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------------- Aggiornamento -------------

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Ringraziamo tutti coloro che ci hanno aiutato fin ora e speriamo molti altri si uniscano a noi per salvare Fronte del Piave.




Maggiori informazioni e aggiornamenti qui.

 
     
 

 

VIDOR

Monumento ai caduti
Stefanino Curti: medaglia d'Oro al V.M.


Sul fianco biondo del Kobilek
Vicino a Bavterca,
Scoppian gli shrapnel a mazzi
Sulla nostra testa.

Le lor nuvolette di fumo
Bianche, color di rosa, nere
Ondeggiano nel nuovo cielo d’Italia
Come deliziose bandiere.

Nei boschi intorno di freschi nocciuoli
La mitragliatrice canta,
Le pallottole che sfiorano la nostra guancia
Hanno il suono di un bacio lungo e fine che voli.

Se non fosse il barbaro ondante fetore
Di queste carogne nemiche,
Si potrebbe in questa trincea che si spappola al sole
Accender sigarette e pipe;

E tranquillamente aspettare,
Soldati gli uni agli altri più che fratelli,
La morte; che forse non ci oserebbe toccare,
Tanto siamo giovani e belli.

Sul Kobilek
di Ardengo Soffici


 


 

...La 221° compagnia Val Varaita
che presidia l’altura resiste senza
cedimenti sulla posizione, anche
verso le 15 quando gli slesiani, che
hanno trovato negli alpini piemontesi
pane per i loro denti, attaccano in forze.
Gli uomini del Val Varaita contrattaccano
tre volte, con alla testa il loro valoroso
capitano Stefanino Curti, che alla fine
cade da eroe...

 

 
*CURTI STEFANO (Stefanino)*

Capitano

Capitano ( Alpini , Comandante della 221a compagnia del battaglione "Val Varaita" ) luogo di nascita: Imola (BO) Data del conferimento: 1- 9- 1920 R.D. alla memoria. Motivo del conferimento: Preposto con la sua compagnia di alpini alla difesa di una testa di ponte di vitale interesse per le nostre truppe ripieganti, si votava con indomito ardimento e strenua, accanita lotta, riuscendo ad arrestare temporaneamente l’avversario soverchiante. Con un piccolo nucleo di generosi superstiti contrattaccava ben tre volte un nemico grandemente superiore di forze, e nell’impari lotta trovava morte gloriosa. Fulgido esempiò di eroismo e di sentimento del dovere, spinto al consapevole sacrificio di se stesso.
 
 
Vidor, 10 novembre 1917.
 

Rimane ancora intatto soltanto il ponte di Vidor a nod-ovest del Montello.
Il piano strategico del Commando Supremo italiano, poi dimostratosi velleitario e irrealizzabile, era di mantenere una testa di ponte oltre il Piave a Vidor e Valdobbiadene, per scatenare una controffensiva contro l’ala destra delle forze austrotedesche avanzanti nella pianura ( forse si sperava di poter impiegare anche le divisioni alleate che stavano giungendo sul fronte italiano).
Nel frattempo si delinea gravissimo il ritardo della IV Armata, che il mattino del 9 novembre ha ancora colonne in ritirata a Longarone e a nord del solco Arsiè-Feltre: situazione che potrebbe consentire alle truppe della XIV Armata tedesca di incunearsi tra i reparti della IV Armata e il II Corpo ( gen. Albricci) che sta completando lo schieramento sul Montello. Per far fronte a questo concreto pericolo viene ordinato comunque di realizzare la testa di ponte sulla sinistra del Piave a Vidor.
Le forze che dall’8 novembre, agli ordini del gen. Corelli, comandante della II Brigata bersaglieri, devono difendere oltre 4 km di linea, sono, con la loro ubicazione nello schieramento, da sinistra a destra:
- Battaglione Val Pellice (magg. Neri), dalla riva del Piave, lungo la strada Bigolino-San Giovanni, fino al ponticello sul Rio Calmaor.
- Battaglione Monte Granero ( cap. Robecchi), lungo il rio Calmaor fino alla q. 227 esclusa.
- Battaglione Val Varaita ( magg. Banfi), dalla dorsale di q. 227 al Col Marcon q. 194 compreso.
- Battaglioni bersaglieri ciclisti VI e VII, ridotti a sparuti nuclei a causa delle perdite subite in azioni di retroguardia, il primo nella selletta tra il Col Marcon e l’Abbazia, il secondo in linea sulla sinistra del battaglione alpini Val Pellice.
- IV reparto d’assalto, a difesa ravvicinata della testata nord del ponte di Vidor.
- Compagnia volontari alpini Feltre ( ten. Rodoani), sulla collina dell’Abbazia e fino alla riva del Piave.
- Compagnie mitragliatrici alpine 821°, 980°, 981° e 983°, schierate come risulta dalla cartina “la”.
- Batteria da 65M proveniente da Cima Ombrettola e batteria da 70M proveniente dal Sasso di Stria, schierate ciascuna in due sezioni come risulta dalla cartina “1°”.

Possono concorrere alla difesa con il loro fuoco d’appoggio le batterie 2° e 5° da 75mm del XVII reggimento d’artiglieria da campagna di Novara, in postazione alla Madonna della Rocca sulle pendici del Monte Sulder, a ovest di Cornuda, a meno di 5 km dal perimetro della testa di ponte.
La situazione è critica: le trincee e le postazioni sono appena abbozzate( profonde al massimo 60 cm) e i reticolati sono soltanto fili di ferro racimolati sul posto e tesi da palo a palo dei vigneti; ma l’ordine è perentorio: si deve resister il più possibile, perché più il tempo passa e più aumentano le possibilità di consolidare le precarie difese sul Montello e di permettere ai reparti di coda della IV Armata di sfuggire alle incalzanti avanguardie austrotedesche e di occupare le posizioni sui monti Grappa e Tomba.
La testa di ponte di Vidor è nel settore d’avanzata della XII divisione slesiana del Gruppo Stein, la fortissima unità che aveva concorso in modo rilevante allo sfondamento di Caporetto con l’arditissima avanzata del 24 ottobre 1917 lungo le due sponde dell’Isonzo. Le avanguardie della XII, arrivate la sera del 9 novembre a Farra e Pieve di Soligo, si mettono in marcia prima dell’alba, certe di raggiungere il Piave con la stessa facilità con la quale avevano finora compiuto tutte le fasi dell’avanzata.
Alle prime luci del 10 novembre gli alpini scorgono gruppi di uomini che si stanno avvicinando alla linea di difesa della testa di ponte, ma non possono subito far fuoco perché non si può con certezza distinguere nella semioscurità se siano amici o nemici. Si tratta infatti di retroguardie di un reparto d’assalto “Fiamme nere” che ripiegano verso il ponte di Vidor, seguite da vicino da reparti di punta tedeschi.
Escluso da testimoni che i difensori abbiano sparato per sbaglio ai nostri ( come fu asserito da qualche ardito), l’estremo reparto di “Fiamme nere” riesce a ritirarsi entro la testa di ponte e poi a passare al di la del Piave. Approfittando della situazione gli slesiani hanno però potuto avvicinarsi più del consentito alle linee italiane e verso le 9 sparano da breve distanza raffiche con “handmaschinengewehre” (mitragliatrici portatili). Vista la pronta risposta degli alpini, fanno poi intervenire la loro artiglieria con un intenso fuoco di preparazione all’attacco.


L’assalto si accanisce con maggior violenza contro Col Marcon, che viene sconvolto dal tiro dell’artiglieria tedesca, ma i tentativi di sfondamento sono respinti. La 221° compagnia del Val Varaita che presidia l’altura resiste senza cedimenti sulla posizione, anche verso le 15 quando gli slesiani, che hanno trovato negli alpini piemontesi pane per i loro denti, attaccando in forze. Gli uomini del Val Varaita contrattaccano tre volte, con alla testa il loro valoroso capitano Stefanino Curti, che alla fine cade da eroe ( Medaglia d’oro). Ricevuti rinforzi, comandati dal capitano Negro, pure lui caduto sul campo di battaglia, gli assalitori tedeschi sono respinti. Le infiltrazioni avvenute tra i reparti sono eliminate da arditi alpini al comando del tenente Polla, con feroci corpo a corpo.
Le avanguardie della XII divisione slesiana nel frattempo avevano anche attaccato, quantunque con minor veemenza, le linee tenute dai battaglioni Val Pellice e Monte Granero, senza riuscire a superarle.
Intorno alle 17 cade il comandante del battaglione Val Varaita, maggiore Ippolito Banfi, mentre si trova in linea fra le compagnie 222° e 223° a incitare con l’esempio i suoi alpini. Poco prima era giunto l’ordine di ritirata, che i reparti eseguono ordinatamente, passando il Piave sotto la protezione del IV reparto d’assalto. Purtroppo alla compagnia volontari alpini Feltre e alla 981° compagnia mitraglieri, in linea all’estrema destra della testa di ponte, non arriva l’ordine di ritirarsi e vengono perciò circondati dai tedeschi che, non incontrando più resistenza, hanno raggiunto il Piave alla loro sinistra e ne precludono il ripiegamento.
Asserragliati nella Villa Alberini, gli alpini provano un’ultima difesa sparando dalle finestre e poi tentano una disperata sortita. Soprafatti dopo una mischia all’arma bianca, i superstiti sono fatti prigionieri.
Dopo che sono stati resi vani dagli arditi alcuni tentativi tedeschi di ostacolare il loro sganciamento, la III° compagnia del IV reparto d’assalto transita per ultima verso le 19 sul ponte di Vidor, che viene fatto saltare alle 20.
Nella difesa della testa di ponte le perdite italiane sono di 15 ufficiali e di circa 300 soldati, con forte tributo di sangue del battaglione Val Varaita.
Con questo fatto bellico, in cui riluce il valore di truppe alpine italiane impegnate in un inconsueto campo di battaglia non montano, termina la ritirata dell’esercito italiano sul Montello e sul Piave, dalla stretta di Quero alla foce; nello stesso giorno, 10 novembre 1917, si accende sull’Altopiano dei Sette Comunica battaglia “d’arresto” e iniziano sui rilievi settentrionali del Massiccio i duri combattimenti per la difesa del Monte Grappa.
Il generale Krafft Von Dellmensingen, sulle vicende del 10 novembre nel settore del Montello, scrisse: “la XII° divisione aveva tentato di travolgere la testa di ponte nemica a Vidor, sperando di riuscire a passare il ponte mescolandosi ai reparti nemici in ritirata: ma l’impresa incontrò una seria resistenza, sostenuta dall’intervento di numerose batterie postate sulla sponda destra del Piave. A sera la divisione ancora non era riuscita ad avvicinarsi al ponte, che verrà fatto saltare dal nemico durante la notte sull’11 novembre”.


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