatti avvenne.
     Dopo alcuni minuti di volo librato uscimmo sotto lo strato di nuvole sul mare, ci orientammo, eravamo su Punta Sdobba (Monfalcone).
     Eravamo salvi, seguimmo la costa fino a Venezia, atterrammo a San Pelagio per rifornimento poi al campo di Poggio Renatico ove seppi che solamente un altro triplano aveva eseguito il bombardamento, ma non sapeva esattamente su quale località perché aveva perduto l'orientamento.

(Dalle memorie di Antonio Magnocavallo).

L'aviazione in Albania.


(1918).


     Tornò di nuovo, nella primavera del 1917, alla scuola della Malpensa, dove ottenne il brevetto dei Caproni 450, poi nel giugno di quell'anno passò in Albania, all'undecima squadriglia Caproni.
     Del suo primo volo attraverso l'Adriatico, compiuto il 2 giugno 1917, scrisse egli stesso il 4 successivo le seguenti impressioni, che furono trovate tra le sue carte dopo la sua morte:
     «Alle otto e mezza del 2 giugno ho lasciato l'Italia a Taranto tutta fremente dalle sue ciminiere fumanti. Sino a Brindisi viaggio monotono; unica meraviglia quella di poter abbracciare in un unico sguardo tutto il tallone. Poi mi è apparso l'Adriatico che il sole rendeva abbagliante e vaporoso, e Brindisi, coperta da un denso strato di nubi. Prima di entrare e prendere rotta sul mare guardo l'altimetro: duemilacinquecento metri; sono sufficienti. Mi volgo ogni tanto verso la terra della Patria che s'allontana giù in fondo, che sfuma in una fantasia strana di colori e di velature.
     «Poi, più nulla... lo spazio immenso e l'abisso del mare, che, quanto più ci si addentra, va assumendo un colore più cupo, più serio... L'ala robusta freme con la brezza dell'Adriatico. Lo spazio è dominato dal coro potente e uniforme dei motori che cantano a voce alta la canzone della Patria e quella dell'aviatore. L'occhio attento ai contagiri, ai manometri, l'orecchio in ascolto dei cuori d'acciaio, le mani tese al volante. La bussola segna la rotta, oscilla indecisa... 29 8° gradi.
     «Il vento che prima spirava in coda, ci viene ora incontro, sbatacchia l'apparecchio, che, docile al comando, sembra divertirsi a quel gioco. Ma ora s'impenna, vuole girare: non un momento di esitazione e l'apparecchio è ricondotto in linea di volo. Il Comando ha provveduto per una scorta di torpediniere in alto mare: questo per ogni evenienza. I motori vanno bene, è vero, ma si possono fermare anche di botto. Sono tanto originali alle volte! Siamo in alto mare e alti nel cielo. Giù in fondo si distingue bene sullo smeraldo dell'acqua un punto bigio. E' la torpediniera partita da Brindisi. La scia ci dice come essa fili a tutto vapore. Ci ha veduti: ha visto che la nostra rotta è esatta e con un ampio giro ci saluta e si appresta a ritornare. Ora si delinea lontana, in mezzo alle velature dello spazio, una macchia incolore che va acquistando forma e colore, disegnando una linea di divisione tra il cielo e l'acqua. Ancora venti minuti e le gobbe di Saseno sono visibilissime. L'orientamento è stato perfetto. Confronto un piccolo schizzo della baia di Vallona e con le indicazioni che mi erano state fornite in Italia vedo la leggera insenatura di Tahiraga. Il campo è in vista. I motori soffocano contemporaneamente la loro voce all'altezza di Vallona. Il planè è iniziato e con un felice atterrisage è felicemente terminata la traversata dell'Adriatico. Da Taranto a Vallona in un'ora e cinquanta minuti: mentre giro attorno all'apparecchio docile, resistente e mastodontico, sento in me una grande soddisfazione...».

***


      Ininterrottamente, per quattordici lunghi mesi, rimase in Albania; né più fece ritorno.
     La lontananza dall'Italia e la maggior difficoltà di dare e di avere frequenti notizie della famiglia, offuscarono talvolta la sua anima sensibilissima di un sottile velo di malinconia, ma di una malinconia pensosa e, oseremmo dire, virile, che lo eccitava a compiere con sempre maggior ardore il proprio dovere.
     «Ogni sera – scriveva nel giugno del 1917 – l'Adriatico con i suoi tramonti vaporosi e misteriosi ridesta in me strane canzoni di nostalgia. Le ascolto a lungo e rivedo in esse l'Italia bella; sento in me l'orgoglio di trovarmi qui, lontano dalla Patria, per la Patria. E penso che con grande mia soddisfazione potrò godere “domani” - se il destino me lo concederà – delle bellezze alle quali guardo sovente. A “domani”, dunque».
     Poco più tardi, nel novembre successivo, annoiato del persistente maltempo, scriveva: «di giorno, pioggia e processioni di nuvoloni che sbattono minacciosi contro le montagne; di notte, una luna splendida sembra che voglia destrare la natura che, in una delicata penombra, sogna e freme silenziosamente, appassionatamente. E questo quadro, tutto velature, è animato dalla canzone dell'Adriatico, orgoglioso, nello scintillio di argento, del bacio della bella ed eterna innamorata. In queste notti ognuno di noi rivede la famiglia lontana; balzano agli occhi certe croci solitarie, tombe di soldati italiani, ed io... mi trovo nel 1915, sul Carso, nelle lunghe e pazienti ore di attesa e... la visione delle cose passate rivive in questo silenzio, s'indugia volentieri in me...».

***


      E il 24 dicembre dello stesso anno, così parlava del suo terzo Natale di guerra:
     «Natale 1915... in trincea, sul Carso presso “Sei Busi”.
     «Natale 1916... in squadriglia ad Aviano. Sono perciò contento che il terzo anno di guerra mi trovi al posto d'onore».
     Nel campo di Vallona fu dapprima primo pilota di un Caproni cui pose nome “Audace”, poiché osservava in una lettera: «l'audacia è dote indispensabile per ottenere la vittoria, sempre e ovunque. Audace è parola carissima ad un aviatore: audace contro l'atmosfera, nello spazio infinito; audace contro il nemico barbaro e superbo».
     Ed ebbe allora suo secondo pilota il sergente Italo Lucchi, che gli fu carissimo anche perché bresciano.

***


      «Sulla carlinga di “Audace” - narrava in altra lettera – ho fatto dipingere lo stellone della fortuna e un gatto. Non è infatti audace il gatto? Pronto all'offesa, si difende meravigliosamente senza indietreggiare mai. E poi, il gatto, alla vista acutissima unisce un udito migliore...».
     Verso la fine del 1917 ebbe un nuovo Caproni che – scriveva alla mamma – «sulle code porta scritto due nomi, due fiumi che hanno visto come l' “Italo valor non sia ancora spento”: Piave e Osum...».
     Quale e quanta diligenza, quale passione abbia sempre posto all'adempimento della sua dura e pericolosa missione, si può del resto rilevare, più che dalle lettere scritte in quel tempo alla famiglia, da un suo taccuino, dove con minuziosa cura andava di giorno in giorno annotando le azioni di guerra che gli venivano affidate, le peripezie incontrate, gli elogi e gli encomi che il Comandante in capo delle truppe italiane in Albania più volte diresse a lui e ai suoi compagni di squadriglia.
     Nel prezioso taccuino, che la famiglia conserva tra le poche reliquie di lui, oltre ad un accenno a due altre traversate dell'Adriatico (1 – 2 luglio e 23 luglio 1917), sono indicate le seguenti azioni, con brevi appunti che trascriviamo integralmente:
     «4 settembre 1917 – bombardamento, ponte di Kuci (pochi colpi antiaerei inefficaci).
     «9 settembre 1917 – mattina: tentano bombardamento: Kiaf è Glaves (guasto al motore).
     «9 settembre 1917 – pomeriggio: bombardamento opere difensive, Kiaf è Glaves (tiro antiaereo bene aggiustato sebbene inefficace).
     «26 settembre 1917 – ricognizione monte Gradist, Sinia, Berat, Vesnia, Dobroniko; Kiaf è Glaves (numerosi tiri antiaerei inefficaci, ma non molto aggiustati).
     «1° ottobre 1917 – ricognizione, Buful, Nova, Berat.
     «7 ottobre 1917 – tentato bombardamento monte Gradist.
     «28 ottobre 1917 – tentato bombardamento monte Gradist.
     «21 novembre 1917 – mattina: ricognizione a...
     «21 novembre 1917 – pomeriggio: ricognizione a Ptabul, Fieri Val Yanizza.
     «24 novembre 1917 – bombardamento Cerevoda, Osum.
     «19 dicembre 1917 – bombardamento ponte Kuci.
     «18 dicembre 1917 – bombardamento impianti militari a Liusna (tiro antiaereo numeroso).
     «4 febbraio 1918 – bombardamento impianti militari a Metali (tiro intenso e attacco di un apparecchio respinto dalla scorta).
     «10 febbraio 1918 – bombardamento impianti militari di Fieri (tiro intenso e preciso).
     «4 maggio 1918 – bombardamento di Fieri.
     «16 maggio 1918 – bombardamento quote di Vizeza, Osum, Cercvoda: bombardamento idem e ritorno per Osum, Berat, Kiaf è Glaves, Gradist (l'apparecchio parte sotto un temporale con pioggia e vento. Navigando con la bussola in un fittissimo continuo strato di nubi, riesce ad atterrare felicemente a Tahiraga).
     «25 giugno 1918 – bombardamento campo aviazione di Fieri.
     «26 giugno 1918 – tentato bombardamento (tiro intenso: apparecchio colpito da schegge di granata al piano fisso posteriore)».
     Nel tentato bombardamento del 7 ottobre 1917 dovette verificarsi un non lieve incidente di volo, se il maggior De Rada, comandante l'ottavo gruppo, gli indirizzava il seguente elogio pel tramite del comandante della squadriglia, elogio che trascriviamo dal taccuino:
     «Pregasi codesto Comando di voler esprimere la mia soddisfazione e un vivo elogio all'equipaggio dell'apparecchio Caproni n. 2395 per il calmo e coraggioso comportamento nell'incidente di volo avvenuto durante un tentato bombardamento nel giorno 7 ottobre c. a. In special modo voglia esprimere vivo elogio ai piloti “tenente Magnocavallo Antonio e sergente maggiore Lucchi Italo”, per la grande perizia e calma ardimentosa con cui riuscirono ad atterrare in campo, quando, riportare l'apparecchio a terra era, dato il grave incidente verificatosi in volo, di per sé stessa una manovra difficilissima a compiersi».
     Ma, mentre con legittimo compiacimento si affrettava a dar notizia al padre e alla madre di questo e di altri elogi che con la sua condotta seppe meritarsi e di cui non mancava di prender nota nel taccuino, mai scrisse una parola né di questo, né di altri non meno gravi pericoli incontrati nelle numerose azioni del suo terzo anno di guerra. Così, pel bombardamento del 16 maggio 1918, eseguito, come si rileva dal breve cenno del taccuino, con navigazione assai contrastata dal maltempo, fu ben felice di comunicare a sua madre che S. E. il generale Ferrero aveva espresso il suo «maggior elogio agli equipaggi dei due apparecchi Caproni e della loro scorta che riuscirono vittoriosi anche dalla lotta con gli elementi avversi»; ma tacque delle perizie superate, sia perché non volesse accrescere l'ansia dei suoi cari lontani, sia perché non amò mai di magnificare l'opera propria. D'altra parte, fidava nella buna sorte che per tanti mesi l'aveva assistito e attendeva con impazienza di poter vedere la famiglia dopo il soggiorno di un lungo anno in Albania.
     «Quantunque desideri di scriverti spesso – così in una lettera al padre, del 14 aprile 1918 – debbo aprire talvolta delle involontarie parentesi. Cause di servizio che mi tengono occupato; crisi d'animo quando penso all'Italia che non vedo da tanto tempo, mentre saluto per la seconda volta e anche per la terza volta i colleghi che se ne vanno in licenza... Oggi accompagnai all'imbarco altri due compagni. E ora mi sembra di vederli già di là: ascolto il sibilo oramai dimenticato di un teno...».

***


      Pareva così sicuro di ritornare! Ed era tanto atteso e desiderato!
     Nelle lettere degli ultimi due mesi, del maggio e giugno 1918, ripeteva sempre: «Sarò tra voi in luglio, forse nella prima quindicina, certo entro la fine del mese». Così era stabilito; e fin di primi di luglio la famiglia, con ansiosa fede, aspettava di giorno in giorno l'annuncio della sua partenza da Vallona, poiché era anche stabilito che la mamma sua si sarebbe trovata a Brindisi o a Foggia, per anticipare la gioia di rivederlo e per esser la prima a riabbracciarlo dopo la lunga e tormentosa assenza. Tutto invece crollò, con orribile schianto.
     Il 5 luglio, alla vigilia dell'avanzata delle truppe italiane in Albania, scriveva a sua madre: «A ogni modo, “per ora” non posso partire in licenza: “saprai più tardi il perché”». Fu questa l'ultima sua lettera, ch'egli non ebbe modo di spedire e che venne poi trovata tra le sue carte.
     La mattina del 6 luglio mentre veniva iniziata la nostra offensiva (1), ebbe l'ordine di bombardare le trincee nemiche, a un centinaio circa di chilometri da Vallona.
     Nell'azione, felicemente compiuta, una pallottola di shrapnels – come riferì poi alla famiglia il sergente Buffoli – colpì alla coda il suo apparecchio; ma negli appunti, ch'egli si affrettò a prendere la mattina medesima sul suo taccuino e che avrebbero dovuto servirgli per stendere la relazione sull'esito dell'impresa, non è fatto cenno all'incidente. Ecco i brevi appunti: «tenente Magnocavallo; aspirante Boero; osservatore, capitano Giuliani; mitragliere, tenente osservatore Candela. Quota 2700. Durata 81'; 12 bombe da 162 mm.; 3 fot. Bombardato q. 1100 Ciaffa Drisis e opere militari Prasboar».
     Nel pomeriggio del medesimo giorno venne recato a lui e ai suoi colleghi l'ordine di portarsi alle ore diciotto a bombardare il campo nemico d'aviazione di Fieri. Fu la sua ultima gloriosa spedizione.


     (1) Il mattino del 6 nostre truppe – così comunicava il Bollettino del Comando Supremo pubblicato l'8 luglio – e collegate a oriente con truppe francesi, hanno iniziato tra la cresta e la valle della Tomorica un'operazione tuttora in pieno e soddisfacente corso di svolgimento. I prigionieri sinora affluiti ai posti di concentramento superano i mille, tra i quali cinquanta ufficiali. F.to Diaz.

***


      «Come sempre il buon Antonio – così scrisse al desolato padre l'11 luglio il capitano Luigi Criniti, comandante della squadriglia – era partito a compiere il suo dovere con quella “allegria, fede ed entusiasmo” che lo rendevano caro a tutti e stimato.
     «L'osservai come sempre calmo e ardito col suo velivolo fra le insidie nemiche e con angoscia “vidi la tragedia che dimostrò nel più alto grado il sentimento e l'eroismo del cuore che guidava l'apparecchio tricolore”.
     «Fummo attaccati dai caccia nemici; planò nelle nostre linee e la morte fu istantanea. Accorremmo subito: fra uomini che da molto tempo lottano con la morte vidi le lagrime, intesi i singulti dello strazio per lo sfortunato eroismo, perché il suo Antonio era amato da noi, da noi tutti. Curai insieme ad amici e colleghi con l'interessamento di tutte le Autorità per i dovuti onori che riuscirono degni degli eroi. Le gloriose spoglie in casse di zinco e di legno sono sepolte nel cimitero militare... L'anima eletta veglia ed è viva nei nostri cuori. Perdoni le disadorne parole: ci senta solo il sentimento; ci creda insieme agli ufficiali tutti uniti al suo dolore; dica ai suoi cari che il glorioso Antonio ha un'altra famiglia che è orgogliosa – piange – lo vendicherà».

***


     Agli straziati congiunti che con indicibile angoscia insistettero per aver i maggiori particolari possibili sull'eroica fine, giunsero più tardi dal tenente bresciano Gino Marchesi queste notizie:
     «Alle diciotto circa del 6 luglio partivano dal campo nostro due apparecchi per effettuare il bombardamento di Fieri. Un apparecchio era pilotato dal figlio suo Antonio e dall'aspirante Boero: mitraglieri il capitano Giuliani e il tenente Candela; il secondo dal tenente Trolli e dal sergente Buffoli: osservatore il capitano Criniti.
     «Compiuto il bombardamento, rientrati nelle nostre linee, i due Caproni, a pochi chilometri da Vallona, incominciarono a planare preparandosi all'atterraggio, quando improvvisamente l'apparecchio del povero Antonio venne assalito da un caccia nemico che, dopo breve duello, riusciva ad avere il sopravvento e a forargli con una raffica di pallottole incendiarie i serbatoi.
     «Data la quota alla quale si trovavano gli apparecchi – circa mille metri – fu possibile al Caproni, mediante una picchiata fortissima, avvicinarsi alla terra e sperare nella salvezza; quando a poche centinaia di metri dal suolo i serbatoi scoppiarono, trasformando l'apparecchio in una massa di rottami. I cadaveri dell'equipaggio vennero trovati con l'apparecchio a Beistrova (dieci chilometri da Vallona) e quasi subito raccolti dai soldati accampati nelle vicinanze. Le salme del povero Antonio, dell'altro pilota e del capitano Giuliani erano intatte... Fra non molto erigeremo sopra la tomba, e sempre a cura della squadriglia, un monumento...».
     Altri particolari, riferiti dal sergente Buffoli, che pilotava in quella azione l'altro Caproni, illuminano di splendida luce l'eroica condotta di lui. Attaccato di sorpresa dal velivolo nemico, egli non smarrì la propria calma, ma tenendo impavido il comando dell'apparecchio, tentò in uno sforzo supremo di affrettare l'atterramento. L'audace disperato tentativo fu reso vano dallo scoppio dei serbatoi: l'apparecchio, da parecchie centinaia di metri, precipitò in fiamme entro le nostre linee, a una diecina di chilometri dal campo d'aviazione; ed egli fu trovato al proprio posto con le mani su le leve.

***


      Così, al tramonto del giorno che segnava l'inizio di una radiosa vittoria delle armi nostre, egli cadde avendo compiuto fino all'ultimo tutto il suo dovere; e caddero con lui il capitano Leonardo Giuliani, il tenente Manlio Candela e l'aspirante G. Battista Boero.

(Dalle memorie del tenente colonnello Armani).

L'aviazione da bombardamento in Dalmazia.


     La guerra contro l'Austria era finita, e noi rimanevamo inoperosi al Campo di Poggio; si voleva fare qualche cosa, si voleva eseguire un rilievo fotografico della zona ed a tale uopo si erano attrezzati due triplani con 12 macchine fotografiche.
     Non ci pervenivano ordini, ci annoiavamo; si sapeva che il campo prima o poi avrebbe dovuto sciogliersi, quindi uno stato d'animo di tutto il personale che era contrario ad ogni attività.
     Finalmente viene un ordine che solleva l'animo di tutti; si deve costituire l'Aviazione della Dalmazia.
     Il 20 aprile su di un piccolo bastimento messomi a disposizione dalla Regia marina parto alle ore 13 da Venezia.
     Si naviga fino a sera costeggiando il banco di mine che costituisce lo sbarramento dell'alto Adriatico: la notte calma si passa in alto mare, all'alba entriamo fra le isole, navighiamo nei canali della Dalmazia, verso le 12 siamo in vista di Zara, alle 13 siamo in porto.
     Il Governatore è a Sebenico, con un'automobile vado al governatorato percorrendo la strada Zara – Bencovaz – Scardona – Sebenico, attraverso il canale della Kerka, larghissimo braccio di mare che s'interna formando i meravigliosi porti naturali di Sebenico e... dove rimasero immobilizzate ma al sicuro per tutta la durata della guerra le flotte mercantili dell'Austria e che non si sa dove finisca il mare e dove cominci il fiume.
     La Kerka che poco più a monte di Scardona forma le famose e ricche cascate, imponenti e caratteristiche per la loro forma che le fa assomigliare più a lavori d'uomo che della natura per le sue successive cascate.
     Rapidi e brevi accordi col Governatore.
     Il campo è già in costruzione presso Zara a circa 12 chilometri nell'interno presso il paese (se però si può chiamare paese) di Zemonico le cui abitazioni sono primitive e molto simili a quelle dei beduini in Libia; unica casa veramente tale è il convento dei Frati che sorge su un'altura a Est del paese.
     Il campo, ho detto è in costruzione come campo, ma manca completamente di hangar e di baracche.
     Torno in Italia, dispongo per l'organizzazione e con sollecitudine insperata ed inaspettata riesco in breve tempo a far partire da Ancona 2 piroscafi carichi di materiali, materiali presi al campo di Poggio Renatico.
     Intanto per aver subito dei mezzi aviatori in Dalmazia faccio partire la squadriglia S. V. A. che trovavasi a Zaule (Trieste) che nello spazio di cinque giorni parte e si sistema al Campo.
     Nel giugno il campo è in grado di ricevere anche i reparti che erano a Poggio Renatico, ma per varie cause nel mentre si trasferisce una parte del personale, rimangono a Poggio Renatico gli apparecchi.
     Intanto noi che prima eravamo alloggiati a Zara, ci si trasferisce a Smilcich piccolo paesetto nell'interno a circa 23 km. da Zara, ove parte degli abitanti ci accolgono fraternamente e ci sono prodighi di ogni cortesia e benevolenza.
     Si trasferiscono così circa 2 mesi nel lavoro di organizzazione finché ci viene l'ordine di rientrare in Italia senza aver avuto la soddisfazione di portare in volo in Dalmazia i nostri Caproni.
     Pazienza! Necessità di cose ha voluto così.
     Mancata così la possibilità di eseguire voli, abbiamo studiato la Dalmazia percorrendola per via ordinaria e più di una volta ci portammo ai paesi di confine della zona occupata sulle Alpi Demariche.
     Sorvolerò quindi sulla vita di lavoro e voglio solo ricordare la nostra vita con la popolazione.
     Ho detto una parte italianissima ci colmava di cortesia, un'altra jugoslava non ci osteggiava, ma si comprendeva benissimo che non vedeva l'ora che ce ne fossimo andati.
     I nostri amici erano i bambini: quando ci recavamo al bagno eravamo accompagnati da una schiera di questi ragazzi che facevano a gara quando si trattava di salire sull'automobile. Naturalmente vi erano sempre i malcontenti: quelli che rimanevano a terra per mancanza di posto.
     Zvita e Josef, chi erano? Erano i prediletti della comitiva, erano fratello e sorella; per loro il posto non mancava mai, loro facevano parte ormai dell'aviazione della Dalmazia.
     Come erano venuti a far parte della nostra famiglia?
     Una sera verso le 22, nel rientrare in casa (nella casa ove avevo l'ufficio e la camera ove dormivo) trovo sulla porta questi due ragazzi, tutti e due vestiti con una camicia da soldato legata alla vita con una cinghia da pantaloni. Sanno qualche parola in italiano.
     Piagnucolando mi fanno capire che sono scappati da casa perché i genitori li battevano.
     La signora, padrona della casa, fa da interprete e vengo così a sapere che il babbo, morta la prima moglie di cui i due ragazzi erano figli, ne aveva sposato una seconda e questa non potendo vedere i due ragazzi li batteva.
     Cerco di persuaderli a tornare a casa, ma non ne vogliono sapere; allora provvedo a dar loro da dormire e da quel giorno sono stati con noi.
     Vivevano ove dormivano i soldati, avevano il loro pagliericcio, mangiavano il rancio dei soldati ed in cambio si rendevano servizievoli, andando a prendere acqua, aiutavano il cuciniere a preparare il rancio, aiutavano anche l'automobilista a pulire l'automobile.
     Erano diventati i figli del distaccamento; li abbiamo vestiti meglio ed abbiamo cercato di educarli e di istruirli.
     Viene l'epoca della partenza.
     Zvita vuole venire in Italia. Svolgo tutte le pratiche necessarie e quindi la porto meco.
     Speravo poterla far ricoverare in qualche istituto in Italia e farle del bene. Appena in Italia mi trovo nelle difficoltà perché dovevo viaggiare continuamente e non sapevo dove lasciarla.
     Mi viene in aiuto Guelfo Civinini che la ospita in casa sua. Ma... la mia premura, quella di Civinini e della sua signora rimangono ben deluse. L'istinto randagio, di libertà di Zvita non tollera freni, non può vivere nella città, non può vivere circondata dalle premure e dall'affetto delle persone buone: si dimostra cattiva, caparbia; non è più obbediente e docile come era stata sempre con me.
     Mi ero ingannato sul suo carattere o l'affetto che aveva dimostrato verso di me non lo sentiva verso coloro che mi avevano sostituito.
     Visto inutile poterla far vivere in Italia, provvidi a farla rientrare a Smilcich.
     Dove sarà ora? Che farà? Non ne ho più saputo nulla.
     Ritornando a noi, non starò a descrivere il lavoro fatto per la sistemazione del campo: sarebbe noioso.
     Certo è che ce ne venimmo via dalla Dalmazia disillusi perché avevamo sperato di poter fare qualche cosa di utile!
     Ce ne venimmo via e lasciammo a Smilcich la sola squadriglia S. V. A.. che vi era venuta nei primi tempi.


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