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Maggiori informazioni e aggiornamenti qui.

 
     
 

Le giornate di Caporetto.


     Tristi e dolorose giornate. Arrivano le prime notizie... un senso di sconforto invade tutti..., ma l'abbattimento non è duraturo. Si deve lottare, si deve far fronte all'incalzante avanzata del nemico inorgoglito dai suoi successi derivati più che dal valore delle armi dei suoi soldati, dallo sgretolamento della nostra compagine per la deleteria campagna antinazionale e antibellica fatta dai partiti nemici della Patria.
     Triste sera quella del 24 ottobre...
     Pioveva, al campo di Aviano giungevano alla spicciolata gli apparecchi delle squadriglie avanzate, giungevano sotto la pioggia volando a bassa quota, sembravano uccelli fugati dal temporale che cercassero uno scampo in un luogo più sicuro.
     Triste sera; l'arrivo di questi sbandati ha continuato così fino a tarda sera.
     Da 60 ufficiali che eravamo ad Aviano, quella sera eravamo arrivati a 200. Necessitava anche dar da mangiare a tutti. La mensa non poteva ospitarli; le risorse erano scarse, ma non si può non aiutare i nostri compagni, formiamo diversi turni e così tutti riescono a mangiare, tutti alla notte riescono a dormire. Ogni cameretta si è trasformata in un dormitorio.
     E si vive diversi giorni così mentre le risorse vanno sempre più assottigliandosi. All'ultimo ho dovuto razionare tutto.
     Poveri colombi viaggiatori!
     Il loro destino era segnato.
     O morir di fame per mancanza del mangiare che non si trovava più, o morire per servire da pasto a noi che ormai eravamo senza viveri. Si sono immolati e per quella sera tutti gli ospiti di Aviano hanno avuto da mangiare. Io stesso provvedevo alla distribuzione del pane e delle scatolette di carne alla truppa, anche ad una squadriglia francese, provvedevo, io, per evitare che qualcuno potesse favorire l'amico, il compagno. Necessitava essere rigidi, non lasciare impietosirsi da chi domandava ancora del pane perché aveva ancora fame.
     Ed in quei giorni tutti in mezzo al dolore, alla preoccupazione di far vivere tanta gente, di mantenere la disciplina, l'organizzazione, gli aviatori si sono prodigati, l'aviazione nemica rafforzata dalla caccia tedesca ci ha inflitto dolorose perdite, su 33 apparecchi da bombardamento in quei giorni ne abbiamo perduti 11, si partiva senza scorta, si andava ovunque, perché ovunque la nostra presenza era necessaria per arrestare l'avanzata col lancio dei nostri carichi di morte, necessaria per l'aiuto morale che davamo ai nostri.
     Era doloroso volare in quei giorni, doloroso dover lanciare le bombe sui nostri territori, distruggere paesi e case nostre, forse uccidere dei nostri connazionali.
     Alla notte i bombardamenti erano ancora più dolorosi e tristi, gli occhi involontariamente si velavano di lacrime.
     Ovunque era il divampare di incendi, ci spingevamo fino a Tolmino, sulla Bainsizza, là dove pochi giorni prima eravamo andati vittoriosi, ora vi andavamo col cuore sanguinante.
     Quelle fiamme sparse per le valli, per le pianure, che spettacolo tragico e doloroso!...
     Come dimenticare una mattina triste, plumbea, piovigginosa... Dovevamo bombardare il ponte di Codroipo...
     Il nucleo passa a 2000 metri sull'obbiettivo... il nemico non spara, le artiglierie antiaeree non si fanno vive, ma allora? Il nemico non è ancora a Codroipo?
     Mi abbasso, gli apparecchi del nucleo mi seguono, si scende a 1000 a 500 metri, più giù, mentre il fuoco delle artiglierie non ci cerca.
     Triste spettacolo: il ponte è rotto dalla parte nostra, i nostri nel ripiegare l'hanno fatto saltare. Una colonna composta si allunga, gremisce il paese di Codroipo, le strade che vi conducono. Tutti nostri che col cuore sanguinante, raccolti pochi indumenti cercavano di passare il Tagliamento e mettersi in salvo dietro le nostre truppe per cercare di sfuggire alle barbarie delle soldataglie nemiche, dei tedeschi, e sono stati tagliati fuori. S'immagina il dolore di quella gente...
     Il nostro obiettivo si cambia, il cuore di ogni aviatore ha capito, ci siamo allontanati e abbiamo gettato il nostro carico di morte più addietro, più verso Udine ove invece trovammo le colonne nemiche avanzanti.
     Lanciato così questo carico siamo tornati sul fiume gonfio per le recenti pioggie e ci siamo abbassati fino a 20 metri sul greto.
     Quali terribili ed altre dolorose e strazianti scene.
     Negli isolotti lasciati liberi dall'acqua, gruppi di soldati, di persone che si vedevano tagliate dalla vita. Le acque del fiume sempre più minacciose e chi di quelli che si trovavano sulla terra ferma poteva pensare a loro?
     Siamo scesi con l'apparecchio, con le mani cercavo d'incoraggiarli e loro tendevano le braccia quasi invocanti soccorso, quasi imploranti di essere presi a bordo del velivolo.
     Forse anche avevano fame e noi non avevamo nulla da dare, nulla potevamo fare, quale sarà stata la loro fine?
     Partiti col carico di morte, liberatici da questo, siamo tornati col carico di dolore. E quale strazio in quei giorni volare sulle nostre linee, linee appena abbozzate poche truppe alla loro difesa.
     E al ritorno dai bombardamenti si volava basso, si sventolavano i fazzoletti, delle bandieruole per invitare i nostri fanti alla lotta, all'estrema difesa.
     Ma un altro ripiegamento doveva avvenire, dovevamo ritirarci dietro il Piave.
     Siamo al 31 ottobre. Fin dal mattino si attende l'ordine di lasciare il campo, sono preparate le mine per far saltare hangers, casermette, depositi di benzina e munizioni.
     I convogli coi materiali sono pronti, con gli apparecchi si fanno ancora bombardamenti.
     Sono le 12 e un Comando di Corpo d'Armata chiede d'urgenza che si portino viveri a truppe della III Armata che sono ancora sulla sinistra del Tagliamento.
     Poco si potrà fare, il carico che si può portare è poco per sfamare un Corpo d'Armata e i viveri gettati dall'alto come arriveranno a terra?
     Si parte e si compie anche questo servizio importantissimo, quest'opera di soccorso ai nostri fratelli che in terra contendono il passo al nemico soverchiante ed imbaldanzito!
     Viene la sera: triste e dolorosa sera!...
     Viene l'ordine di lasciare il campo ove deve rimanere un ufficiale con pochi uomini per effettuare il brillamento delle mine al momento opportuno.
     Il gruppo si deve trasferire a Padova. Verso le 18 si parte.
     Una piogerella fine fine rende ancor più doloroso il viaggio. Si abbandona il nostro campo che ci ricordava tante belle imprese, si sorvolano le strade che brulicano di carreggi e di soldati che ripiegano.
     Fa notte quando si arriva. Comincia così un nuovo periodo di guerra.

DOPO CAPORETTO.


      Le nostre azioni continuano incessanti, da Padova si compiono bombardamenti diurni e notturni e ci spingiamo oltre le vecchie nostre posizioni. Di notte andiamo ancora a bombardare i nostri campi di Aviano, Comina, Campoformido, andiamo a bombardare i nuovi campi organizzati dal nemico, andiamo a bombardare le stazioni ed i suoi centri di vita.
     Il gruppo si divide in due: una parte va a Ghedi per riorganizzarsi, le perdite dolorose lo avevano di molto assottigliato.
     Verso la metà di dicembre vado anch'io con la metà del gruppo che era rimasto a Padova, ma non vi rimango che pochi giorni, il 6 gennaio sono chiamato a Padova per assumere il comando del raggruppamento che era diviso fra Padova, S. Pelagio e Ghedi.
     Lascio così il comando dell'XI gruppo al maggiore Salomone.

IL RAGGRUPPAMENTO DAL 6 GENNAIO 1918 AL 7 LUGLIO 1918.


       Si attraversa un altro periodo di crisi, alle perdite che il nemico ci infligge con la sua caccia si aggiungano i bombardamenti dei campi specie quello di Padova.
     Descrivere le notti di terrore di Padova sarebbe troppo lungo e d'altra parte sono già certamente note a tutti.
     Il campo di Padova è preso di mira, una notte i nemici colpiscono in pieno un hanger ed il deposito della benzina, un'altra notte sono due hangers che fanno saltare ed in questa notte si perdono 24 apparecchi.
     Sono le 22, gli apparecchi sono sulla linea col loro carico di bombe pronti per partire per un bombardamento.
     Il rombo dei motori nemici si fa sentire, le artiglierie nostre iniziano il tiro di sbarramento, ma i velivoli sono sul campo, cadono le prime bombe, ordino ai piloti di effettuare le operazioni di partenza sia per andare subito a compiere opera di rappresaglia sia per evitare danni al materiale. Le eliche sono in moto, come al solito io parto primo alla testa del gruppo.
     Mentre ancora l'apparecchio corre sul terreno due formidabili scoppi avvengono alla mia destra ed alla sinistra, due granate cadono una su di un hanger ed una presso il deposito delle munizioni, che fortunatamente non viene colpito.
     L'apparecchio è sano, parto e vado a bombardare il campo di Aviano, obiettivo assegnato per quella sera.
     E pel ritorno il campo come sarà? Era convenuto che se il campo non avesse consentito l'atterraggio sarebbero stati messi presso le fotoelettriche dei fari rossi.
     Nessuna luce rossa è sul campo; atterro...
     Il destino non aveva deciso fosse quella la nostra ora. Fra le buche numerose che avevano danneggiato il campo, l'apparecchio atterra incolume, si ferma.
     L'imprevidenza di un comandante poteva essere causa di un fatale incidente!
     So che gli altri apparecchi non sono partiti. Tutti erano rimasti danneggiati dal tiro. Incito i piloti a rimediare agli inconvenienti, ma le difficoltà sono grandi. Un solo equipaggio dimostrando elevato sentimento del dovere e ammirabile coraggio si affretta ad effettuare le riparazioni e parte. Mi è grato ricordare il capo equipaggio: il capitano De Renzis.

ATTACCATI DA SEI CACCIA NEMICI.


      Eravamo in quel periodo doloroso dopo Caporetto quando il nemico fatto forte per le nostre perdite ogni giorno ce ne infliggeva di nuove ed ogni giorno i nostri apparecchi da bombardamento venivano decimati, anche perché la nostra caccia impiegata in altri gravosi e pericolosi servizi non poteva scortarci, tanto che il Comando Superiore preoccupato delle numerose perdite, aveva deciso di effettuare i bombardamenti con pattuglie composte di pochi apparecchi Caproni scortati da almeno un numero doppio di apparecchi da caccia.
     In quel giorno noi eravamo in 5 apparecchi Caproni ed eravamo scortati da 9 apparecchi da caccia.
     Dei 5 Caproni 2 rientrarono prima di arrivare alle nostre linee per guasti ai motori.
     Dovevamo bombardare i campi d'aviazione nemici di Feltre ed Arsiè.
     Eravamo così rimasti 3 Caproni con una scorta di 9 Caccia.
     Si avanzava in un'atmosfera relativamente calma malgrado un vento teso contrario rendesse lenta la marcia, il tiro delle artiglierie antiaeree poco intenso, sembrava quasi un volo di piacere.
     Ad un tratto si profila all'orizzonte una pattuglia di apparecchi da caccia.
     Sono nostri? Col vento in favore in brevissimo spazio di tempo ci sono sopra.
     Sono sulle nostre teste a meno di 50 metri, vediamo le croci nere che li contradistinguono, sono 6 Caccia nemici.
     Che avvenne? Non saprei descrivere; l'osservatore ed il mitragliere del mio apparecchio aprono il fuoco con le mitragliatrici di bordo, gli apparecchi da caccia nemici si frammischiano a quelli nostri; vedo come in sogno apparecchi che volteggiano, che si rincorrono mentre io proseguo verso l'obiettivo.
     Vedo un Caccia precipitare, sarà nostro, sarà nemico?
     Chi può distinguerlo in quel frangente tragico?
     Intanto col nostro Caproni avanziamo e ci troviamo fuori della lotta, arriviamo sull'obiettivo, lanciamo le bombe, eseguiamo le fotografie e ritorniamo.
     Il cielo è sereno, nessun apparecchio è più con noi, dove sono, dove sono gli altri due Caproni?
     Al ritorno sappiamo, degli altri due Caproni, uno si era spostato a destra ed uno a sinistra, uno aveva bombardato il Campo d'aviazione di Feltre ed uno la stazione ferroviaria di Borgo in Val Sugana ed erano rientrati incolumi al Campo di Padova, i Caccia sono pure rientrati tutti, l'apparecchio visto precipitare era un Caccia nemico.

IL VOLO A LUCE STELLARE.


      Già da tempo si studiava se era possibile effettuare dei bombardamenti a luce stellare, in zona territoriale si erano fatti anche numerosi voli, ma eran voli fatti sul campo: volo facile ed in cui il pilota non ha l'orgasmo di chi al rischio del volo aggiunge quello di guerra.
     Anche alla fronte si era compiuta un'azione che si era considerata come volo a luce stellare, ma tale effettivamente non può chiamarsi perché compiuta quando la luna è all'ultimo quarto e nelle ultime ore della notte tanto che il ritorno poté effettuarsi all'alba e infine perché in giugno (epoca in cui fu compiuta questa azione) le notti anche se illuni sono sempre meno buie che in gennaio.
     Noi partiamo, e qui mi è caro e doveroso ricordare gli equipaggi:


1° equipaggio: pilota, tenente colonnello Armani;
                         pilota, tenente Ridolfi;
                         osservatore, capitano Palotta;
                         al posto del mitragliatore, capitano Sabatini.
2° equipaggio: tenente Garrone;
                         sergente Zingale;
                         osservatore, tenente Fiaschi;
                         un mitragliere di cui mi sfugge il nome.

     Verso le ore 22, era buio, completamente buio, io conoscevo perfettamente la zona ove ci dovevamo portare (Levico), avevo a compagno come pilota Ridolfi, l'ottimo Ridolfi, pilota abile, ardito, sereno, prudente.
     Nessun altro equipaggio, per quanto tutti fossero stati interpellati, volle venire. Ma quella notte non riuscimmo a raggiungere l'obiettivo, noi lanciammo le bombe sull'altopiano di Asiago, l'altro apparecchio ritornò al campo col suo carico.
     Ripartimmo la sera dopo in condizioni atmosferiche peggiori per la foschia e ciò nonostante l'obiettivo fu raggiunto.
     Ma le difficoltà furono grandi, l'orientamento fu estremamente difficile.
     Si tentò ancora.
     Fu l'undici gennaio.
     Notte fatale!
     Era una notte buia, vi era anche foschia.
     Partimmo con tre apparecchi... il mio solito equipaggio, il secondo il maggiore Salomone che aveva a compagno il sergente Porta e per osservatore il tenente D'Ayala. Il terzo apparecchio il capitano De Renzis.
     Era così buio e così difficile orientarsi che io passai le linee senza accorgermene, coi fari di bordo accesi. Mi accorsi dell'errore commesso perché preso dai fasci dei riflettori nemici, ben presto fummo fatti segno a intenso fuoco di artiglieria. Un colpo fece sussultare l'apparecchio, ci sentimmo i comandi quasi inchiodati. Constatai poi all'arrivo che una scheggia si era incastrata fra le carruccole dei comandi del timone di profondità rendendo così più duri i comandi stessi.
     Atterrato al campo ero inquieto, attendevo con impazienza gli altri due, finalmente il rombo dei motori amici mi avverte che un apparecchio sta per arrivare. Sono lieto ma la mia gioia è presto troncata.
     Uno schianto in fondo al campo.
     Si accorre, non è nel campo, ma a poche centinaia di metri. E l'apparecchio di Salomone, nel buio non ha calcolato la distanza del suolo e nel virare per entrare in campo ha toccato con un'ala per terra.
     Si raccolgono i tre feriti già raccolti dalla premura amorosa di una famiglia di contadini, si trasportano all'ospedale, le amorevoli cure di abili chirurghi non valgono a salvare le due giovani ed eroiche esistenze: D'Ayala muore dopo pochi minuti. Salomone verso l'alba, il sergente Porta dopo un lungo periodo di degenza all'ospedale guarisce. Il mitragliere era rimasto incolume. Da quella notte non si effettuano più voli a luce stellare.

BOMBARDAMENTO DI BOLZANO.


      Intanto si prepara un altro bombardamento importante, quello delle opere militari di Bolzano e stazione ferroviaria e ponte sull'Eisach.
Vi parteciparono quasi tutti gli apparecchi del raggruppamento partendo da Padova, San Pelagio e Verona.
     Verso le 23 gli apparecchi spiccano il volo.
     La difficoltà di questo bombardamento era dato dalla zona montana, aspra e difficile che si doveva sorvolare, sono circa 200 chilometri fra andata e ritorno che si devono percorrere senza la speranza di salvezza in caso di un guasto ai motori o all'apparecchio che ci obbligassero ad atterrare! Ma di quale ardimento non sono capaci gli aviatori italiani?
     E tutti andarono e tutti tornarono. Fu buona ventura se in quella notte tornai al campo. Effettuato il bombardamento tutti e tre i motori hanno cominciato a funzionare male.
     Ma non ci perdemmo d'animo. Mentre io tenevo il volante, l'ottimo Ridolfi si curava dei motori e così continuando a salire quando i motori funzionavano, planando quando andavano male, arrivammo a Cima Dodici.
     Il cuore cominciò allora a rallegrarsi.
     Oh, adattabilità del cuore umano... per noi sembrava già di aver toccato il cielo col dito esserci portati nelle vicinanze delle nostre linee e pensare di potere in caso di atterraggio forzato atterrare magari in mezzo ai boschi dell'Altipiano di Asiago, ma in mezzo ai nostri.
     Ma la fortuna ci aiuta ancora e stentatamente arriviamo a Padova.
     Eppure non furono pochi gli apparecchi che durante questi bombardamenti notturni atterrarono fuori campo, ma lascio a quegli equipaggi sfortunati il compito di descriverli, io ne citerò alcuni.
     Un apparecchio una notte, colpito in pieno i motori, fu costretto ad atterrare nell'Adige, là dove la valle è più stretta poco a sud di Rovereto. L'apparecchio trasportato dalla corrente alzò la coda e l'ufficiale osservatore rimasto impigliato fra le crociere anteriori, annegava.
     Un altro apparecchio una notte atterrò nel Po e vi trovò la morte il tenente Pittaluga uno degli eroi di Cattaro.
     Così volavano i nostri eroici aviatori, così si portavano sugli obiettivi di notte e vi si portavano effettivamente anche se mancavano testimoni, anche se mancavano le fotografie, vi si portavano perché la coscienza del dovere era innata ed elevata in tutti e questo affermo con sicura fede per smentire le atroci calunnie che alcuni alle volte mosse, dubitando che dei piloti approfittassero della notte per dire di aver compiute azioni che non avevano compiute.

DI UN DEPOSITO DI MUNIZIONI NEMICO SALTATO IN ARIA.


     Si doveva effettuare il bombardamento lungo la rotabile di Codroipo-Udine. Erano stati segnalati per quella notte notevoli movimenti di truppe.
     Era una notte di plenilunio.
     Alla mezzanotte si parte dal campo di Padova. Come al solito gli apparecchi partono di 5 in 5 minuti ed io come al solito parto per primo.
     Percorro tutta la strada fino a Udine e non noto alcun movimento. Noto invece un movimento piuttosto intenso alla stazione di Udine.
     Vi passo sopra due volte, punto e lancio il mio carico di bombe. Le bombe cadono nel segno, ma due non si sono sganciate a tempo, il mitragliere provvederà a sganciarle a mano. Con dei segni mi domanda che deve fare. Avevamo già presa la via del ritorno, gli faccio segno che le lasci cadere.
     Le bombe cadono.
     Sono appena scorsi pochi secondi che un bagliore rosso c'investe.
     Il primo moto è di sgomento, l'effetto di questo bagliore così vicino (eravamo ad una quota di circa 2500 metri) ci ha fatto credere che l'apparecchio si fosse incendiato. Mi volto e scorgo che l'apparecchio naviga tranquillo nella notte plenilunare; scorgo che il bagliore è dato da una immensa fornace sulla terra.
     Che era avvenuto? Certo le due bombe cadute a caso sono andate su un deposito di munizioni e l'hanno fatto saltare.
     Effetto imprevisto ed insperato. Lo scoppio è stato udito fino a Padova.

***


     E altri, altri bombardamenti ancora dovrei ricordare, ma sarebbe troppo lungo.

***


      Siamo all'aprile del 1918; il Comando Supremo decide di modificare la costituzione del raggruppamento. Così si formano due nuclei: uno autonomo che rimane diviso fra Padova e San Pelagio; un altro alle dipendenze del raggruppamento che comprende il gruppo di Verona, quello di Ghedi e a questo viene assegnato anche la squadriglia «La Serenissima» (S. V. A.). Verso la fine di aprile il comando del raggruppamento si sposta a Verona.
     Io ne sono un poco seccato perché mi toglie dal centro delle attività. Da Verona mi trovavo lontano dal fronte, e questo fatto avrebbe certo ostacolato le nostre azioni belliche.
     Pazienza! Gli ordini non si discutono e si eseguono!
     E gl'inconvenienti sarebbero stati ancora peggiori se io di mia iniziativa, durante le azioni di guerra del 1918 non avessi disposto che il gruppo che per ordine del Comando Superiore di aeronautica si era trasferito a Cà degli Oppi (campo che dista circa 20 km. da Verona) non lo avessi fatto rientrare a Verona!
     Amari commenti dovrei fare anche al riguardo di fotografie di bombardamenti eseguiti, ma ripeto: carità di patria me lo vieta.
     Così avvenne che dislocati a Verona non poterono rendere quanto avrebbero dovuto e potuto.

LE AZIONI PIU' IMPORTANTI DI QUESTO PERIODO.


      Non ricordo qui tutte le azioni compiute dal reparti del raggruppamento, principale in questo periodo quella sulla Centrale elettrica di Fiess in val Sarca sui parteciparono anche i gruppi autonomi di Padova e San Pelagio.
     Tutte le azioni ingrate e rischiose di lancio di manifestini fatte in pieno giorno su una zona montana che rendeva così assai più pericoloso il tiro delle artiglierie antiaeree.
     Ma di due azioni compiute in questo periodo non voglio tacere: l'azione al Passo del Tonale e di un'azione sull'altopiano di Asiago in una giornata in cui nessun apparecchio né italiano né austriaco volò; ed infine di un incendio a bordo.

L'AZIONE AL PASSO DEL TONALE.


      Partiamo dal campo di Verona in sette apparecchi.
     Io, col mio indivisibile tenente Ridolfi e il mitragliere sergente Cantarutti, pilotavamo un «Ca 5», il nuovo apparecchio che per la prima volta si provava in una azione di guerra.
     Siamo partiti che cominciava ad albeggiare, la mattina annunziava una bella giornata, il cielo era limpido e la corona di montagne si profilava netta, candida per le nevi che le ricoprivano e si perdeva lontano in una leggera sfumatura.
     Giunto all'altezza del lago di Idro, eravamo ad una quota di 3500 metri, cominciarono a farsi sentire forti raffiche di vento. Dalle vette candide dell'Adamello si sollevavano veri nembi di neve.
     Da vecchio alpino ho subito riconosciuto in quei nembi la tormenta.
     Avanti lo stesso.
     Sono raffiche che ci fanno fare sbalzi di centinaia di metri, l'altimetro segnava delle oscillazioni fantastiche: da 3500 a 4000, da 4000 a 4400, poi di nuovo a 3600.
     Io vedevo gli altri apparecchi sballottati e temevo per tutti.
     Vi fu un attimo in cui vidi un apparecchio più basso di noi andare diritto contro le pareti rocciose a picco dell'Adamello!
     Come non vi si sfracellò contro? Non so. Lo vidi girare attorno ad una guglia di rocca e incanalarsi per una valle.
     Mentre questa visione mi assorbiva, un colpo di vento ci mise l'apparecchio quasi in candela (prua in basso e coda in alto).
     E la caduta avvenne per 1000 metri. Eppure, passato il primo momento di angoscia, come già altre volte mi era avvenuto, tornò la calma, una calma serena, sicuri oramai di andare a frantumarci contro le rocce sottostanti, sicuri ma tranquilli e tranquillo rimase l'intero equipaggio.
     Uno sforzo di Ridolfi, la sua abilità ci salvarono; l'apparecchio si rimise, riprendiamo la via che ci era segnata: al Tonale dovevamo concorrere ad un'azione che le nostre fanterie svolgevano in quella giornata, dovevamo essere con loro, tutti per la grandezza d'Italia, tutti per la Patria.
     Proseguimmo. Ma la lotta era immane. Eravamo sopra i 4000 metri, un Caproni vola sopra i 5000, ma un vento impetuosissimo non ci permetteva di avanzare.
     Visto l'inutilità dei nostri sforzi decidemmo di cooperare all'azione piegando a destra e lanciando le bombe in Valle Daone. Così fu fatto.
     Il ritorno si effettuò ad una velocità eccezionale; portati dal vento in breve fummo a Verona.
     Ma gli altri apparecchi? Noi eravamo rimasti soli.
     Ecco l'angoscia dei ritorni al campo quando mancano notizie dei compagni, quanto l'attesa è tormentosa, si scruta l'infinito spazio celeste – tutti i cuori sono tesi, tutti, anche quelli dei nostri fedeli coadiutori: i nostri motoristi e montatori, i soldati che ci guardano, che ci curano gli apparecchi. Ecco finalmente si avvista un apparecchio, poi un altro: sono due che ritornano.
     I piloti erano stanchi, demoralizzati della lunga lotta sostenuta. E gli altri?
     Ecco finalmente notizie.
     E finalmente si hanno anche di quelli.
     Telefonano da Ghedi che tre apparecchi, essendo gli equipaggi stanchi per la lotta sostenuta avevano atterrato in quel campo e in giornata poi sarebbero rientrati a Verona.
     Mancano notizie del 7°.
     Una furiosa raffica lo aveva fatto abbassare sul ghiacciaio del Mondrone (Adamello) circondato dalle creste rocciose, sbattuto dalla tormenta non ha più avuto la possibilità di uscirne ed i piloti che mi è caro dovere ricordare, seppero con abile maestria atterrare sul ghiacciaio da dove l'apparecchio avrebbe potuto, essendo rimasto intatto, ripartire se lo spazio ed il terreno lo avessero consentito.
     Marelli e Soliani erano i due piloti e mi è caro dovere ricordare perché pochi giorni dopo perdevano le loro fiorenti giovinezze sul campo di Verona per un futile incidente aviatorio.
     Ecco come li ricorda il tenente Manlio Borri nel saluto alle salme:
     «Marelli e Soliani, sembrano ancor qui in mezzo a noi, ricordiamo il loro chiaro sguardo ed il loro bel sorriso.
     «Marelli buono, caro fratello, che ogni parola sembrava volerci dare intero il suo cuore; Soliani, dall'animo sereno e tranquillo, sicuro di sé, franco e schietto amico, ugualmente pronto allo scherzo come alla più ragionata e cosciente serietà; tutti e due giovani, tutti e due fiduciosi nell'avvenire, con la mente pervasa da un alto sogno di gloria, col cuore votato ad un unico sublime ideale.
     «Non possiamo credere di non doverli vedere mai più, non possiamo persuaderci che debbano essere caduti qui sotto un calmo cielo sereno i due freddi e fieri piloti: Soliani e Marelli che in coppia sullo stesso apparecchio, nel maggio scorso, per tre ore consecutive, lottarono eroicamente contro la rabbia scatenata dei più furiosi elementi, facendo più del loro dovere, e non ne furono vinti, ma dalla lotta uscirono vincitori tanto che seppero prender terra con tutto l'equipaggio incolume sulla Vedretta del Mondrone a metri 3150 di altezza».
     Fu lotta titanica quel giorno ed il generale comandante la Divisione che operava al Passo del Tonale inviò al comandante superiore d'Aeronautica parole di alta lode per tutti coloro che vi parteciparono, parole giuste e sante sgorgate spontanee dall'animo di chi ci aveva veduto nel pericolo.

DI UN'AZIONE SULL'ALTOPIANO DI ASIAGO
IN UNA GIORNATA IN CUI NESSUN APPARECCHIO
NE' ITALIANO NE' AUSTRIACO VOLO'.


     Dovevamo eseguire il bombardamento di baraccamenti e depositi di munizioni alla testata di Valle Franzela (Altopiano di Asiago).
     La mattina non era una delle migliori, nubi sparse, ma che accennavano a riunirsi.
     Ad ogni modo si parte.
     Ben presto le condizioni atmosferiche si fanno pessime.
     All'altezza di San Martino Buonalbergo eravamo alla quota di 1400 metri, siamo sotto le nuvole, vi passiamo sopra, si naviga sopra a queste, ma sopra di noi troviamo un altro strato.
     Saremo forse stati all'altezza di San Bonifacio, quando abbiamo raggiunto la quota di 2400 metri. Avendo veduto chiaro verso Est abbiamo ridotto i motori e ci siamo mantenuti fra i due strati di nubi. Forse all'altezza di Vicenza questo strato scompare, abbiamo sopra di noi un cielo limpido, sotto un mare di nuvole; proseguo e piego verso Nord convinto che avrei trovato squarci di nubi, convinzione che mi ero formata perché avevo scorto presso l'orlo settentrionale dell'Altopiano di Asiago un solco nelle nuvole. Ad un dato punto infatti da uno squarcio di nuvole ho scorto un bosco di abeti: poiché nella zona i boschi di abeti non si trovano che sull'Altopiano di Asiago, ho avuto la certezza di essere sulla rotta.
     Infatti poco dopo, avendo raggiunto la quota di 3700 metri ci siamo trovati sulla Val d'Assa che era completamente allo scoperto, si scorgevano i paesi di Mezzaselva e Rotzo, il solco della Val d'Assa, le pendici meridionali di Monte Longara e Meletta di Gallo.
     Si lanciano le bombe sull'obiettivo e si prende la via del ritorno.
     Siamo di nuovo sopra un mare compatto di nuvole.
     Non era più possibile sapere dove eravamo.
     Così dopo avere navigato per circa 25 minuti verso Sud Sud-Ovest convinto di avere già oltrepassato Vicenza ho deciso di abbassarmi. Abbiamo attraversato uno strato di nuvole dello spessore di circa 150 metri: eravamo alla quota di 2800 metri e sopra ad un altro strato.
     Si prosegue nella stessa direzione, si plana e si attraversa questo secondo strato e ci troviamo alla quota di 1700 metri, ancora non si scorgeva la terra, né era possibile sapere dove eravamo.
     Siamo scesi ancora, attraversiamo un terzo strato di nuvole dello spessore di circa 500 metri, siamo alla quota di 600 metri, vediamo la terra.
     Dove eravamo? Non sapevo. In pianura sì, e fu fortuna!
     Ho scorto il greto di un fiume, mi sono diretto a quello, poco dopo vedo e riconosco un campanile, campanile consolatore, quello del paese di Breganze.
     Orientato mi dirigo a Villaverla e, date le pessime condizioni, le nubi ormai coprivano i bassi contrafforti che scendono fra Leagra ed Agno; atterro.
     Gli inglesi ci ospitano cortesemente e vorrebbero ci fermassimo, ma visto che le nubi si mantenevano ad una quota di circa 300-400 metri, malgrado l'elica cenntrale scheggiata per l'urto avuto da una bomba che rimasta attaccata al lanciabombe si è poi staccata da sola nell'atterrare, abbiamo deciso di partir e navigando così fra i 200 ed i 300 metri sotto una pioggia fine e noiosa siamo rientrati a Verona.
      E gli altri? Com'è che nell'immensa solitudine isolati dalla terra da questo strato di nuvole, ci eravamo veduti soli, tutti soli? Il perché l'ho saputo all'arrivo a Verona. Gli altri equipaggi, viste le pessime condizioni atmosferiche erano rientrati al campo.
     In quel giorno nessun altro apparecchio né italiano né austriaco ha volato in tutto il fronte italiano.

DI UN INCENDIO A BORDO.


     Quella notte si doveva effettuare il bombardamento di baraccamenti e depositi di munizioni a Folgaria.
     Alle 23 tutti gli apparecchi sono in linea pronti a partire.
     Come di consueto io parto prima e prima di lasciare il campo ci portiamo ad una quota di circa 800 metri.
     Tutto ad un tratto notiamo a terra poco lungi dal campo una vampata, altre vampate...
     Il cuore mi dice subito cosa è avvenuto...
     Una sciagura, ma che fare? Atterrare? No, il nostro dovere è di andare... si va... con la morte nel cuore, con la visione del raccapricciante spettacolo... si va... nella notte rischiarata dalla luna.... si va, ma dagli occhi non si cancella quel lampo terribile... Si va.
     Si passa il costone che staccandosi dal Gruppo della Posta per Monte Zevola e Cima Marana si spinge al piano fino ad Arzignano fra la valle del Chiampo e dell'Agno.
     Siamo sulla conca di Recoaro, si avanza.
     Il motore sinistro comincia ad andare male... siamo sul costone che staccandosi dallo stesso Gruppo della Posta scende su Vicenda fra Agno e Leagra ancor due minuti che il motore avesse resistito, avremo passato le nostre linee e avremo così lanciato il nostro carico di morte.
     Io lo guardavo quel motore, si sentiva che da un momento all'altro in un supremo sforzo avrebbe finito di pulsare... ma il dovere ci sprona... avanti... avanti...
     E' uno schianto terribile... una vampata avvolge l'ala sinistra dell'apparecchio.
     E' la fine... E' un attimo di angoscia che non si può descrivere... Intanto Ridolfi che pilotava in quel momento aveva voltato la prua dell'apparecchio verso le nostre linee...
     Sono attimi che passano, ma sono attimi che sono eterni come secoli.
     Ridolfi riduce intanto gli altri due motori e mi dice: «mi getto giù». Gli impongo di rimanere al suo posto, di rimando mi dice: «io non voglio morire bruciato».
     «Per ora non bruciamo» – gli dico io; se si getta giù la morte è sicura, stia al suo posto.
     Ritorna in lui la calma e la fede e rimane tranquillo al suo posto, mentre le fiamme si sprigionano dal motore fracassato, e, spinte indietro dalla velocità dell'apparecchio, lambiscono il serbatoio della benzina.
     Quell'anima eroica del mitragliere, sergente Cantarutti, si porta vicino a me; prendiamo gli estintori e li mettiamo in azione.
     Sette minuti di lavoro angoscioso... il buio torna a circondarci, l'elica frantumata è finalmente ferma, la debole luce della luna ci lascia vedere il motore squarciato.
     Siamo salvi dall'incendio.
     Ed ora? Arriveremo a Verona? Siamo lontani. Siamo su Recoaro, il motore centrale incomincia a funzionar male.
     In un primo mento Cantarutti vuole sganciare le bombe per alleggerire di tre quintali l'apparecchio ed assicurare così un volo pianeggiante più lungo.
     La notte è chiara, si distingue già il faro del campo di Verona, mi oppongo. Siamo in territorio italiano; se noi le avessimo lanciate per salvare noi avremmo forse potuto uccidere diecine e diecine di nostri fratelli.
     «Se mai» – gli dico – «se saremo costretti ad atterrare fuori campo, all'ultimo momento quando vedremo ciò che abbiamo sotto di noi, le sganceremo».
     E si va: ma arriveremo a Verona?
     «Se mai» – dico a Ridolfi – «possiamo atterrare al campo di Castelgomberto in Val d'Agno».
     Ma invece vediamo che potremo arrivare a Verona, tagliamo così i contrafforti che scendono dai Lessini e ci dirigiamo al faro di Verona cercando di sfruttare più che sia possibile il volo librato.
     Il centrale intanto continua ad andare peggio finché giunto all'altezza di Grezzana, siamo costretti a fermarlo.
     Ci è rimasto un solo motore: il destro; siamo a 1500 metri di quota, si avanza ancora, siamo a 1000 metri sul campo di Verona. Siamo salvi oramai poteva venirci a mancare anche l'ultimo motore e avremmo atterrato ugualmente felicemente nel campo ospitale.
     Vi atterrammo infatti pochi minuti dopo fra la gioia e il dolore dei nostri compagni: la gioia di vederci tornare e il dolore per doverci comunicare che alla partenza un apparecchio era precipitato fuori campo, nella caduta erano scoppiate le bombe e nel disastro avevano trovato la morte quattro giovani eroi.
     Altro compagno in questo volo angoscioso era l'osservatore tenente Cutello, morto poi eroicamente durante la nostra contro-offensiva del giugno 1918, abbattuto da caccia nemici in impari lotta; cinque caccia contro un Caproni; eppure nella lotta eroica furono abbattuti due caccia nemici e con lui morì eroicamente in questa circostanza il sergente Cantarutti e due ufficiali americani che pilotavano l'apparecchio.

Il dolore di d'Annunzio per l'impreparazione dell'aviazione 5 mesi dopo Caporetto.

DA ALCUNE LETTERE DIRETTE AL TENENTE COLONNELLO ARMANI.
Pasqua 1918.
      «Mio caro Armani,

     «Torno da Milano dove sono stato a combattere contro l'indifferenza e l'indugio e contro tutto quello che tu conosci e detesti.
     «Non andai alla cerimonia della Scala.
     «Calorosissimamente parlai al Commissario sulle condizioni attuali dell'aviazione da bombardamento.
     «Ebbi assicurazioni e promesse.
     «Verrò nella settimana prossima e parleremo.
     «Non ti adirare. Vinceremo con la silenziosa perseveranza.
     «Se in me la fede cominciasse a vacillare, non vorrei più vivere.
     «Ti auguro la buona Pasqua, mentre il Cristo risanguina nella tremenda battaglia.
     «Sono in angoscia.
      «Bisogna andare a bombardare ogni giorno la linea di comunicazione Bolzano- Franzesfeste.
     «Tra Steg e Waidbrok ci sono gallerie e ponti in muratura che bisogna distruggere.
     «Se tu riuscissi, renderesti alla Patria un servizio inestimabile.
     «Arrivederci, ti abbraccio
«il tuo GABRIELE D'ANNUNZIO».

Ottobre 1918.

      «Mio carissimo Armani,


     «So che sei tornato al nostro raggruppamento e spero di rivederti presto e di ottenere il tuo cordiale appoggio per la costituzione della prima squadriglia di siluranti aeree, già approvata e promossa dall'onorevole Chiesa e dal nostro comando.
     «Io sto per fare una spedizione così audace che me la invidierai, quando saprai.
     «Lo confido al tuo sergente di soldato.
     «Sono certo che tu hai pensato al mio dolore quando ti è giunta la notizia della perdita di Maurizio Pagliano e di Luigi Gori. Ancora due di Cattaro, e dei migliori!
     «Se son giunte altre notizie al raggruppamento mandamele; te ne prego, grazie.
     «Per quel che mi dici delle condizioni interne, non so se tu abbia letto il mio discorso alle reclute del '99, sul Corriere.
     «Altri discorsi, non pubblicati e ancor più rudi saranno raccolti in un volume da donarsi ai soldati e agli ufficiali per cura del Commissariato di propaganda.
     «Ma, meglio delle parole, varrebbero gli atti.
     «Una buona squadriglia da bombardamento su Montecitorio in una delle prossime sedute, risolverebbe ogni questione e libererebbe da ogni malvagia infezione la Patria.
     «Andiamo?
     «Arrivederci, spero di tornare sano e salvo.
     «Ti abbraccio
     «il tuo GABRIELE D'ANNUNZIO».
(Dal Libro Le ali della strage).


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