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------------- Aggiornamento -------------

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Ringraziamo tutti coloro che ci hanno aiutato fin ora e speriamo molti altri si uniscano a noi per salvare Fronte del Piave.




Maggiori informazioni e aggiornamenti qui.

 
     
 

 

VALDOBBIADENE

Capitano degli Alpini Franco Tonolini: M.O.V.M.

 
 
...Contro l’ostinata resistenza del nemico
si slanciava intrepido con due plotoni sul
margine del costone munitissimo, spezzando
definitivamente la tenacia dell’avversario che
si diè alla fuga. Vi trovava eroica morte.

D’improvviso
è alto
sulle macerie
il limpido
stupore
dell’immensità

L’uomo
s’è curvato
sull’acqua
sorpresa
dal sole
e si rinviene
un’ombra
cullata
e piano franta
in riflessi insenati
tremanti
di cielo

Vallone il 19 Agosto 1917

Vanità
di Giuseppe Ungaretti

 

 


 
*FRANCO TONOLINI*

“ Ufficiale di conosciutissimo valore e di raro ardire, sempre pronto ad ogni aspro cimento, animato da fede indomabile che sapeva trasfondere in ufficiali e truppa, fu costantemente primo fra i primi di fronte al nemico. Nel difficile passaggio di un fiume, rivendicò per sé il compito più arduo. Trascinò imperterrito la Compagnia sotto il fuoco intensissimo di mitragliatrici per la conquista della Montagnola, rendendone facile la conquista a reparti di un altro Battaglione. Contro l’ostinata resistenza del nemico si slanciava intrepido con due plotoni sul margine del costone munitissimo, spezzando definitivamente la tenacia dell’avversario che si diè alla fuga. Vi trovava eroica morte ”.

 
 
Montagnola di Valdobbiadene,
28 Ottobre 1918.
 

 

La XII Armata composta di una Divisione di fanteria francese e di unità italiane, si mosse, secondo l’ordine, all’alba del 24 Ottobre: scese dal Monte Tomba e dal Monfenera nella conca di Alano e riuscì a stabilirsi sulla sponda Nord del torrente Ornic.
Migliorate le condizioni atmosferiche, la XII Armata gettava un ponte sul Piave in una località detta Molinetto, ed alla sera del 27, verso le ore 23, i Battaglioni Alpini Verona e Bassano varcavano il fiume; ammassandosi sotto il fuoco della fanteria nemica, al mattino del 28 iniziarono la conquista della terrazza del Piave e di adiacenti località sopraelevate, donde il nemico dominante infliggeva perdite gravi ai nostri, tanto che il solo “Verona” ebbe 400 uomini fuori combattimento.
La notte sul 27 Ottobre il Battaglione Stelvio (dice un Comandante del Battaglione) si accingeva a passare il Piave per muovere di rincalzo al “Verona” all’assalto delle posizioni nemiche sulle alture di Valdobbiadene.
Tiri aggiustati dell’artiglieria nemica distrussero la passerella nostra, ed obbligarono il Battaglione a sostare in prossimità del fiume, in posizioni scoperte, bersagliate dal fuoco nemico. Nella notte seguente il Battaglione si ammassò di nuovo presso il fiume; solo verso le 5,25 compiuta la passerella, il Battaglione passò.
Quando al Battaglione giunse l’ordine di cooperare con il Battaglione “Verona”, all’attacco della Montagnola, il Capitano Tonolini, comandante della 137a Compagnia, con baldanza ed entusiasmo giovanili, rivendicò per sé e per i suoi soldati l’onore ed il cimento del primo posto, ed alla testa della Compagnia andò all’attacco. Il ciglione dell’altura era spazzato dal nemico; la Compagnia del Battaglione “Verona” che operava al centro, era quasi inchiodata al terreno ed immobilizzata. Occorreva che la Compagnia di destra, sacrificandosi, tentasse un aggiramento, si gettasse sul nemico per spezzare la resistenza di mitraglieri ed abilissimi tiratori. Il Capitano Topolini intuì tale necessità e si slanciò oltre il ciglione alla testa di due plotoni, verso il nemico.
Una pallottola lo colpiva a morte nell’atto eroicamente superbo; il Comando del Battaglione del Battaglione proponeva che alla sua memoria fosse concessa sul campo la medaglia d’oro al valor militare colle seguenti motivazioni:

“ Ufficiale di conosciutissimo valore e di raro ardire, sempre pronto ad ogni aspro cimento, animato da fede indomabile che sapeva trasfondere in ufficiali e truppa, fu costantemente primo fra i primi di fronte al nemico. Nel difficile passaggio di un fiume, rivendicò per sé il compito più arduo. Trascinò imperterrito la Compagnia sotto il fuoco intensissimo di mitragliatrici per la conquista della Montagnola, rendendone facile la conquista a reparti di un altro Battaglione. Contro l’ostinata resistenza del nemico si slanciava intrepido con due plotoni sul margine del costone munitissimo, spezzando definitivamente la tenacia dell’avversario che si diè alla fuga. Vi trovava eroica morte.
Montagnola di Valdobbiadene, 28 Ottobre 1918”.

Ma non invano era morto Franco Tonolini. Il nemico, investito e costretto alla difesa, non aveva potuto impedire che il ponticello del Molinetto venisse ripristinato; ed il I° Raggruppamento Alpini nella giornata del 28 poteva passare il Piave. L’avanzata diveniva travolgente. Il 29 gli Alpini conquistavano Monte Perlo, il 30 Monte Balcon, Monte Arsere ed altre quote. Rimaneva il gran baluardo, il Monte Cesen caposaldo della linea difensiva delle prealpi Bellunesi. Gli Alpini lo assaltarono e dopo aspra battaglia alle ore 16 del 30 se ne impadronivano, catturando buon numero di Bosniaci, terribili soldati, i migliori dell’esercito A.U. Così la XII Armata potè avanzare lungo la dorsale montuosa delle prealpi Bellunesi.
Franco Tonolini, di Breno (Brescia), Capitano di complemento, era stato ferito all’Ortigara, al Crosson di Folgorida e più volte decorato per valorose iniziative. Aveva 37 anni, era figlio di un glorioso veterano di Custoza ed esercitava la professione di ingegnere.
Il largo rimpianto, dice una bella pubblicazione nella quale la famiglia radunò le manifestazioni di affetto e di amore alla memoria del suo Franco, come soldato e come cittadino, per il nostro indimenticabile perduto, attesta che il sacrificio compiuto fu il più nobile, il più grande, il più generoso.
Franco Tonolini, figlio, marito e padre di famiglia, professionista con bella carriera civile aperta, che a 37 anni compie il bel gesto che gli valse colla medaglia d’oro la morte, celebra quella classe sociale, attiva e fattiva, laboriosa ed onesta, che i giovani e validi imboscati, al sicuro nelle fabbriche durante la guerra chiamavano ironicamente grassa borghesia, la quale invece fu il nerbo di quella ufficialità di complemento che tutto diede per l’onore e pel dovere, e che dopo quattro anni di guerra, quando tornò a casa, non festeggiata dalla statalità mancipia dei demagoghi, si trovò adavere insieme coi dolori artritici, coi disturbi polmonari postumi dell’umanissima trovata della chimica tedesca, la carriera intralciata dagli ex-fasciati e dagli imboscati e dovette ricominciare da capo.

 


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