Alessandro Platone |
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Dimentico di sé stesso, non pensava che a moltiplicare le sue energie, a trasfonderle nei suoi dipendenti, nelle truppe, instillando la fede nella Vittoria che alla Divisione doveva nuovamente arrivare. Chi seppe mai delle sue interminabili ore di lavoro, nelle quali non aveva dinanzi a sé che il Dovere della Patria, Dovere da compiersi in silenzio e con ardore, senza limitazioni? La famiglia, la famiglia che adorava era si sempre nel suo cuore, ma coincideva con l’immagine sacra della Patria…e semplici cartoline recavano alla sposa diletta, ai suoi figliuoletti, un’assicurazione di star bene, la raccomandazione di star sereni, tranquilli, fiduciosi, una parola di saluto; e null’altro.
Nulla del suo lavoro, del suo sacrificio, del suo martirio. Talora sembrava a lui che la purezza della sua opera ne sarebbe stata menomata! Quanta altezza sublime di sentire!
Nelle aspre vicende della ritirata, sempre sereno, adempiere i suoi doveri con quella avvedutezza e quella energia che aveva apprese nelle lotte sud-africane, che aveva meditate nei lunghi affannosi studi. Ma quella che era incrollabile era la sua fede. “Si vada indietro di mille chilometri; non importa. Torneremo innanzi più avanti che mai. Lavoriamo tutti per questo!”. E dava esempio della più febbrile attività.
La Divisione si ricostituisce prontamente e completamente, sempre mercè la sua opera paziente e sapiente, ed è poi subito impiegata sul margine orientale dell’altopiano di Asiago per sbarrare la via al nemico, vittorioso alle Melette di Gallio.
E la via è sbarrata per sempre.
La sua Fede, dunque, comincia a trionfare. Chiese che la Divisione avesse un motto, e il motto non poteva essere che questo: “Una Fides Victoria”.
Esso fu scritto dovunque, ma soprattutto nei cuori di ognuno, come nel suo.
Esso fu l’ispiratore della preparazione che nei dintorni della patriottica Vicenza, la 60a Divisione faceva per nuovi, imminenti cimenti del giugno 1918.
Si avvicinava l’offensiva austriaca. Questa volta non doveva passare: o doveva passare sui nostri cadaveri. A questa fiamma furono temprate le volontà dei componenti la Divisione di cui il colonnello Platone era Capo di S.M.
Venne il 15 giugno. Al rombo dei cannoni la Divisione fu in armi e pronta a marciare. Dopo alcuni giorni di attesa impaziente, ricevette il suo compito e fu compito d’onore: “Contrattaccare le unità nemiche che avevan posto piede sulla destra del fiume Sacro a Nervesa e annientarle”.
Nella notte tra il 18 ed il 19 giugno la Divisione attaccava, stanca dopo lunghe e faticose marcie, in corrispondenza della zona nella quale avrebbe dovuto operare il 19 giugno.
Primo obbiettivo assegnato all’intera Divisione era Nervosa; di là sarebbe poi stato facile aver definitivamente ragione dell’avversario.
Compito d’onore si, ma estremamente arduo, specialmente considerando il tempo brevissimo entro il quale l’attacco avrebbe dovuto essere iniziato, in terreno non conosciuto e assai difficile a percorrersi fuori dalle strade, con truppe fisicamente stanche.
Egli sente ogni difficoltà. Prodiga se stesso per vincerle. Il suo occhio sereno non tradisce il suo dubbio: vi lampeggia la sua volontà.
Per un primo scoppio di shrapnel, sopra l’automobile ove egli accompagnava il comandante della Divisione al posto avanzato di combattimento, è ferito un ufficiale seduto dinanzi a lui. – Toccava a me – egli pensa, e sorride. Il destino lo serbava a più alta gloria.
La battaglia langue. Ostacoli insormontabili rallentano lo slancio delle truppe, ne compromettono la unità d’azione.
Verso il tramonto finalmente l’attacco si sferra deciso, sotto una cortina di fuoco dell’artiglieria austriaca. E’ grandine che non ferma il fante che vuole avanzare. Sono presenti l’eroico comandante del Corpo d’Armata S. E. Vaccari, che in persona è venuto a trascinare le truppe, e il comandante della 60a Divisione, il prode generale Pietro Mozzoni.
Fatto il primo balzo, le fanterie si arrestano.
La meta è ancora lontana. Guizzano rabbiosi i vividi lampi degli shrapnels nel cielo che si va oscurando. Là, al Piave, è la Vittoria, nel paese semi diroccato, che attende di cogliere il frutto del suo martirio: Il momento è decisivo per entrambi i contendenti.
Il colonnello Alessandro Platone, Capo di Stato Maggiore della Divisione, è anch’egli fante, tra le prime schiere di fanti! Guarda ed intende. Non vi è un attimo da perdere. Sta per calare la notte. I suoi occhi profondi e buoni, specchio dell’anima generosa, hanno un bagliore improvviso e una parola esce dalle sue labbra, imperiosa, trascinante: “A Nervesa ! ”.
Segue al pensiero l’azione, con quella ammirabile fulmineità che la natura e la lunga esperienza della guerra dal Congo al Carso e al Piave rendevano possibili in lui. E alla testa dei primi animosi, sorridente e sicuro, sotto l’impulso irresistibile della sua fede e del suo carattere, egli si lancia nella direzione agognata.
Si, a Nervesa ! O morti sulla via di Nervesa, con le braccia protese verso Nervesa !
Così cade il fante che vuol vincere anche cadendo, e scaglia l’anima oltre il segno !
Sintesi sublime di un’esistenza tutta votata entusiasticamente alla Patria e al Dovere.
Dal ponticello ferroviario sul Piavesella, nei pressi delle prime case di Nervesa, cui egli risolutamente tendeva obbedendo al suo impulso sublime, crepitano d’un tratto le mitragliatrici spezzando la sua esistenza mortale.
Egli cadde, e non strinse nel suo pugno la Vittoria; ma questa pietosamente, tre giorni dopo, sfiorò con la carezza dell’ala il suo eletto, ed egli vide certo e sentì i fanti, che tanto amava, precipitarsi, tuonando il grido di guerra, sul nemico travolto per sempre oltre Piave.
Un piccolo modesto monumento sorge ora nel silenzio e nella pace di così eroico sacrificio: così vollero l’affetto e l’ammirazione dei fratelli d’armi.
Inchiniamoci riverenti alla memoria dell’Eroe di Nervesa della Battaglia.
Egli cadde come sognava; fante alla testa di fanti; umilmente, oscuramente, come il fante. Perciò la sua gloria è più pura, maggiormente piena di fascino e di luce.
E’il simbolo vero di ciò che possa la passione per la Patria quando è veramente profondamente sentita.
E’ bello ricordar questo ora che “gli Italiani hanno riacceso il fuoco dell’ara d’Italia”.
“Durante un aspro combattimento, recatosi per esigenze delle sue funzioni sulla linea più avanzata in un momento in cui occorreva dare speciale impulso all’azione, portavasi arditamente avanti ai combattenti; e, postosi alla testa di un manipolo di prodi, incitandoli col proprio contegno e con calda parola, li trascinava con generoso slancio e con serena baldanza all’assalto di una forte posizione difesa con nutrito fuoco di mitragliatrici. Colpito in fronte, a pochi metri dalle micidiali armi avversarie, lasciava gloriosamente la vita sul campo.”
– Nervesa (Piave), 19 giugno 1918- |