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I CADUTI

(Dalla Rivista L'Ala d'Italia).

Oreste Salomone.


     Era nato coll'indelebile impronta del Destino sulla fronte. Destino di lotte, di gloria, di sacrificio.
     Trentenne si vedeva inviato in Libia quale tenente d'amministrazione in un ospedaletto da campo. Ma non era tagliato per i computi della carta, né per le sicure poltrone. I primi aeroplani che, appunto laggiù, iniziarono le gesta dell'Aviazione militare italiana lo scossero, lo ipnotizzarono. Più d'una volta, ebbe a confessarlo egli stesso, piantò in asso, specchietti e cifre nell'ufficio odorante di acri medicinali, per correre fuori, all'aria libera, lo sguardo in alto, inseguente il corso veloce e sicuro di un apparecchio in partenza per avanscoperta e di ritorno da un'operazione. Sentiva allora la poesia del volo; il rombare del motore gli era come musica cognita, da tempo dimenticata, ricordata ad un tratto. Poi lento e pensoso ritornava al suo ufficio e non era improbabile che qualche foglio «ufficiale» si arricchisse a margine di rapidi schizzi di velivoli. Era il sogno che sovrastava alla realtà.
     Fu quello il periodo in cui più dolorosa, perché compressa nel suo animo, fu la sua passione pel volo. Sovente gli avveniva di aggirarsi attorno agli hangars, curioso, ammirato: sembrava quasi che un fluido unisse il suo cuore al pulsante cuore d'acciaio della macchina rombante.
     Vi fu chi comprese quale forza si nascondesse in quel taciturno: Piazza lo volle togliere ai medicamenti, e lo portò all'amministrazione di quel primo embrione di squadriglia. Un passo innanzi era fatto: non era ancor di loro, ma era con loro. Studiò, osservando sempre, ascoltando gli altri, tutto imparando grazie ad una rapida intelligenza.
     Ma ormai il suo destino gravava la mano: un giorno gli giunse laggiù in colonia la concessione di rimpatrio per volare: in patria il novizio divenne rapidamente maestro. Si rapidamente, che prima ancora che quella stessa guerra finisse, trovò modo di guadagnarsi una medaglia d'argento.
     Poi nella breve pausa precedente al conflitto mondiale altre prodezze seppe compiere: quando tecnici e fisiologi si affannavano a discutere se fosse possibile salire oltre certe quote, egli, col sorriso sulle labbra, quel sorriso che aveva in sé un non so che di mestizia, portò l'apparecchio ad oltre 6000 metri. Così, senza stamburamenti, quasi per decisione improvvisa.
     Le sue azioni, prive di ogni coloritura guascono, sapevano la calma e la freddezza: quella calma e freddezza che pareva quasi si concretizzassero nel pallore del suo viso nervoso. Una piega delle labbra e nulla più, tradiva una sua emozione interna.
     Venne poi il 1915: i primi urti, le prime gesta. Ma solo l'anno dopo, nel 1916, l'Aviazione militare italiana scriveva nella Storia a lettere di sangue una indimenticabile pagina.
     Sulle prime ore del 16 febbraio da un campo del Veneto partiva una squadriglia per compire il bombardamento di Lubiana. Già un mese prima le opere militari di quella città avevano saputo l'audacia di un nostro equipaggio, toccando non lievi danni. Ma l'azione passata era un nonnulla in confronto della presente.
     In coda alla squadriglia, il Caproni 478 con a bordo i due piloti capitani Bajlo e Salomone e col tenente colonnello Barbieri al posto di osservatore mitragliere. Dalle fangose ed arrossate trincee goriziane, le stanche vedette opposte debbono aver guardato alla trasvolata dei mostri alati come ad un miracolo gli uni, con terrore agli altri.
     Lento, grave del suo peso, il Caproni 478 si era tenuto sotto le nubi; più innanzi il rimanente della squadriglia, aggruppato. D'un tratto i tre italiani debbono essersi sentiti addosso il nemico, piombato di tra le nubi improvviso, oltre Ternova, con due Fokker di nuovissimo modello, da poco ceduti all'Austria dalla Germania. Forse Bajlo e Barbieri non debbono aver nemmeno avuto il tempo di far funzionare le mitragliatrici, che le prime raffiche nemiche li hanno colpiti in pieno. Senza un gesto, Bajlo esanime in fondo alla carlinga; rantolante, a morte, Barbieri appoggiato al bordo della carlinga. La tragica visione non è ancor ben afferrata dalla mente di Salomone che un urto al capo e la fluente carezza calda del sangue che cola gli dicono ch'esso pure è colpito: è la fine. No; il destino ancor non vuole: mentre i due Fokker turbinano minacciosi attorno, Salomone ritrova tanta energia in sé da mantenere il comando del pesante apparecchio: l'arresta, e mentre lontano i compagni, inconsci della tragedia, si avvicinano alla meta, ne volge la prua verso la Patria. Sorpresi i due avversari gli si son messi a lato, e più veloci lo fiancheggiano: coi gesti, con grida, colla minaccia di canne puntate impongono l'atterramento, la resa. Ma Salomone ora non sente più nulla, non vede più che un campo lontano, che due morti: sulle sue labbra secche pel vento e per l'ansia gocciola il sangue, riducendo il maschio viso simile a mascherotto tragico. Stupefatti prima, rabbiosi poi i due inseguitori incalzano, urlano ora ed al renitente minacciano! Nulla! Barcollante, guidato da un solo comando procede squassato il Caproni 478: la selva di Ternova è trasvolata, più avanti l'Isonzo è passato, ora si è tra i nostri; rinasce la speranza. Inferociti, dai due Fokkers i nemici sgranano ora gli ultimi colpi di mitraglia: non hanno esito: quell'uomo sanguinante è fatato, è del Fato.
     Scossi, benché vittoriosi, gli avversari retrocedono; quel funebre apparecchio fa loro paura; lo sguardo che sprizza dagli occhi di fuoco del fantasma umano che lo guida serra l'animo degli austriaci in un cerchio di timore. Per loro quell'uomo è più che un eroe: è la leggenda della forza italica che si concreta nella realtà. Ritornano ai loro covi.
     Da sotto, come stupidi cani abbaianti alla luna, tuonano le batterie antiaeree austriache del Monte Santo, del Sabotino, di oltre Isonzo. Ma è tardi: barcollando, con un volo pauroso per stabilità, l'apparecchio italiano prosegue. Un motore, colpito esso pure a morte, lascia le pale dell'elica inattive. Sulla terra, nelle trincee quiete, curiosità, ansia per lo strano andare del velivolo: in alto, pace nell'azzurro.
     I comandi, ostacolati dal gravame dei morti, male rispondono: al ferito le forze vengono meno; ora il viso maschio del necroforo aereo sa anche le lacrime: lacrime che si fondono con sangue e ricadono, giù dal mento sulla giubba. Resiste, ancora uno sforzo, ecco Colmar. Sul campo un formicolio: un accorrere: da lontano trapelava la tragedia. Quando, come Dio volle, l'apparecchio fu a terra, il vivente era appoggiato ai morti, sfinito, sanguinoso.
     Quel giorno le ali italiche ebbero la prima medaglia d'oro. Per Oreste Salomone seguì un periodo di riposo causa lo sfinimento che l'obbligò al riposo, nei più calmi servizii dell'interno. La scossa era stata forte: per quanto ferrea fosse la sua volontà non si poteva chiedere troppo al fisico umano.
     Nondimeno volle ritornare coi fidi compagni, coll'Olivari, con Ercole, con Farini, con tutti gli amici come lui votati al volo. Più volte la sua ala volò punitrice sui covi dei bombardatori di Venezia e di Padova, più volte ebbe fortunosi atterraggi. La morte che lo aveva rispettato sino allora lo ghermì una notte del febbraio del 1918, di ritorno da un bombardamento notturno: mentre atterrava all'estremità del campo. Forse per un errore di valutazione data l'oscurità, dopo un primo tentativo di atterraggio al secondo si ebbe la catastrofe: il perché esattamente non si seppe mai.
     Oreste Salomone sopravvisse poco; quanto bastasse a rivedere l'alba; D'Ayalam tenente valoroso dei lancieri di Novara, spirò subito; ferito grave il sergente Porta, illeso il soldato mitragliere.
     Oreste Salomone è passato nella storia della guerra italica come un trionfatore: ha dominato; e come dominatore da leggenda è caduto nella lotta ancor fiorente di giovinezza, poiché i suoi 38 anni contavano per appena 25.
     Oggi del grande aviatore capuano, di colui che dieci e dieci volte si trovò in lotte mortali, non è che il ricordo: un ricordo in cui l'amarezza cede il passo alla fierezza di tutta una nazione per un suo figlio. Scomparsa, disciolta la parte grezza del suo corpo, rimane, aleggiante presso alle cose che Egli amò, sui campi e nelle scuole d'aviazione, il suo spirito, quella parte misteriosa che non si distrugge.
     Nell'animo dei compagni il suo nome è un simbolo di fede, pei giovani è uno sprone; per tutti una bandiera.
     Così esso sia, per sempre.
FRANCO LOCATI.

(Dalle memorie del tenente colonnello Armani).

Ferdinando Bonazzi.


      Ti conoscevo di nome ma personalmente non ti conobbi che il giorno che io venni ad Asiago per assumere il comando della 12a squadriglia aeroplani Farman (quella che poi prese il N. 32) la squadriglia che tu avevi comandata dopo il capitano De Masellis, quella squadriglia che sconosciuta quasi alle altre dislocate sulla fronte Giulia aveva tanto operato e tanti utili servigi aveva resi alla I Armata ostacolata sia dalla natura della zona montana irta di cime aguzze, rotta da profonde e spaventevoli forre sia dal tipo degli apparecchi che per la scarsa potenza ascensionale erano costretti a razzolare a pochi metri dalle batterie annidate su ogni cucuzzolo. La squadriglia che ebbe la gloria di portare il più grande italiano a Trento il 20 settembre 1915.
     Ti conobbi il mattino del 12 gennaio 1915.
     Tu mi accompagnasti per primo in volo sull'altipiano di Asiago desiderando vedere dall'alto quella zona che io ben conoscevo per averla percorsa a piedi per ben 12 anni allorché ero al 6° alpini.
     Ti conobbi allora e subito potei apprezzare le tue magnifiche doti di pilota abile, sicuro, calmo e tranquillo.
     E ti apprezzai come organizzatore e sapiente incitatore dei tuoi dipendenti e ti apprezzai per l'animo tuo buono e gentile pel tuo cuore di fanciullo.
     Benché giovane avevi l'esperienza dei vecchi ufficiali, benché giovane tu eri il padre dei tuoi dipendenti che sapevi correggere coi tuoi saggi ammonimenti e consigli.
     Dopo pochi giorni ci lasciammo, tu passasti a Verona per assumere il comando della 31a squadriglia Farman, la squadriglia che venne ad alleggerirci, dividendo il lavoro della 32a.
     Continuasti così l'opera tua instancabile e volenterosa in pro della Patria.
     Verso la fine del 1916, vinto dalla tua passione di pilotare sempre nuovi apparecchi andasti a Torino per provare l'apparecchio SP.
     Durante un volo un giorno per poco non perdesti la vita, cadesti, riportasti ferite in varie parti del corpo e non lievi, risanasti e subito ritornasti alla fronte.
     E ti fu dato il comando del IV gruppo squadriglie aeroplani da bombardamento alla Comina.
     Anche qui rifulse il tuo valore, la tua perizia anche qui sapesti infondere nei tuoi dipendenti la passione per ogni impresa guerresca, l'abnegazione, anche qui fosti sempre alla testa del tuo gruppo e sempre primo rispondesti all'appello allorché si richiedevano dai comandi superiori azioni arrischiate e pericolose.
     E ricordo un episodio tragico accaduto durante le dolorose giornate di Caporetto che tu stesso mi raccontasti.
     Il gruppo bombardava la zona sulla sinistra del fiume sacro, il Piave; il tiro delle artiglierie era rabbioso e preciso, una granata scoppiò vicinissimo alla prua della carlinga del tuo apparecchio, vedesti l'osservatore, di cui ora mi sfugge il nome, chinare la testa, credesti, da prima, volesse sporgersi dalla carlinga per meglio vedere, quando ti sembrò che troppo a lungo rimanesse in quella posizione tu ti alzasti sul seggiolino di pilota, allungasti una mano per richiamarlo, posasti la mano sul suo petto... la sentisti entrare nel suo corpo... la ritirasti... la tua mano era intrisa di sangue, del sangue dell'eroe, la spoletta della granata lo aveva colpito al cuore.
     Ma l'animo tuo non piega, non vacilla, riportasti al campo la cara salma... e pel bene della nostra bella Italia ripartisti per altro volo...!
     Instancabile nella giornata della nostra gloriosa controffensiva del giugno 1918; più instancabile ancora durante la nostra vittoriosa offensiva dell'ottobre che ci condusse alla grande vittoria finale.
     Venne l'armistizio, l'attività nostra di guerra era finita e tu non volesti rimanere inoperoso volesti passare ad altro apparecchio, allo S. V. A.
     Un fatale incidente troncò la tua bella esistenza.
     Fu nel dicembre 1918 a S. Pelagio, su quel campo che ti aveva tante volte veduto partire per imprese eroiche che tante volte ti aveva veduto ritornare vittorioso.
     Tutti ti piansero perché tutti ti avevano apprezzato, tutti ti avevano amato e tutti ti ricordano e ti ricorderanno sempre.

Luigi Ridolfi.


     In vari punti delle mie memorie ho fatto il nome di Ridolfi. Ritengo sarebbe inutile parlare di lui, poiché non vi è aviatore che non l'abbia conosciuto, ed anche deve essere noto nell'ambiente estraneo dell'aviazione.
     Ma non posso non dire due parole di chi mi fu compagno in ogni impresa, di chi divise con me gioie e dolori, rischi e pericoli, di chi mi fu maestro nel condurre il Caproni.
     Luigi Ridolfi vero cuore romagnolo, fiero, rude, franco e leale, aveva la forza del leone e il cuore del bambino, incapace di far del male a chicchessia, pronto sempre ad offrirsi se alcuno aveva bisogno di aiuto, ed altrettanto pronto a scagliarsi contro i prepotenti e contro coloro che dimostravano sentimenti contrari alla Patria.
     Io lo amavo come un figlio e su di lui avevo l'ascendente, non del superiore, ma del padre.
     Arrivò ad Aviano pochi giorni dopo di me, lo assegnai alla 2a squadriglia e fattami nota la sua maestria nel volo lo scelsi a mio istruttore (io assunsi il comando dell'XI gruppo, senza avere il brevetto di pilota di Caproni) e divenne poi il mio compagno di volo.
     Mi diede due lezioni; alla terza andammo a fare un volo di ricognizione lungo le nostre linee. Alla quarta partimmo per un bombardamento. Ci affiatammo subito.
    Nel compiere i bombardamenti durante il volo di andata e di ritorno ci alternavamo nei comandi, arrivati all'obbiettivo io doveva eseguire il lancio delle bombe, lasciando a lui il governo dell'apparecchio.
     Ubbidiente ai miei cenni, guidava l'apparecchio fra lo scoppio dei proiettili, in mezzo agli sbarramenti aerei come se fosse stato sul campo per un volo di piacere, se io non gli facevo segno di ritornare avrebbe continuato calmo e sereno anche avessimo incontrato l'inferno.
     Ottimo pilota, nei frangenti più critici era lui che prendeva il comando dell'apparecchio, nelle sue mani il colosso aereo era docile come un piccolo caccia, e quando era al campo, Ridolfi passava il tempo compiendo col Caproni looping centrali e d'ala.
     Ed io ho imparato la calma del volo e la serenità, per la sua serenità, per la sua calma.
      Al ritorno dai bombardamenti, in agosto nelle ore del mezzogiorno mi faceva navigare a bassa quota e quando mi vedeva lottare per sobbalzi provocati dai remours sorridendo mi diceva: «così impara signor maggiore». Ed ho imparato e così si radicò in me la fiducia nel Caproni, la fede nell'aviazione, la certezza nell'avvenire dell'aviazione.
     Ridolfi, tu sei un benemerito dell'aviazione.
     E fu mio compagno a Tarvis, a Pola, a Bolzano, nel volo a luce stellare, quando avemmo l'incendio a bordo, in quel giorno in cui un solo apparecchio, il nostro, volò sul fronte italiano per le pessime condizioni atmosferiche.
     Solo una volta ci separammo e ci separammo perché mi fu ordinato dai superiori e ci separammo a malincuore, e Ridolfi finché visse mi ricordava il suo dispetto per questo ordine.
     Ci separammo in occasione del bombardamento di Cattaro.
     Ridolfi fu scelto a pilota dell'apparecchio che doveva per primo lanciare un siluro nella ben munita base di Pola, un siluro sulla flotta austriaca.
     Io andai a Cattaro e in quell'impresa ebbi a compagno il tenente Scavini, egli rimase ad Aviano e da Aviano partì con un siluro del peso di 750 kg. quindi con un peso di 400 kg. superiore al carico consentito pel Caproni, si portò su Pola e nell'inferno di Pola, fra il tiro delle artiglierie, delle mitragliatrici, agguantato dai molti riflettori che non volevano lasciarlo, scese a poche diecine di metri dall'acqua, scese fra le navi, più basso delle cime degli alberi delle corazzate, più basso delle case che circondano il porto, e sarebbe sceso ancor più basso per avere la certezza dell'efficacia del suo tiro, ma l'osservatore, forse preso dall'impazienza di uscire da quell'inferno, sganciò anzitempo il siluro che cadendo così dall'alto non ebbe alcun effetto e molte volte Ridolfi si lamentava di non avere avuto a compagno altri che con lui avevano compiuti tanti bombardamenti.
     Rimase disilluso da questa sua azione, povero Ridolfi, l'ho detto, era un ragazzo, gli avevano promesso la medaglia d'oro se avesse affondato una corazzata e non gli si fece neppure un encomio.
     E' ben vero che la nave non fu affondata, ma è ben vero che rischio suo fu identico come se il siluro fosse stato lanciato con effetto.
     Quell'azione, anche se l'esito non è stato come quello desiderato, doveva essere ricompensata.
     Ritornato a Cattaro, ci riunimmo ancora e fummo insieme nei giorni dolorosi di Caporetto; instancabile sempre Ridolfi, avrebbe passato la sua vita in volo, ogni pilota ricorreva a lui per consigli e quando sembrava che qualche apparecchio avesse dei difetti si ricorreva a Ridolfi e dopo che la sua mano aveva operato, l'apparecchio era ripreso sicuri che andava bene.
     Da Aviano andammo a Padova, da Padova a Verona, a Verona ci dividemmo!
     Non accenno ai motivi, aspre critiche dovrei muovere a chi diede questa disposizione, perché non suggerita da interessi del servizio, ma da astio personale; venne l'ordine, Ridolfi lasciò contro la sua volontà e con grande dispiacere il mio raggruppamento. Ci lasciammo e da allora non volammo più assieme. Lo rividi una volta ancora nel settembre 1918 allorché venne a trovarmi a Poggio Renatico, poi non lo vidi più.
     Finita la guerra io andai in Dalmazia, Ridolfi rientrò in zona territoriale e ritornò presso le officine Caproni.
     Siamo nel periodo in cui si cerca di dare incremento all'aviazione civile, Ridolfi è alla testa.
     Sono numerosi i voli che compie con l'apparecchio Ca5 con cabina: da Milano a Roma, da Roma a Napoli o viceversa avendo spesso a suo compagno il tenente Sala.
     E' lui che pilota l'apparecchio con a bordo la Duchessa D'Aosta e che al ritorno da Napoli per l'arresto dei motori è costretto ad atterrare in aperta campagna fra le paludi Pontine e mercè la sua abile maestria, l'apparecchio atterrò in brevissimo spazio alcun danno del materiale e delle persone.
     Arriva l'agosto.
     Arriva il giorno della sua immatura fine, il giorno del malaugurato viaggio dei giornalisti da Milano a Venezia e ritorno.
     Da Milano a Venezia il viaggio è compiuto felicemente; al ritorno tutto va bene fino a Verona; a Verona la catastrofe!
     Dovrei e vorrei scrivere molto al riguardo, molto per controbattere tante insinuazioni maligne, ma troppo si è scritto.
     Non fu l'apparecchio la causa del disastro, non fu l'imperizia o l'imprudenza dei piloti, fu la fatalità, fatalità che i passeggeri non seppero usare la prudenza che è necessaria sia guida ad ogni passeggero dell'aria, imprudenza di un passeggero che inavvertitamente lasciò cadere un oggetto, l'oggetto infranse l'elica del motore centrale e l'elica infranta fu l'arma omicida, sedici volte omicida.
     Fu il 2 agosto 1919 sul cielo di Verona. Così morì Luigi Ridolfi dopo aver solcato i cieli, dopo aver dominato negli spazi e suo compagno di morte fu Marco Resnati.
     Luigi Ridolfi fa parte di quella schiera di eletti che tanto hanno contribuito alla grandezza dell'Ala Italica, di quella schiera i cui nomi più belli sono: Emilio Pensuti, Marco e Silvio Resnati, Luigi Bailo, Oreste Salomone.


Tarcisio Cantarutti.


     Dire di lui non è facile, la sua vita di mitragliere in una squadriglia da bombardamento è stata una continua prova di valore, di coraggio, di eroismo.
     Egli completava l'equipaggio del «Ca3 4071» che, mai inefficiente compì tutti i bombardamenti dal luglio 1917 all'agosto 1918, giorno in cui fu divorato dalle fiamme mentre era pronto sul campo di Verona per partire per un bombardamento.
     Finì fra le fiamme quasi avesse voluto non servire ad altri dopo che il suo equipaggio venne diviso ed i componenti sbalestrati chi qua e chi là.
     E' morto Luigi Ridolfi, è morto il tenente Cutello, è morto il sergente Cantarutti.
     Ed io voglio ricordare in questa raccolta di episodi il mio ottimo compagno di tanti voli, ricordare chi contribuì più di una volta alla salvezza dell'apparecchio con la sua calma con il suo coraggio in momenti di angoscia e di terrore.
     Lo trovai ad Aviano quando fui assegnato all'XI gruppo squadriglie aeroplani da bombardamento era mitragliere alla 2a squadriglia e fece parte fin dal primo bombardamento del nostro equipaggio.
     D'animo buono, pronto sempre alla prima chiamata, sul suo volto io ha sempre veduto il sorriso, sempre anche nei momenti di maggior pericolo anche quando tutto pareva finito e sembrava che la morte già ci avesse ghermito coi suoi artigli.
     Prima del bombardamento bastava dirgli: «Cantarutti questa notte alla tale ora l'apparecchio pronto» e si poteva esser certi, sicuri che l'apparecchio non avrebbe mancato di nulla; le bombe erano tutte a posto, verificati i lanciabombe; lui col motorista provvedeva a tutto ed il «Ca3 4071» non ha mai mancato ad un'azione di guerra. No, dico una bugia: una volta mancò; un giorno ad Aviano rimase nell'hangar, al mattino, durante il bombardamento su Duino, un colpo in pieno squarciò il serbatoio, si poté arrivare al campo ma il serbatoio si dovette cambiare; il giorno dopo però il «Ca3 4071» era pronto e riprese la sua vita di guerra.
     Cantarutti provvedeva a tutto, quando si passavano le linee saliva sulla torretta di poppa, scrutava l'orizzonte quasi desiderasse far funzionare le mitragliatrici che egli curava con l'affetto di una mamma.
     Dalla torretta però discendeva quando si era sull'obbiettivo, la sua opera era necessaria prima di tutto per levare le spine di sicurezza alle bombe, poi per sganciare a mano quelle che rimanevano agganciate per il cattivo funzionamento del lanciabombe.
     E via di nuovo in torretta fino a che si ripassavano le linee.
     Durante l'azione al passo del Tonale col «Ca5» essendosi accorto che le granate da 260 non si erano sganciate non esitò a portarsi in fondo alla carlinga, rimanere sospeso al di sotto, quasi nel vuoto ad un'altezza di circa 4000 metri e liberò l'apparecchio da quel carico divenuto inutile e pericoloso.
     Quando scoppiò l'incendio a bordo, durante un bombardamento notturno non titubò e, seduto fuori della carlinga per meglio lanciare il getto dell'estintore, fu magnifico per il suo sangue freddo ed il suo coraggio.
     I superiori non seppero tener conto di questo suo valoroso contegno!
     Quando l'equipaggio del «4071» fu diviso ed io passai alla dipendenze della Regia marina, Ridolfi fu inviato in zona territoriale, il tenente Cutello e Cantarutti rimasero a Verona. Cantarutti doveva venire con me e l'ordine di trasferimento venne la vigilia della sua eroica morte.
     Fatalità!
     Doveva partire, ma non volle lasciare il gruppo il giorno in cui si doveva effettuare un importante bombardamento, fu lui che disse al tenente Cutello:
     «Andiamo».
     E andarono, partirono su di un Caproni pilotato da due americani.
     Nel cielo di Conegliano furono attaccati da 5 caccia nemici, la lotta fu accanita, Cantarutti con polso fermo e occhio infallibile maneggiò le sue mitragliatrici e riuscì ad abbattere due apparecchi avversari, ma la lotta era impari, il Caproni non poteva competere con gli apparecchi da caccia, i superstiti nemici vogliono vendicare la morte dei loro compagni stringono più da presso l'eroico equipaggio finché il Caproni cade.
     Cade perché colpiti a morte i quattro eroi o perché colpito nelle parti vitali?
     Non si seppe e non si saprà mai.
     L'apparecchio cadde su terra italiana ma che allora era in mano al nemico, si seppe dai paesani che subito accorsero, che trovarono i quattro eroi morti e furono essi che provvidero a rendere loro l'estremo tributo di rispetto e d'onore.
     All'intero equipaggio venne conferita la medaglia d'oro al valor militare. Così finì l'eroico Cantarutti fulgido esempio nella sua modestia di sacro amor di Patria, di vero eroismo.

(Commemorazione fatta dal tenente colonnello Armani
nell'anniversario della morte, al campo L. Bailo).


Il Capitano Giacomo Barucchi.


     Or fa un anno, qui dove ora siamo raccolti per onorare la memoria, il capitano Giacomo Barucchi, cadeva per fatale incidente aviatorio, in questo campo ove caddero tanti giovani animosi, alcuni nell'apprendere la difficile arte del volare ed altri già reduci eroici e gloriosi della grande guerra che si esercitavano per mantenere ali all'Italia.
     E Giacomo Barucchi è fra questi.
     Io lo conobbi in Libia, sotto tenente al battaglione alpini Verona, già in quella guerra insidiosa aveva dato prova delle sue preclari virtù militari, già in quella guerra di fatiche e di disagi si era coperto di gloria.
     La grande guerra lo trovò fra i primi ed egli è il primo che alla testa del suo manipolo di alpini si slancia alla conquista dell'Altissimo e lo conquista e lo tiene contro i fieri contrattacchi del nemico.
     Sul suo petto si aggiungono i fregi del valore.
     Ma la terra non gli basta, vuole anch'egli far parte dei valorosi combattenti dell'aria.
     Passa in aviazione il 24 aprile 1916.
     In breve tempo diviene pilota e lo ritroviamo al fronte.
     Ed il suo valore, il suo coraggio, la sua instancabile attività non si smentiscono, sempre primo fra i primi durante le gloriose giornate della Bainsizza e dell'Hermada, sempre alla testa della sua squadriglia di Caproni.
     E nelle settimane tragiche di Caporetto, in quei giorni in cui la nostra Arma compì interamente e degnamente il suo dovere ed in cui rimasero uguali il nostro onore e la nostra fede nella buona come nell'avversa fortuna; in quei giorni in cui tra l'incalzazre travolgente degli avvenimenti l'Arma Aeronautica ha continuato impavida, serena e calma ad assolvere il suo compito, senza la più breve interruzione, senza un solo momento di smarrimento, di oblio o di stanchezza, egli fu instancabile e col suo esempio fu di sprone e di incitamento ai suoi compagni, ai suoi dipendenti.
     Il capitano Giacomo Barucchi è stato ben degno di appartenere alle nostre squadriglie da bombardamento, già fatte gloriose ed invidiateci per i nomi indimenticabili di Assling, di Idria, di Tarvis, di Pola e di Cattaro e che nel momento della prova suprema, seppero degnamente rispondere alla fiducia ed alle speranze in loro riposte.
     Non fu ultimo il capitano Barucchi fra coloro che con uno sforzo continuato e mirabile non curanti delle perdite gravissime, pronti ad ogni appello, con qualunque tempo e su qualunque meta, hanno ripetuto la loro offesa efficace là dove più intensa era la lotta e più vitali gli organi del nemico, spesso scendendo a mitragliare da poche centinaia di metri d'altezza.
     Il capitano Barucchi apparteneva a quella schiera di eroi delle squadriglie da bombardamento che durante il primo angoscioso periodo dell'offesa austro-germanica del 25 ottobre al 10 novembre da Caporetto e da Tolmino al Piave, dimostrandosi sempre più forti ed audaci quanto più grande era il dolore, più forti dei nemici, dei loro cannoni e dei loro velivoli, perfino più forti della natura da loro vinta nei venti impetuosi, nelle nuvole, nelle nebbie, nelle pioggie, nella neve, hanno fatto ogni giorno rifulgere nel cielo della Patria dolorante e sanguinante e nel cielo nemico, i colori della nostra bandiera e il nome dell'Armata dell'aria che merita il nome di Armata della riscossa e della vittoria.
     E nel gennaio del 1918 passa sul fronte Francese e con la propria squadriglia partecipa a difficili bombardamenti notturni, bombardamenti resi tanto più difficili sia per il nuovo terreno su cui i nostri apparecchi operavano, quanto per la scarsa luce lunare con cui i voli stessi spesso si compievano.
     E come in guerra così in pace l'animo suo generoso e coraggioso non si smentiva: a Verona non si perita di accorrere in aiuto di deboli accerchiati da un gruppo di forsennati che rivoltano contro di lui le armi insidiose, ma egli aiutato dalla sua fedele e coraggiosa ed animosa consorte riesce nell'intento uccidendone due e rimanendo egli gravemente ferito.
     Nel novembre del 1920 allorché lo scoppio del proiettificio di Vergiate fu causa di tanto terrore e di lutto, fu anch'egli fra i primi ad accorrere ed incurante del pericolo si prodigò fino a tarda notte.
     E dopo aver parlato di Lui non posso non ricordare il capitano Venier caduto vittima del dovere mentre partiva per difendere la bandiera italiana minacciata in Albania e purtroppo poi fatta ammainare per colpa di coloro che ci diedero le tristi giornate rosse, che diedero l'amnistia ai disertori.
     E fra gli eroi io ricordo il mio ottimo Pasquale Liberi, caduto anche egli per la grandezza della Patria, dell'Aviazione, dopo 10 ore di lotta fra gli avversari elementi il 19 giugno 1921, animatore del glorioso equipaggio che ancor oggi fortunatamente abbiamo fra noi – il capitano Gioventù ed il tenente Righi.
     Tanti e tanti altri eroici aviatori io ricordo: tenente Francesco Acqua, sottotenenti Venturello, Alliani Scuri ed altri ancora dovrei e vorrei ricordare e purtroppo l'elenco è assai numeroso.
     Soldati dell'aria, ricordiamo e onoriamo tutti questi morti gloriosi che sacrificando la vita per la Patria, tracciavano a noi col loro sangue generoso l'aspra via dell'onore e del dovere; onoriamoli nel solo modo che si conviene a dei soldati e che può esaltare la loro memoria: giurando di imitarli!


Il tenente Liberi Pasquale.


     Era uno della Legione Sacra.
     Quando mi fu indicato, sul campo Spreta, a Ravenna, la vigilia del grande raid, questo solo sapevo di lui.
     Lo rividi la sera stessa in città, di sfuggita, attorniato da una corte di amici, mentre additava, sorridendo dell'accoppiamento casuale, una sua fotografia e un ritratto dell'Eroe glorificato, esposti nella vetrina di un negozio.
     Aveva gli occhi sereni, la bocca ridente e il cuore giocondo di fausti presagi.
     Se scrutava il cielo imbronciato, allora soltanto, la fronte gli si corrugava lievemente. Mi dissero poi i suoi amici che nella notte non prese un istante di riposo, ma che attese l'alba, nella camera dei suoi piloti, curvo su la grande carta, consultando il prontuario delle regole di corsa e studiando l'itinerario dell'indomani.
     Fu verso l'alba soltanto che, dopo essersi inciso nella memoria tenace, l'aspetto dei luoghi che aveva sorvolato nelle sue fortunose gesta di guerra, poté prendere qualche ora di riposo, agitato dal pensiero della lotta imminente.
     E quando ricordo questa ardente vigilia, non posso far sì che il mio pensiero non corra alle veglie piene d'ansia dei condottieri storici, avanti lo scoppio delle battaglie supreme.
     La mattina del raid, pochi minuti prima che spiccasse il volo, ebbi la ventura di stringergli la mano.
    In poche parole, fredde in apparenza, ma vibranti di entusiasmo contenuto, egli mi espresse tutta la sua fiducia in sé, nel suo apparecchio, nel cuore dei suoi compagni e dichiarò che nessuna avversità avrebbe saputo deviare il suo volo da quella linea stabilita, prima che dalle regole di corsa, dalla sua inflessibile volontà.
     Poi, quasi volesse cancellare l'impressione che aveva destato in noi la sua cocciutaggine eroica, sorrise, si inerpicò sulla carlinga e, dopo un poco, fu visto perdersi nella bruma pesante.
     La mattinata scorse così, nell'attesa ansiosa delle prime notizie.
     Nessuno si nascondeva le spaventose difficoltà che i concorrenti al raid avrebbero dovuto affrontare, ma confidavamo tutti che la perizia e il saldo animo dei piloti avrebbero trionfato di tutti gli ostacoli.
     Però ci fu un punto durante la giornata; i primi arrivati ci avevano già narrato delle loro terribili peripezie, in cui l'annuncio di una sciagura ci avrebbe colti, snervati dalla inutile attesa e già preparati alla nuova funesta.
     Invece nulla.
     Fu solo verso il mattino seguente che giunse il telegramma del colonnello Calleri, comandante il presidio di Mestre, ad annunciare che i velivoli contrassegnato col n. 13 era sceso al campo di Malcontenta e che aveva cappottato, atterrando.
     Degli aviatori poi diceva che, mentre i due piloti erano feriti in modo non grave, l'osservatore tenente Pasquale Liberi era rimasto ucciso.
     Una indagine iniziata sollecitamente sulle cause della tremenda catastrofe, stabilì che la disgrazia era avvenuta, non già in volo, come avevano affermato alcuni giornali, ma sul punto di atterrare.
     Più tardi i due feriti dichiararono che, avendo la pioggia impetuosa ed incessante annebbiati i vetri degli occhiali, non avevano potuto calcolare la distanza esatta dal suolo, dimodoché, quando fu prossimo a terra, l'apparecchio, dopo aver slittato una ventina di metri, si era capovolto, travolgendo gli aviatori.
     Il povero tenente Liberi, avendo riportato la frattura della base cranica, morì sul colpo.
     Narrano coloro che han visitato devotamente la salma, che il corpo non presentava alcuna lesione esterna di rilievo e che la faccia era serena, come quella di un fanciullo addormentato. I funerali, avvenuti in Mestre il 22 giugno, riuscirono un solenne plebiscito di cordoglio. La città era imbandierata a lutto e, particolare di una certa importanza, anche il comune socialista aveva esposto la bandiera abbrunata per la morte di un aviatore d'Italia.
     Fra le alte personalità che vollero porgere al valoroso caduto l'omaggio della loro considerazione, spiccavano le dolenti figure dei genitori dell'ucciso, venuti da Lecce.
     La bara era adorna di fiori e di corone di quercia e d'alloro.
     I comuni di Lugo e di Ravenna avevano voluto così.
     L'avv. Gorini, inviato dal comitato del raid, tenne al cimitero una allocuzione vibrante in cui disse del compianto della terra di Romagna per la florida vita, stroncata nella ricerca di quelle nuove vie dell'aria che un giorno saranno il cammino sicuro delle nuove generazioni.
     Seguirono il sindaco di Mestre, il tenente Borri che fu compagno del morto e un rappresentante dei reduci che invitò, fra la unanime commozione, le bandiere a chinarsi sulla bara, quasi a carezzarla coi lembi.
     Questa, in succinto, la cronaca dell'evento luttuoso.
     Già fin da quando il povero Liberi era ancora fra noi, al mattino, sul campo Spreta, avevo potuto raccogliere dalla bocca dei suoi fidi, se pure frammentaria, la storia viva della sua esistenza di volatore.
     Certo che se avessi potuto conoscere prima quello che mi fu detto affrettatamente, tra una partenza e l'altra, con ben altre pupille avrei guardato questa magnifica figura di uomo dagli occhi dolci come un'acqua serena, in cui temprava le armi lucenti della sua volontà.
     Tutti gli aviatori che lo ebbero compagno di volo sono unanimi nel narrare che, tanto in pace come in guerra, egli non sofferse mai un attimo di scoraggiamento e di indecisione. Nel momento del pericolo, era sempre lui che rinfrancava il suo equipaggio e lo rianimava, quando sembrava essere vinto dal più cupo sconforto.
     Era così entusiasta del mestiere delle armi, da sollevarlo a dignità di apostolato.
     All'aviazione giunse soltanto dopo una penosa trafila di sforzi.
     Fu artigliere dapprima, ma ben presto si avvide che non era certo quello il posto più indicato per lui che, obbediente ai generosi impulsi della sua stirpe, anelava di trovarsi faccia a faccia col nemico.
     Ottenne quindi, dietro ripetute istanze, di entrare a prestar servizio in un reggimento di alpini.
     In qualità di aspirante degli alpini, aveva ultimato il corso da pochi giorni, dopo una batosta che aveva decimato il battaglione e spazzato via buona parte dei suoi compagni, gli toccò in sorte l'onore, e seppe assolvere degnamente il suo compito, di comandare un tratto di linea pericolosissimo, sulla fronte dell'Ortigara, che costò all'esercito italiano innumerevoli sacrifici.
     E al suo reggimento alpino rimase per molto tempo, partecipando alle più audaci gesta di guerra, sempre fra i primissimi dove la romba della strage tuonava nelle orecchie e nel sangue, raggelato dall'orrore.
     Ma un bel giorno si avvide che la guerra terrestre non era più sufficiente palestra per il suo coraggio e gli sembrò che il suo spirito anelasse a ben altro.
     Quante volte Pasquale Liberi, dal fondo della sua trincea, avrà seguito con occhi sognanti le scorrerie veloci degli aligeri tricolori, ebbri d'azzurro?
     Allorché il nostro povero amico sentì mordersi il cuore soavemente da questo nuovo desiderio, io credo che trepidasse nell'anima, come quando si è innamorati e ancora non lo si sa.
     Dopo avere tentate senza successo, pareva anzi che lo assistesse in tutti i suoi sforzi una implacabile sfortuna, le vie prescritte dai canoni gerarchici militari, pensò di rivolgersi ad un suo Grande Amico, abruzzese come lui, come lui forte e generosissimo, al solo che avrebbe potuto favorire efficacemente l'attuazione del suo sogno di aquilotto.
     A Gabriele D'Annunzio, al poeta della nostra gloria che, quando intese passare nel vento la parola del Destino, lasciò il dolce esilio della terra di Francia e scese fra noi a squillare, nel dì della Sagra di Quarto, la diana battagliera, in cospetto alla schiena lunata delle navi da guerra, ancorate nel Golfo.
     Al Poeta che aveva conosciuto Pasquale Liberi fanciullo e l'aveva sorpreso più di una volta a scrutare ostinatamente la sua faccia, per indagare il mistero della Gloria, non parve vero che il piccolo amico ricorresse a lui, e lo aiutò con tutte le sue forze, sicché ben gli si possono attagliare i versi:

...Sei tanto grande e tanto vali
che chi vuol grazia ed a te non ricorre
sua distanza vuol volar senz'ali!


     Pochissimi giorni dopo che egli aveva rassegnato nelle mani di Gabriele D'Annunzio la realizzazione del suo progetto, veniva ammesso a compiere il corso di osservatore.
     E Gabriele D'Annunzio, che lo aveva aiutato ad entrare nella legione dei Cavalieri Azzurri, non lo abbandonò mai in nessun istante della sua esistenza di volatore. Che anzi gli fu sempre vicino col cuore e più volte io credo che, in procinto di partire per un'impresa disperata, Pasquale Liberi sentisse il vigile pensiero amoroso del Grande amico, sospingerlo verso la meta. Divenne bombardiere dell'aria: uno dei più intrepidi.
     Narrano coloro che gli furono compagni d'audacia che egli entrava nelle zone su cui dominava la morte, sorridendo, come se si abbandonasse alla vertigine ebbra di un carosello vorticante.
     Narrano ancora che la tristezza e il corruccio passavano sulla sua faccia serena, fuggevoli come l'ombra delle nuvole vaganti sulla terra nel tempo dell'estate; che non ebbe mai paura, o che se per un attimo il suo cuore fu stretto, egli seppe sempre atteggiare al sorriso la bella bocca adolescente per incuorare i compagni di volo.
     Quando ricordo la nostra attesa piena d'angoscia e di speranza, non posso non pensare alla giornata trascorsa all'eremo dal Poeta che sapeva il piccolo amico in volo, in mezzo alla bufera, e mi immagino con quale schianto egli dovette accogliere la nuova funesta e con quale strazio piangere la fine immatura del valoroso.
     Ecco, riprodotta integralmente, copia della lettera inviata da Gabriele D'Annunzio al padre del piccolo amico:


     «Mio caro Antonio,


     «Passai tutta la giornata del 19 a spiare il cielo e ad attendere notizie dagli osservatori. In tutta la regione del Garda, e nel Trentino, e nel Veronese il tempo si mantenne chiuso e piovoso fino a notte. Io avevo in animo di partire da Ghedi per scendere a Ravenna. Ma la partenza fu impedita.
     «L'inquietudine mi cresceva di ora in ora. Non mi fu possibile avere notizie nella notte. E l'orribile annuncio non mi fu recato se non nel pomeriggio di lunedì.
     «Non ti scrivo per consolarti, né per consolare quella che porta il dolce nome di mia madre. Ti scrivo per dirti che anche il mio cuore è lacerato dal medesimo strazio. E lo strazio oggi s'aggrava di tutti i ricordi della nostra puerizia e della nostra giovinezza, che aumentando l'affetto aumentano il dolore.
     «Caro, caro Antonio, tu sai quanti compagni diletti io porto il lutto. Ma questo lutto è più cupo d'ogni altro.
     «Il tuo figliolo che divenne bombardiere dell'aria col mio aiuto messo al servigio del suo divorante ardore, adunava in sé veramente tutte le virtù della terra che ci ha foggiaci.
     «Quanti piccoli fanti della terra d'Abruzzi ho incontrati nella trincea e ho avuto accanto a me nell'ora del balzo! Mi davano non so che senso di freschezza in mezzo al fuoco, tanto il loro eroismo era ingenuo e semplice.
     «Pasquale non era se non un piccolo fante rapito in cielo dalle sue ali improvvise. Era un piccolo eroe ridente e franco, un giocoso amico del pericolo, un giovine amante della morte che sembrava portare sempre all'orecchio il garofano rosso dell'amata come i nostri paesani quando scendono ai convegni presso le fonti o sotto le siepi.
     «Il timbro del suo riso rivelava la qualità della sua anima di cristallo.
     «L'udremo sempre. Sarà la nota chiara della nostra tristezza. E né la nostra tristezza né l'ombra del sepolcro riesciranno a velarla, ad attenuarla.
     «Portate la salma lassù, nella collina dei mandorli e dei peschi dove mia madre oggi non è se non il divino sentimento delle fronde e dei fiori. La nostra santa l'accoglierà come l'accoglieva sul balcone odoroso di basilico, quando egli andava a rallegrarla fanciullo cinguettante a gara coi passeri del nostro tetto. Te ne ricordi?
     «Là ci ritroveremo. Là poseremo le nostre ali monde di sangue.
     «E là rifioriremo.
     «Addio, mio caro Antonio, abbraccio te, e quella che più amo perché si chiama Luisa.

«GABRIELE D'ANNUNZIO».

Gardone del Garda, 23 giugno 1921.


     Altre cose potrei dire di lui, ma non oso.
     Dopo la spirituale armonia suscitata dalle parole del Poeta, dolcissima, mesta come il canto dell'usignuolo notturno, ogni altra parola è vanità.
     Non ci resta se non il conforto supremo di piangere.

NICO FERRINI.

(Dal Giornale Romagna eroica).


Giannetto Vassura.

(MEDAGLIA D'ORO)


     Giannetto Vessura!
     Romagnoli, dinanzi a questo nome scopritevi il capo: è uno degli eroi più fulgidi di nostra terra!
     Decio Raggi, Paulucci, F. Baracca, Lucchi, Basili Urbano, Giannetto Vassura: cinque eroi: cinque medaglie d'oro, simboli imperituri di una gloria che onorerà nei tempi il valore dei figli di Romagna.

***


     Giannetto Vassura nacque a Cotignola (Ravenna) il 26 febbraio 1894.
     La sua vita, descritta dal fratello Luigi Antonio, comincia ad avere qualche interesse fin da quando frequentava le scuole tecniche di Bagnacavallo, dove si distinse per capacità e sapere.
     Di statura piccola, tutta salute e tutto nervi: a 14 anni la Romagna conta in Giannetto Vassura un campione di podismo.

LA VITA SPORTIVA.


     Le sue podistiche gare ebbero inizio colla traversata di Bagnacavallo, fra studenti delle tecniche e Giannetto fu primo assoluto. Altre gare disputò mescolando podismo a ciclismo, finché esitante si presentò allo start pel campionato studenti emiliani (1909) indetto dalla sezione. Aveva allora 14 anni e vinse oltre 30 concorrenti e stravinse in tempo da record. Portato in trionfo, si emozionò appassionandosi vieppiù al podismo talché ogni domenica disputava una gara e molto spesso la vinceva.
     Tutti i grandi e piccoli centri di Romagna conoscevano ed applaudivano più volte il Vassurino: a Lugo, Forlì, Ravenna, Imola – ove ebbe regalate un paio di scarpette da corsa dal campione mondiale Durando Pietri – Modigliana, Bertinoro, Russi, si riconfermò il campione degli Studenti emiliani. A Ravenna vinse le coppe regalate da quella Deputazione provinciale e da S. M. la Regina, battendo il rag. Nanni di Ravenna, perito poi tragicamente in un volo sui primissimi monoplani.

IL REPUBBLICANO ARDENTE.


     Giannetto Vassura, cresciuto in ambiente repubblicano, aveva abbracciato con entusiasmo la fede mazziniana. Quando scoppiò il conflitto europeo egli si trovava a prestar servizio nell'ufficio postelegrafico a Pontelagoscuro e da quella città ebbe una lunga corrispondenza con Oliviero Zuccarini, segretario del partito repubblicano, al quale con entusiasmo si offriva di far parte della spedizione garibaldina in Francia, allorché la nostra neutralità e le mire austro-tedesche tentavano impedire l'intervento italiano nella lotta per la libertà.
     Sconsigliato di partire, Giannetto Vassura si diede ad agitare le idealità interventiste. Un giorno a Cotignola, dove si trovava in licenza, in un comizio socialista avendo il noto signor Bianchi tentato di menomare l'italianità di Trieste, interruppe bruscamente l'oratore gridandogli in faccia il nome sacro di Oberdan e poscia contradicendolo magnificamente.


SOLDATO.



     Alla fine del gennaio 1915 fu chiamato alle armi. Per diritto, doveva essere assegnato al genio telegrafisti, ma il foglio informativo politico dava Giannetto quale «rosso repubblicano» e quindi secondo le menti direttive militari, indegno di appartenere alla suddetta arma!
     Scelse quindi l'automobilismo e nel maggio successivo era già nella III Armata sul fronte Goriziano. All'inizio dell'offensiva austriaca del 1916 fu inviato sugli altipiani presso il reparto telegrafisti del genio, ove spesse volte e sempre volontariamente fece servizio cogli scky in zone pericolose e battute.
     Un giorno che un «fante» si permise dargli dell'«imboscato», per tutta risposta piantò il camion, imbrancò un fucile e corse in trincea di prima linea a tirar fucilate. Riportò una ferita, ma questo, per Giannetto Vassura, fu il meno, poiché subito dopo si vide richiamato dai superiori, punito e obbligato a ritornare alla macchina.
     Da quel dì non ebbe più amore al camion e sognò di battersi apertamente.
     Quando il fratello Luigi, dirigibilista – com'egli racconta – descriveva a Giannetto le emozioni della guerra dall'alto, questi si entusiasmava e sognava di poter guidare l'aeroplano e gettarsi sul nemico con tutta la impetuosità della forza e dello spirito.
     Risolutamente decise di entrare in aviazione. Il capitano del reparto automobilisti promise a Giannetto di promuoverlo caporale e sergente, finché stracciasse la domanda. Tempo perduto! Il fato era segnato anche per lui ed i primi di aprile del 1917 fu ammesso al battaglione Aviatori di Torino.


AVIATORE.


      Dal battaglione di Torino passò al campo scuola di S. Giusto (Pisa) e in brevissimo tempo ottenne il 1° e 2° brevetto per Farman: degli 80 allievi batté il record d'altezza, suscitando ammirazione nella madrina del Farman, signorina Giovannina Olio di Roma.
     Nonostante ciò il Farman non l'entusiasmava: domandò di montare altro apparecchio e in seguito fu trasferito alla Malpensa di Milano, dove egli sperava d'essere assegnato ad una macchina da caccia. Era quello il suo sogno, voleva essere solo, disporre liberamente di sé, della propria volontà e del proprio coraggio.
     Non fu appagato. Nel giugno 1918 tentò in forma decisiva d'essere ammesso nel reparto cacciatori. Al sul colonnello presentò domanda in cui era detto: «O nei cacciatori o in fanteria». Ma non ebbe né l'una né l'altra soddisfazione e solo fu punito perché non aveva seguito la via... gerarchica.
     Alla Malpensa ottenne i brevetti sui diversi Caproni e, in seguito a sua domanda, col grado di sergente pilota venne inviato alla fronte in una squadriglia da bombardamento.
     A metà dell'ottobre 1918 gli venne accordata una licenza: poteva rimanere fra i suoi cari sino al 27 ottobre, ma quando ebbe sentore della nostra trionfale offensiva volle partire, volle raggiungere la squadriglia che proprio in quei giorni si era trasferita al campo di Marte a Padova. Partì il 25 da casa lasciando nei famigliari il triste presentimento di una grave sciagura.
     Appena in squadriglia trovò tutti al posto di combattimento. Nella giornata non avrebbe dovuto riprendere servizio. Pregò, scongiurò e ottenne di partire assieme al tenente Mario Tarli e ai due mitraglieri Zamboni e Fantucci, per una importante missione nei pressi di Vittorio Veneto.
     I quattro uomini personificati da una sola volontà, combattere e vincere, avevano a loro disposizione abilità, coraggio, sentimento. Vollero agire anche se l'apparecchio era inferiore di potenza agli altri sedici partenti. Infatti avevano un «C 350, n. 11503». Lo caricarono di bombe. Partirono. Non tornarono più!


CRUENTA E GLORIOSA LOTTA.


      A descrivere l'azione complessa, decisiva, fatale di Giannetto Vassura ci serviamo del seguente stralcio di giornale Il Cielo:
     «La mattina del 27 ottobre il comando dell'XI gruppo da bombardamento, ordinava un'azione offensiva. Scopo: la distruzione di depositi di munizioni austriaci nei pressi di Vittorio Veneto.
     «Subito i quattro giovani, due piloti e due mitraglieri, che non formavano però equipaggio normale, s'intesero per partire, e insistettero finché non ottennero l'autorizzazione. Essi, dopo avere minuziosamente ultimata la toeletta di volo della loro macchina, lasciarono il campo di Padova e, seguendo il gruppo dei velivoli, puntarono decisamente verso l'obbiettivo. Le condizioni atmosferiche non erano certo favorevoli. Una foschia densa celava l'orizzonte. L'apparecchio che recava Tarli, Vassura, Zamboni e Fantucci per causa tuttora ignota, e forse semplicemente per la foschia, perdette il contatto col rimanente della formazione.
     «Nel cielo di Conegliano un gruppo di caccia austriaci muove decisamente all'attacco del Caproni isolato. I nostri piloti non li evitano. Accettano la impari lotta: presto le mitragliatrici fanno udire il loro secco crepitio. Ma il Caproni non cede. Due nemici – forse per un arresto di motore – abbandonano la lotta. Gli altri, pur avendo ancora una schiacciante superiorità, li imitano poco dopo, dirigendosi verso i loro campi.
     «L'equipaggio del “Ca” vuole raggiungere il bersaglio ad ogni costo. E lo raggiunge. Scarica completamente su di esso il suo grave carico di bombe.
     «Ma intanto l'apparecchio, e probabilmente in seguito allo scontro, aveva perduto quota in modo sensibile. Appena fu condotta a termine l'operazione offensiva, non raggiungeva i duemila metri. Le artiglierie antiaeree iniziarono contro di esso un fuoco violentissimo, che aumentava di minuto in minuto in intensità e in precisione. La situazione del “Ca” fu presto oltremodo critica. Il biplano era circondato da un cerchio di esplosivi che gli si stringeva sempre più vicino minacciosamente.
     «Malgrado ciò l'equipaggio decise di compiere dei rilievi sulla ritirata austriaca. Si trattenne anzi sull'obbiettivo e tornò ripetutamente su di esso per accertarsi con precisione dei danni arrecati e dell'entità delle devastazioni prodotte.
     «La quota intanto diminuisce sempre. E le batterie sparano con maggior furore. Shrapnels e granate scoppiano sempre più vicini al velivolo.
     «I piloti manovrano mirabilmente con estrema audacia, con un magnifico disprezzo del pericolo. Ma la sorte dell'apparecchio è ormai decisa. Esso non può più sfuggire alla tempesta di esplosioni che lo attornia. Quasi sopra Conegliano un proiettile squarcia un'ala, staccandola quasi completamente: il “Ca” precipita verso il suolo, e si abbatte in un campo nelle vicinanze di Conegliano Veneto, presso la chiesa di Rua di Feletto. Contadini dei luoghi accorrevano nella speranza di poter portare qualche utile soccorso ai quattro aviatori. Invano: essi erano morti sul colpo. Le salme vennero pietosamente composte e tumulate a Villa Clementina, frazione di Conegliano, che all'indomani doveva salutare il tricolore in una magnifica esaltazione per la rinata libertà».
     Ecco quanto scrisse a Vassura Andrea, fratello di Giannetto, il corrispondente di guerra del Corriere della Sera a concomitanza ed integrazione dell'episodio fulgido.

«Zona di guerra, 20 novembre 1918.

     «Sono per fortuna in grado di darle diverse notizie sul conto del povero sergente Vassura, suo fratello.
     «Io ero di scorta ai Caproni la mattina del 27 durante il bombardamento Conegliano-Sacile. Gli apparecchi furono investiti da un fuoco infernale di artiglieria. Eseguito il bombardamento, la massa dei “Ca” con i nostri caccia di scorta tornarono indietro. Vidi allora un Caproni allontanarsi dal grosso spostandosi verso Vittorio.
     «Io comandavo la pattuglia di coda e lo vidi avventurarsi a quel modo pericoloso, ma avevo ordini tassativi se qualche “Ca” si sbandava di lasciarlo e di proteggere invece il grosso.
     «Seppi poi a servizio terminato che quell'apparecchio col tenente Tarli e il sergente Vassura non era rientrato.
     «Le voci raccolte dalla squadriglia del Vassura sono discordi: chi dice sia stato abbattuto dall'artiglieria, chi da aerei nemici. Io son più propenso alla prima versione, perché la gente del luogo dice di avere veduto quest'apparecchio venir giù con un'ala rotta, guasto più facile a essere prodotto da una granata anzi che da una mitragliatrice.
     «La caduta avvenne nei pressi della chiesa di Rua di Feletto (sulla strada Conegliano-Refrontolo) e l'apparecchio andò in fiamme. I resti delle povere vittime furono sepolti a Villa Clementina (Conegliano).
     «Giorni or sono i compagni di squadriglia andarono a depositare una corona e misero sulla tomba una croce colla targa dei nomi, come risulta dalla fotografia acclusa.
     «Il sergente Vassura è stato proposto per la medaglia d'oro perché era ritornato “volontario” dalla licenza per partecipare all'azione».

PROPOSTO PER LA MEDAGLIA D'ORO.



     Ecco la versione ufficiale della lotta cruenta e la proposta per la medaglia d'oro:

«Zona di guerra, 18 novembre 1918.


     «Il 27 ottobre 1918 il sergente Vassura, volontariamente e dopo vive insistenze, otteneva di partecipare con il tenente Tarli, pilota, al bombardamento di depositi di munizioni.
     «Appena oltrepassate le linee l'apparecchio fu attaccato da più velivoli da caccia austriaci e l'equipaggio contrattaccando vivamente gli avversari e riuscendo a fugarne uno, cercava con alto sentimento del dovere di raggiungere ad ogni costo il bersaglio ed effettuare il bombardamento ordinario. Poco dopo un proiettile di artiglieria colpiva l'apparecchio staccandone completamente un'ala e facendolo precipitare al suolo nei pressi di Conegliano Veneto. Le salme dei due valorosi aviatori furono sepolte a Villa Clementina, frazione di Conegliano.
     «Il comando della squadriglia ha proposto il sergente Vassura per la medaglia d'oro al valore militare con la seguente motivazione:
     «Pilota ardimentoso ed entusiasta partecipava volontariamente ad un bombardamento di opere militari nemiche. Attaccato da più apparecchi da caccia nemici cercava sfuggirne l'assalto per assolvere ad ogni costo il mandato affidatogli. Colpito l'apparecchio da un proiettile che ne staccava un'ala, precipitava al suolo, immolando la giovane esistenza alla Patria nei giorni della sua redenzione.

«Cielo di Conegliano 27 ottobre 1918.

«Per il capitano comandante la 4a squadriglia

«LANZAFAME».


     Il Comando Supremo d'Aeronautica con lettere del genere Bongiovanni così scriveva alla famiglia dell'eroico Vassura:
     «A nome mio e di tutti i componenti il Corpo aeronautico mando le più vive condoglianze all'addolorata famiglia per la morte del bravo pilota sergente Giannetto Vassura.
     «Abbiamo tutti con ansia sperato per la sua salvezza, ma i nostri voti e le nostre speranze sono stati dolorosamente troncati dalla conferma della sua morte.
     «Egli è caduto da eroe in vista della vittoria che portava la patria nostra al compimento dei più gloriosi destini.
     «Sia ciò di conforto alla famiglia e sia di conforto il saperlo rimpianto da quanti lo conobbero e poterono apprezzarne le belle virtù di soldato e di aviatore».


IL COMPIANTO DI ROMAGNA E DELLA STAMPA.



      Alla notizia della morte gloriosa di Giannetto Vassura, generale fu il compianto in Romagna. I giornali, specie della regione, a molti dei quali Giannetto Vassura collaborava, ebbero parole di sincero cordoglio per la famiglia, e fra questi: Il Giornale del Mattino, Il Resto del Carlino, Il Corriere della Sera, Il Popolo d'Italia, Il Cielo, La Gazzetta dello Sport, Il Messaggero dello Sport, La Rivista d'Aeronautica, Il Touring Club Italiano, L'Aereo Club d'Italia, Il Bollettino Postelegrafico, Il Nuovo Giornale, La Vedetta, Il Lamone, La Gazzetta Ferrarese, Il Pensiero Romagnolo, Il Romagnolo, La Libertà, L'Iniziativa, ecc.
     Di Giannetto Vassura così scrisse La Vedetta di Lugo:
     «Sul campo della gloria, a poche ore dal giusto auspicato e grande fato della Patria, cadde da vero soldato questo fiero repubblicano, che, nelle epiche gesta della milizia del cielo, portava con sé, come viatico, i doveri dell'uomo di Giuseppe Mazzini...».
     Il Cielo di Milano:
     «Lasciò volontario le file degli automobilisti per dedicarsi alla guerra aerea. Giovane colto, amante degli sports, repubblicano fervente, egli ha voluto dare tutte, tutte le sue energie alla grande, alla santa causa...».
     Il Lamone di Faenza:
     «Figlio non certo degenere della sua famiglia (il nonno era un reduce del '48 e '49; il babbo è un pensionato garibaldino del '66-'67 e '70; il fratello maggiore Andrea, volontario delle campagne d'Africa, offertosi volontario coi fratelli Antonio e Domenico della nostra guerra e minacciati anzi di sospensione dall'impiego per l'insistenza loro). Giannetto veniva così il più piccolo dei cinque fratelli, tutti alle armi attive...».
     E proseguiva Il Lamone:
     «Come esaltammo la nobile figura del primo romagnolo e primo italiano decorato colla medaglia d'oro, Decio Raggi, vieppiù ci sentiamo ora di onorare e ricordare indelebilmente l'ultimo romagnolo, anche perché Giannetto Vassura era coscientemente dei nostri e fra i resti del suo glorioso corpo spiccava l'opuscolo I Doveri dell'uomo di Giuseppe Mazzini, del maestro, alle virtù del quale il caduto si era votato».

LA SALMA – ESUMAZIONE E TRASLAZIONE.


     Molte furono le alterne vicende, peripezie e sopraluoghi compiuti dai fratelli onde rintracciare i sacri resti del caduto. Finalmente, sorvolando a pratiche ufficiali, fu precisata e localizzata una prima volta la fossa che conteneva la salma e precisamente sotto un vigneto di Villa Clementina presso Conegliano. Ivi quattro fosse contenevano i resti del valoroso equipaggio Caproni N. 11503, avvolti separatamente in semplici teli da tenda, mentre altre sei fosse erano di ungheresi.
     Gli ungheresi annidati a Villa Clementina che avevano dato sepoltura a Giannetto Vassura, lo avevano prima depredato di tutto ciò che aveva addosso, persino della tenuta di cuoio; l'avevano sepolto senza un nome, né una minima indicazione per facilitarne la identità. In capo egli aveva ancora una calza di seta da donna che soleva portare in ogni volo come una mascotte. Il suo casco, dove aveva scritto Fortitudo mea in brachio, è rimasto alla famiglia.
     Il 24 gennaio 1919 fu esumata ed identificata la salma dai fratelli Andrea e Francesco, indi trasportata nel piccolo cimitero di Santa Pasqua, da dove, appena possibile, verrà trasportata a Cotignola, il cui Municipio si è assunta l'iniziativa delle onoranze che riusciranno degne del grande eroe, simbolo di fede, di dovere, di audacia.
     Ogni paese piange in uno dei suoi figli gloriosamente caduto la triste schiera degli eroi che non tornano più: la fine di Giannetto Vassura non è un lutto solo per Cotignola, ma per la Romagna tutta.

(Supplemento La Cronoca Sportiva).


Tenente Arosio Valeriano.

(Cielo di Venezia – 21 agosto 1917).



     Studioso, intelligente e dotato di molta gentilezza d'animo, studiò nel nostro R. Istituto Tecnico e, quando lo squillo di battaglia echeggiò dall'Alpi al mare, abbandonò l'Università, ove frequentava il corso d'ingegneria, per accorrere pieno d'entusiasmo e di fede, come un giorno il nonno suo, a difendere la Patria in pericolo.
     Non si smentì mai. Divenne presto ufficiale di artiglieria. Con le bocche rotonde dei suoi cannoni fulminava il nemico. Poi, attratto dal fascino del volo, e dal desiderio di mettere anche nella guerra una maggiore individualità, passò negli aviatori come pilota. E fu tra i migliori anche nelle ardue lotte dei cieli.
     Era destino: negli occhi suoi pensosi gli si leggeva la nostalgia del cielo, e nel cielo doveva fare olocausto della sua giovane, promettente esistenza, all'Italia che adorava di un ardente amore.
     Durante un volo sulla Laguna Veneta l'avversa fortuna volle che l'apparecchio precipitasse al suolo, e che quella nobile e bella promessa fosse stroncata.
     Levatosi in esplorazione quel giorno, sopra la Regina dell'Adriatico, a protezione del leone di S. Marco, nella vastità dell'infinito, scrutatore acuto e vigile, era forse in attesa di qualche aeroplano crociato, quando... un attimo e l'apparecchio, come aquila ferita, precipita giù nel vuoto, vertiginosamente. Il nostro Valeriano nell'attimo fuggente e tremendo, avrà mandato un pensiero ai suoi cari, e ridonò l'anima a Dio.
     Era attivo ed affezionato socio della Fanfulla, della Canottieri Adda e della Tiro a Segno.
     La sua Università lo dichiarò ingegnere ad honorem.

Sottotenente Gianpiero Clerici.



     Del fu marchese Giorgio e di Motta Giuditta. Nato a Gerenzano (Milano) il 18 luglio 1892. Morto a Flumignano, il 1° novembre 1917.
     Prese parte alle imprese di Pola, Chiapovano, Cattaro.
     Volontario di guerra ebbe il premio come asso di bombardamento.
     Si ignorò la sua sorte per ben 14 mesi poi si seppe che trovò morte gloriosa in combattimento aereo nel cielo di Flumignano il 1° novembre1917.


(Copia).


COMANDO DEL III GRUPPO AEROPLANI


RAPPORTO
CIRCA LA PROPOSTA DI RICOMPENSA AL VALORE MILITARE
AL SOTTOTENENTE CLERICI GIANPIERO


     Nell'inoltrata proposta di ricompensa al valore per il sottotenente Clerici Gianpiero, lo scrivente espone i fatti che detta proposta motivarono.
     Il sottotenente Clerici fa parte della 9a squadriglia (Caproni) dal maggio del corrente anno. Lo stesso giorno del suo arrivo in zona di guerra urgenti necessità guerresche imposero il bombardamento della stazione ferroviaria di Calliano (Val Lagarina) verso le ultime ore del giorno.
     L'azione era resa particolarmente difficile e pericolosa per le orribili condizioni atmosferiche, la zona era coperta di dense nubi temporalesche e tutto faceva prevedere che presto si sarebbe scatenato il temporale. Questo giovane ufficiale nonostante fosse appena giunto alla squadriglia e quindi ancora non pratico della difficile ed aspra zona montuosa, volle prendere parte all'azione, che portò a compimento. Gli apparecchi partirono che già cominciava a cadere la pioggia e rientrarono quando il giorno era già caduto.
     Il sottotenente Clerici rivelò in questa circostanza eccezionali doti sia di abilità nella condotta dell'apparecchio, sia di saldezza d'animo e di energia; da quel giorno egli venne sempre confermando brillantemente queste sue qualità, dimostrando in ogni circostanza fermezza di propositi, sentimento altissimo del dovere, sprezzo sereno del pericolo ed un entusiasmo così sincero, così profondo, così santamente materiato di amore al proprio Paese e di attaccamento alle recenti e pur gloriose tradizioni dell'aviazione, da rendere particolarmente simpatica ed amata la sua esuberante e fiorente giovinezza.
     Ha eseguito 15 bombardamenti (in molti dei quali offertosi spontaneamente) nella difficile zona montana del Trentino, aggredendo con bella tenacia le alte posizioni nemiche, anche quando l'apparecchio non riusciva ad innalzarsi ad una quota sufficiente.
     Egli è perciò quasi sempre ritornato con l'apparecchio più volte colpito dal tiro nemico, alcune volte gravemente danneggiato; il 20 giugno 1916, dopo il bombardamento del campo d'aviazione nemico di Pergine (Cirè) ritornava con 34 fori di proiettile nell'apparecchio.
     E' uno di quei piloti che, una volta partiti, non tornano indietro senza aver compiuto il mandato a loro affidato. Lo scrivente fa sempre speciale assegnamento su di lui ogni qualvolta vi è un'impresa difficile ed arrischiata da compiere, che anzi deve spesso intervenire con la sua azione moderatrice per contenere l'entusiasmo a volte eccessivo, ma sempre ammirevole.
     Nell'azione offensiva delle nostre truppe sul Col Santo prese parte ai bombardamenti eseguiti su quell'alta ed alpestre regione. Il 9 ottobre, incaricato ancora di eseguire sulle ultime ore del giorno il bombardamento delle riserve nemiche lungo la Val Zuccaria (regione Col Santo) nonostante il cattivo funzionamento di uno dei motori e conseguente impossibilità di raggiungere una quota sufficiente elevata, s'internava risolutamente sulle linee nemiche eseguendo a quota di soli 2700 metri il bombardamento della località in quella zona che raggiunge, e supera in alcuni punti, l'altitudine di 2000 metri sul livello del mare.
     Quanto sopra dimostra il coraggio a tutta prova di questo giovine ufficiale, il suo fermo e cosciente ardire, l'alto spirito di sacrificio e di abnegazione per il quale questo Comando lo propone per la medaglia di argento al valor militare.


2 dicembre 1916.

Il maggiore Comandante III gruppo aeroplani
Firmato: LA POLLA.

(Discorso pronunciato dal capitano di corvetta
cav. E. Ponzio, direttore dei servizi marittimi).

Capitano Calleri di Sama – Tenente Arosio
Soldato Gargano – Soldato Seghizzi.


     L'albo di onore, grondante di purissime stille di sangue italiano, ha visto incidersi ieri sul suo marmo in modo indelebile ed imperituro il nobilissimo nome di quattro nuove vittime della guerra nell'aria.
     Le vittorie superbe della nostra aviazione chiedono sempre ed inesorabilmente sacrifici di sangue, ma l'ala italiana va ognor più coprendosi di gloria col valore e colla morte!
     Questi nostri amatissimi compagni che avevano serenamente sposato l'affascinante carriera dell'aviatore, cercando lassù nel cielo la lotta con l'odiato nemico; questi giovani cuori amanti del pericolo, coraggiosi e buoni, hanno trovata la morte precipitando dall'alto, mentre tornavano a Venezia dal mare, sul quale a difesa delle nostre navi e della nostra città, avevano a lungo ed invano atteso le navi avversarie e l'alato nemico, che ormai pavido e scosso, lasciata l'albagia di un tempo e la tracotanza della sua razza, nascosto nei suoi covi, schiva la lotta nel cielo e sfugge i nostri arditissimi aviatori.
     Il martirio di questi nostri compagni s'aggiunge a quello di molti altri che li hanno preceduti immolandosi sereni sull'ara del sacrificio!
     Reverenti noi chiniamo la fronte dinanzi ad essi!
     L'aviazione marinara aveva da poco tempo e con grandissimo entusiasmo veduto giungere a rincalzo nelle sue operose lotte sul mare la possente squadriglia che tu, nostro carissimo Calleri, fiero del tuo comando, aveva recata a Venezia! E a nuovissimi cimenti tu la preparavi, e con cura fraterna tu curavi i temuti tuoi apparecchi per recare insieme ai colleghi del mare nuove e più gravi offese al nemico, laggiù nel suo covo, ove ormai non più sicura si asconde la sua flotta.
     A te, nostro ardito compagno dal sorriso gaio e buono, al carissimo Arosio, tuo fido compagno di guerra, ai tuoi mitraglieri Gargano e Seghizzi, che teco hanno trovata la morte, il vostro Capo che aveva imparato ad amarvi e stimarvi, i vostri compagni di mare e di squadriglia inviano un reverente ed affettuoso saluto.
     E' nel nostro dolore, per la vostra perdita, tutta la fierezza del combattente che dinanzi al corpo esanime del compagno caduto, vede il nemico prostrato e vinto.
     Scolpiti nella nostra mente, addentro nel nostro cuore, o carissimi, i vostri nomi risplenderanno in eterno.
     Dinnanzi a voi, che la morte ha investito di una aureola santificatrice, noi sentiamo commossi venir di lontano la squilla della vittoria!
     Le ali italiane, malgrado che inesorabile destino intrida e bagni di amarissimo sangue, volano superbe e incontrastate verso la meta agognata.
     Noi vi benediciamo, o dilettissimi, e qui sulla vostra tomba, versando lacrime sincere, posiamo sulla vostra fronte un bacio fraterno ed affettuosissimo.
     Possa la sincerità del nostro dolore e la grandezza del vostro sacrificio, lenire la piaga che dilania i cuori dei vostri congiunti e della tua sposa promessa, o Calleri, che pur oggi ti apprestavi a condurre all'altare! Ad essi sarà pur sempre di grande conforto il sapere che per la Patria e per la Vittoria, voi avete serenamente sfidata la morte!

Da alcune lettere di D'Annunzio al tenente colonnello Armani
traspare il suo dolore per la morte di Pagliano e Gori.

«Venezia, 23 febbraio 1918.

«Mio caro compagno,
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
     «La distruzione avvenuta del nostro campo, l'altra notte, mi riempie di rammarico e d'ira.
     «La nostra impotenza presente è deplorevolissima.
     «Anche ieri scrissi al Commissario una lunga lettera.
     «Ahimè! Ci nutriamo pur sempre di illusioni. E la primavera sanguigna ci trova quasi disarmati in cielo.
     «A proposito dei due miei cari piloti scomparsi (le notizie sono pur sempre contradditorie) oso domandarti un servizio di camerata. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
     «Si tratta delle grandi giornate d'offensiva, quando il mio apparecchio si abbassò a 50 metri sopra le fanterie nemiche e riesci a fotografare l'impianto di ferrovia in Goziansko da bassissima quota, ricevendo l'elogio della III Armata. Il 21 agosto appunto io fui ferito leggermente al polso da scheggia.
     «L' “Asso di Picche” riportò 137 buchi.
     «In quelle azioni il mio nome è legato a quello di Luigi Gori e di Maurizio Pagliano. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
     «Allora ti chiederò una visita. E avrai lietissima accoglienza.
     «Un'affettuosa stretta di mano dal tuo

«GABRIELE D'ANNUNZIO».

Zona di guerra, 17           1918.


     «Mio carissimo
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
     Quel che mi dici di Maurizio Pagliano mi commuove.
     «L'ultima sera che pranzammo insieme, io gli dissi appunto che lo giudicavo un capo di gruppo eccellente e che questo ufficio avrebbe dovuto essergli confidato.
     «Vedo che tu sei del medesimo parere.
     «E il mio rimpianto si fa più acuto.
     «Non hai nessuna novità?
     «Il padre mi scrive, tutti i parenti mi scrivono e non so che rispondere.
     «Non ho ancora avuto il coraggio di troncare ogni speranza. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
     «Le costellazioni ti siano propizie sempre: anche quelle d'amore!
      «Una fraterna stretta di mano dal tuo
«GABRIELE D'ANNUNZIO».

Gino Fiaschi.


      Gino Fiaschi nacque ad Arezzo il 12 settembre 1887.
     Aveva una spiccatissima inclinazione al disegno e specialmente alla scultura a cui si dedicava ogni volta che le sue occupazioni lo permettevano.
     Fu redattore e critico artistico, nonché collaboratore e valente caricaturista di alcuni giornali locali.
     Benché lasciasse la madre sola, ed egli fosse allora in non floride condizioni di salute, attratto dal fascino della guerra per la Patria e per la civiltà, volle alla guerra stessa partecipare dandole dapprima il braccio suo efficacissimo ed agile, la mente sua intelligente ed entusiasta, il suo cuore, come sottotenente di M. T. nell'81° fanteria, poi passato al 7° reggimento di marcia, fu sempre in linea, in trincea, e al fuoco, sul Sabotino, sul Podgora, sul Faiti, in Valsugana.
     Ma i combattimenti del cielo lo attiravano, erano il suo sogno, il suo assillo. Anima di poeta e di soldato, lassù voleva volteggiare, di lassù, nel limpido sorriso della natura o tra la foschia delle nubi burrascose, sconfiggere i nemici d'Italia che pur dall'alto miravano al nostro bel paese con occhi concupiscenti.
     E nel 1917 passò all'aviazione. Nelle lotte nuovissime del cielo fece prodigi di eroismo, finché il 25 ottobre 1918 dall'altitudine azzurra dell'aria cadde nella profondità turchina del mare, e nei gorghi di questo, non potendo sciogliersi dai legami dell'aeroplano, annegò.
     Cadde per sempre, povero Gino, quando stava per compiersi la fortuna d'Italia, cadde (testuali parole del maggior generale comandante superiore dell'Aeronautica) «ardente di fede e d'entusiasmo; compiendo mirabilmente il suo dovere verso la Patria, che di lui ricorderà le virtù ed il sacrificio nobilissimo».
     Il suo valore fu così premiato:
     a) medaglia d'argento conferitagli personalmente da S. M. il Re;
     b) medaglia di bronzo;
     c) croce di guerra;
     d) medaglia d'oro della ditta Pirelli, per l'abbattimento in difficili condizioni di un agile caccia austriaco con un Caproni che fu colpito in quell'ineguale e vittorioso combattimento per ben cinquanta volte e tornò al campo crivellato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
     Nell'antiguerra fu consigliere del Circolo Artistico di Arezzo, cui dedicò zelo e laboriosità, perché egli era di quei pochi coscienziosi che non sanno coprir le cariche senza soffrirne le responsabilità; gli onori anche modesti senza i sacrifici anche se gravosi.
     «Il tedesco ha scatenata la guerra – egli scriveva in lettere che sono un poema di sentimento – ed ora la seguiteremo ormai fino alla vittoria, fino al nostro trionfo, fino alla pace umiliante pel nemico».
     E così è stato! Ma Gino è morto pria del trionfo, alla vigilia del trionfo; è morto troppo presto per l'Italia e troppo giovane per sé!...

Tenente di cavalleria Mariano d'Ayala Godoy.


     Mariano d'Ayala Godoy, di patriottica famiglia napoletana, nato a Padova, il dicembre 1896, studente in legge, chiamato alle armi per la guerra nel maggio 1915, frequentò in Modena il corso speciale per ufficiali di complemento, e conseguì la nomina a sottotenente di complemento nel reggimento lancieri di Novara il 20 settembre 1915. Destinato dapprima al Deposito del reggimento in Treviso, il D'Ayala, pervaso d'entusiasmo e vibrante d'amor patrio, mal si adattava, mentre gli altri si battevano, alla vita sedentaria del Deposito, per quanto egli sapesse che quel tirocinio pei sottotenenti di complemento di nuova nomina non potesse essere di lunga durata, e perciò chiese ed ottenne di poter essere destinato subito in linea. Difatti nel novembre dello stesso anno fu inviato quale ufficiale addetto al Comando della Brigata Ferrara (22a Divisione dell'XI Corpo d'Armata), in allora seriamente impegnata sull'ormai famoso Monte S. Michele. Divenne, in breve, ufficiale di fiducia del Generale comm. Francesco Rocca, comandante dell'oradetta Brigata (ora comandante la Divisione territoriale di Milano) che seppe ben presto apprezzare le sode qualità militari del D'Ayala, e difatti, in occasione dell'attacco austriaco con gas asfissiante, del 29 giugno 1916, il giovane ufficiale, per la sua avveduta e brillante condotta in un'azione di guerra riportò, con l'elogio del suo superiore, la ricompensa della medaglia di bronzo.
     Rimase parecchi mesi (un anno circa) sul S. Michele, fino a che il proprio Comandante di Brigata, al quale erasi affezionato, dovette lasciare il Comando della Ferrara, perché nominato Comandante di Divisione. Entusiasta dell'opera dei bombardieri, dei quali aveva riconosciuto tutta la efficacia sul campo di battaglia, chiese nell'autunno del 1916, e facilmente ottenne, essendovi in allora gran ricerca di ufficiali di quella specialità, l'ambita destinazione in quelle batterie, venendo in breve destinato al corso preparatorio d'istruzione in Susegana.
     A corso compiuto raggiunse a Castagnavizza la batteria comandata dal capitano Capasso e rimase ben altri undici mesi sul Carso, sulle posizioni più esposte, prendendo parte a varie offensive, etc., conseguendo il passaggio ad ufficiale effettivo per essere stato per due anni in prima linea, e segnalandosi per perizia e valore, tantoché ottenne, nella sua qualità di ufficiale bombardiere, una seconda medaglia di bronzo al valor militare.
     Ma non pago di essersi già tanto prodigato, volle Mariano dedicarsi al più audace degli ardimenti. Sempre all'insaputa dei suoi, come era suo costume quando trattavasi di andarsi sempre più ad esporre, fece domanda e passò nell'aviazione, divenendo in breve un audace ed esperto osservatore per gli apparecchi da bombardamento, coi quali compì numerosi ed arditi voli di guerra sul campo nemico, tra i quali Cattaro e Pola. Venne così dal Comandante D'Annunzio, che lo prediligeva, prescelto come uno degli osservatori su quei gloriosi apparecchi che compirono il famoso raid su Cattaro.
     Per tale nota e bellissima impresa di guerra il Mariano, come gli altri aviatori che tale raid felicemente compirono, venne fregiato dal Comando Supremo di medaglia di bronzo al valore – che per lui fu terza.
     Dopo il raid su Cattaro, Mariano doveva restituirsi al suo campo di aviazione alla Comina, presso Pordenone, quando per via, giunto a Bologna, apprese il disastro di Caporetto che lo mise nella più grande e muta costernazione. Venne così, nell'arretramento generale, destinato nella Bresciana al campo di Montichiari e di lì a poco ai campo d'aviazione del Padovano.
     Compì ancora numerosi voli di guerra ammontanti, in breve tempo, ad un totale di ben trenta circa, durante i quali il suo apparecchio fu 14 volte colpito.
     Dopo aver, con tanta giovanile baldanza ed avvedutezza, sfidato tutti gli ardimenti, pel complesso dei quali si rendeva meritevole di una quarta medaglia d'argento al valore, Mariano d'Ayala, questo giovane eroe, nella fatale notte dal 2 al 3 febbraio del 1918, essendo stato ricercato quale osservatore provetto dal maggiore Salomone, l'eroe di Lubiana, per compiere un difficile volo in notte illume sul campo nemico di Levico, nello atterrare nel campo d'aviazione di Padova, dopo aver compiuto la sua missione di bombardamento, per una falsa manovra del pilota, a pochi metri da terra, trovava quella morte che tante volte egli aveva coraggiosamente sfidata!
     In quella notte fatale un bombardamento terribile ebbe luogo sulla tanto provata città di Padova, e la tedesca rabbia tentò ancora una volta colpire, quando egli era già spento, quel puro eroe italiano che in vita non aveva mai potuto colpire.


Tenente Luigi Franzini.



     Studente in legge allo scoppio delle ostilità. Tenente del 6° Alpini nei battaglioni Val Leogra e Monte Berico, dal dicembre 1915 al gennaio 1917. Fu ferito in assalto alla baionetta durante l'eroica difesa del Pasubio-Cordon del Corno il 13 luglio 1916.
     Ufficiale aviatore alle scuole di Gioia del Colle, Busto Arsizio, Mirafiori e sui campi di Ponte San Pietro e Ghedi.
     Con Brack Papa e Barberis fu uno dei primi pilori dei «Sia 9 B». Chiamato con quest'apparecchio da Gabriele D'Annunzio nella 1a Squadriglia navale, poi gloriosissima squadra di S. Marco, nel maggio 1918.
     Durante la prima azione sulla piazzaforte di Pola, il 17 luglio, per un guasto al motore preferì scendere in mare, che darsi prigioniero. Fu raccolto fortunatamente dai nostri.
     Riprese il suo servizio, sempre più entusiasta, prendendo parte a numerosi bombardamenti sulle coste nemiche e sul Piave, finché, ripartendo per fulminare ancora le schiere nemiche, uno sciagurato incidente troncava le ali e la vita a lui e al suo osservatore Luigi Fiaschi, a pochi metri dal campo di Lido – 25 ottobre 1918.

Lettera della famiglia di Marco Resnati.


     Per mezzo del tenente Raimondo, rimpatriato, ci arriva la seguente lettera scritta microscopicamente su di una listerella di carta arrotolata come sigaretta e confusa con quelle vere, e con preghiera di parteciparla anche alle famiglie dei suoi compagni di apparecchio.
     «Carissimi: mamma, papà, Giulia, Gisella, Silvio; come mi fa bene scrivervi così! mi sembra di esservi più vicino. Approfitto della gentilezza di un mio collega che rimpatria per farvi avere mie notizie esatte. Riassumo: il 25 ottobre 1917 alle ore 14,30 sono col tenente Trevisan, col tenente Carini ed il mitragliere Bertone in combattimento su Modreica. A Campoformido dovevamo avere la scorta dei Newport. I cacciatori si fanno attendere parecchio, poi si alzano; noi però si è intanto girato per oltre un quarto d'ora in vista del nemico e questi in quel momento non dormiva. Si prende rotta e malauguratamente al confine la tubazione dell'acqua del motore sinistro si rompe al manicotto raccordo anteriore: siamo costretti a togliere il contatto. In lontananza, altissimi sulla sinistra, ci seguono caccia nemici: davanti 2 Caproni sono sull'obiettivo, ed a destra abbiamo un intenso fuoco antiaereo di sbarramento. Si tiene consiglio: si decide di proseguire egualmente basandoci sulla nostra alta quota (3800 m.), sulla vicinanza del bersaglio e sul valido aiuto dei Newport. Però, prima del bersaglio, siamo attaccati da 5 caccia. Si inizia con calma la difesa parecchio intralciata dalla mancanza del motore sinistro e dal non avere pallottole fumigene alle mitragliatrici. Gli avversari le hanno e non le sciupano. Manovrando e difendendoci si riesce a portarsi sul bersaglio e ad effettuare il lancio. Si pensa decisamente al ritorno. Il nemico è abilissimo: la nostra scorta è scomparsa. Dove? perché?..... Siamo attaccati da ogni parte: evitiamo a stento le scariche dirette posteriormente e anteriormente, ma a turno un apparecchio ci mitraglia da sotto l'ala. Siamo impotenti contro tanti: il motore fermo ci rovina: l'apparecchio è pesante, lento. Maledizione! Avrei voluto averlo al completo e avrebbero visto che cos'è un Caproni! Ma non c'era fortuna. Povero «4083»! Io l'avevo visto lucido e potente, preparato da Parravicini per un grande raid e gli avevo augurato miglior fortuna! Non importa: è morto, ma è morto bene, e si può tener alta la testa lui e noi. Con un altro tipo di velivolo si sarebbe morti 10 volte....
     «E' una curiosa sensazione quella che si prova sentendo e vedendo le raffiche di palle fumigene investirci! Si vedono i proiettili dalla partenza dall'arma, una gran striscia bianca segna il loro percorso... è alta quota... questa c'è.... tac.... Il motore ci ha salvati... un'altra... ci siamo.... no... sempre avanti finché c'è fiato. Sento i proiettili toccare i serbatoi a cui sono appoggiato. Sono piccoli colpi nella schiena che mi lasciano il dubbio di essere colpito. Trevisan, in piedi sui serbatoi, spara con un Mauser: una scarica taglia il lungherone a pochi centimetri dalla sua testa: un'altra divide netto in due un serbatoio: i motori rantolano crivellati, perdendo acqua evaporizzata: la benzina balza da ogni lato: io ne sono inondato. Non si capisce come ancora non ci si incendi. Eppure ancora si ragiona. Carini, Bertone, sparano le ultime cartucce: siamo a 700 metri... è la fine. Penso all'atterraggio che si presenta difficilissimo. Il terreno è tutto collinette coniche, sassose: a boschi irti di reticolati e trincee, e i caccia non ci lasciano... quegli accidenti ci vogliono ammazzare ad ogni costo. Devo tenere l'apparecchio inclinato a 45° per essere parallelo al terreno: cerco sedere l'aeroplano... ci siamo... terra... crac! Abbiamo urtato un muretto, e giù rotoloni per il pendio. Non sento più nulla: un gran silenzio e un gran peso sulla schiena. Il serbatoio mi schiaccia, ma fortunatamente è vuoto e resisto.
     «Trevisan, che essendo fra i serbatoi ne è stato sbalzato fuori, mi aiuta ad uscire dai rottami sotto i quali ero rimasto sospeso, schiacciato e a testa in giù. Siamo contusi, sporchi, e io non mi posso quasi muovere. Carini a poca distanza si lamenta per due ferite alla testa, da cui perde sangue.
     «Il mitragliere è intatto. L'apparecchio è distrutto. Da ogni lato accorrono austriaci... siamo presi... questo è il momento più brutto. Carini viene inviato ad un posto di medicazione: noi veniamo incolonnati con altri prigionieri alla volta di Lubiana. Due giorni e due notti di marcia, poi passaggio a vari ospedali, poi erroneamente in un campo russo in Ungheria, dove ho preso una scabbia terribile, e finalmente ad Hajmasker. Solo da qui, 20 novembre 1917, posso telegrafare.
     «Mamma, papà, voi siete stati e siete il mio unico pensiero. Come mi fa male sapervi in ansia! Coraggio!...


***


     «Qui i soldati sono trattati in un modo incredibile: ne muoiono 20 e più al giorno di fame, freddo e stenti (questo di Sigmundsherberg è un campo di almeno 60.000 soldati) e questo è poco in paragone a quanto capita ai prigionieri comandanti ai lavori nei boschi e nelle miniere».

Lettera del tenente conte Parravicini a sua madre, dopo Cattaro.

Gioia del Colle, 7 ottobre 1917.


     «Carissima, «. . . . . avevamo lasciato Cattaro alle 2,50... Erano ormai quasi sei ore che navigavamo e la benzina doveva essere sul finire. S'era fatto giorno: ci abbassammo, ed esaminato da pochi metri il terreno, ci buttammo in un campo: Resnati – che pilotava – fu meraviglioso ed eseguì da maestro la manovra. Solo si ruppero le gomme delle ruote . . . .».

Onore agli eroi caduti.



      Narrava un giorno un cacciatore come più volte nei combattimenti aerei i piloti si passassero così vicini tanto da guardarsi in viso, e da leggersi negli occhi lo stato d'animo di ognuno.
     E diceva anche che in simili momenti non è più l'uomo di fronte all'uomo, ma niente più che uno strumento al quale è data la ventura di trovarsi di fronte ad un pericolo che bisogna cercar di vincere per la propria salvezza.
     E che tra gli aviatori nemici non vi sia mai stata quella animosità che invece si vasto campo nei terribili combattimenti tra le trincee avversarie, propria delle masse cozzanti fra di loro e inasprite dalla continua sofferenza e dall'attesa angosciosa della morte, lo si rileva da molti episodi e da testimonianze di indiscussa attendibilità.
     Molti aviatori nemici incontratisi all'indomani della pace, hanno ricordato insieme i combattimenti sostenuti ed hanno ricollegato date e circostanze tali da far ritenere quasi con certezza che più d'una volta abbiano rivolto l'un contro l'altro le proprie mitragliatrici.
     Il volo di guerra in genere ed il combattimento aereo in ispecie potevano chiamarsi effettivamente la massima essenza del pericolo, per le grandi difficoltà che erano rappresentate sia dal mezzo come dal campo ove l'azione si svolgeva, e si capisce perché l'aviatore sia sempre stato considerato uno speciale combattente e non lo si sia mai potuto guardare con gli stessi occhi che seguivano il Fante nella sua costante e faticosa marcia verso il nemico.
     Lo stesso avversario considerava in modo ben differente l'aeroplano nemico e gli dava un valore ben diverso da quello che poteva attribuire a qualsiasi altro esponente guerresco. E fino a che l'apparecchio rimaneva in aria pur seminando il suo carico di morte non si imprecava né si malediceva chi tanto dava alla Patria, ma quando questo cuore si fermava e lo si vedeva oscillare per interrompere poi il suo sicuro volo, o schiantarsi nell'attraversare una fitta cortina di fuoco, un senso di sbigottimento invadeva tutti e molti occhi che si giudicavano aridi si bagnavano di pianto.
     L'aviatore morto tra i resti fumanti e contorti del suo apparecchio non è più un nemico. Di fronte alla sua salma si frange ogni odio ed ogni rancore e sembra che tutto il mondo si raccolga attorno a questo eroe che ha voluto dare alla sua terra più di quello che la natura diede a lui.
     In questa raccolta di episodi ove il valore italiano è sintetizzato nella più pura espressione è doveroso ricordare come siano stati onorati i nostri aviatori caduti in territorio nemico.
     Per una convenzione spontanea sorta tra i Paesi in guerra, salda e leale perché dettata della pietà umana anziché da una lunga e affannosa discussione attorno a un tavolo di Consiglio, la morte di un aviatore in territorio nemico veniva comunicata dall'avversario stesso al Comando cui il caduto apparteneva.
     E la partecipazione scritta della disgrazia veniva documentata da fotografie che testimoniavano come i nostri grandi eroi pur riposando in terra nemica avessero ricevuto da questa gli onori che spettano a Coloro i quali muoiono per la Patria.

***


     Il giorno 12 agosto 1916 l'apparecchio Caproni 1134 pilotato dal sottotenente Zanini Valentino e dal sergente Borghi Mario e con a bordo il sergente mitragliere Manieri Biagio veniva abbattuto dalle artiglierie nemiche sul cielo di Trieste. Il giorno dopo un apparecchio austriaco lanciò su Venezia il messaggio e le fotografie che qui pubblichiamo.

ALL R. COMANDO DELL'IDROSCALOO DI VENEZIA

     L'apparecchio Caproni Ca 1134 fu abbattuto il 6 agosto in grave combattimento aereo nel cielo di Opcina (Poggioreale). Pilota sottotenente Zanini Valentino deceduto, 2° pilota Borghi Mario riportò gravi ferite all'avambraccio e all'omero sinistro, mitragliere sergente Manieri Biagio ferito leggermente alla mano sinistra. Il sottotenente Zanini fu sotterrato con gli onori militari. Si allegano 2 fotografie.

I. R. COMANDO IDROSCALO.

I FUNERALI DEL SOTTOTENENTE PILOTA ZANINI VALENTINO

Caduto il 6 agosto 1916 col Ca3 1134 durante il bombardamento
di Opcina, attaccato da un idrovolante austriaco.

PARLANO I MORTI


     Alcune lettere scritte dal tenente Gori Luigi ad una sua cugina.

25 luglio 1915.


      Mia buona cugina,
     . . . . . . . . Non vi è da impressionarsi, mia cara Teresita, perché questa è la nostra vita comune, la vita che viviamo quasi tutti i giorni. Non è brutta sai, tutto è bello quando si fa con passione, quando si fa per la Patria. Viva l'Italia! Viva il nostro buon Re che per primo si offre al pericolo! . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
GIGI.

6 novembre 1916.


      Cara cugina,
     Non mi ricordo in verità, se in una mia cartolina t'accennai agli ultimi due bombardamenti fatti; ad ogni modo oggi lo faccio più estesamente. Come avrai appreso dal comunicato di Cadorna, essi riuscirono veramente meravigliosi e furono forse i più importanti che abbia fatto.
     Ecco perché te ne voglio fare un breve ragguaglio. Dopo che entrammo sopra il territorio nemico si dovette navigare in una completa atmosfera di shrapnell che piovevano da tutte le pareti, e di tutti i colori: bianchi, rossastri, verdi, crema. Sembrava che tutte le batterie antiaeree si fossero dato appuntamento lassù. Nonostante tutto questo pandemonio non si poteva fare a meno d'ammirare la bellezza del panorama sottostante: Da una parte il Carso infuocato dalle cannonate dell'artiglieria; dall'altra il mare calmo e sereno, e Trieste nostra, bella, ridente, quasi sapesse che noi non bombardiamo le città. Ogni tanto qualche colpo bene aggiustato degli antiaerei ci obbligava a togliere gli sguardi da quella vista magnifica e filavamo diritti verso il nostro obbiettivo. Il bombardamento fu a Dottogliano, paese situato alla stessa distanza di Trieste, ma dentro alla costa.
     Intanto il rumore dei 16 mostri, che erano i nostri Caproni, fecero ben presto alzare gli apparecchi da caccia che ci attendevano al ritorno per sbarrarci la strada. Fu allora che, come ben disse il comunicato Cadorna, s'impegnarono veri e propri combattimenti, nei quali la vittoria ci arrise, grazie anche all'aiuto dei nostri apparecchi da caccia che ci scortavano.
     Appena un apparecchio dei nostri veniva attaccato, due, tre apparecchi correvano in suo aiuto fino a che il nemico non era fugato. Il mio apparecchio fu attaccato al ritorno, fra la costa e il mare, quando già ero in vista di Monfalcone. Il mitragliere della torretta posteriore ebbe appena il tempo di scrivermi un biglietto: «Attenti ai fianchi, due apparecchi ci attaccano». Già si sentiva lo scoppiettio delle mitragliatrici e una prima raffica aveva colpito l'apparecchio. Erano riuscito ad arrivare non visti, all'improvviso, perché più alti di noi. Io abbandonai i comandi al mio compagno di sinistra, e balzai alla mitragliatrice davanti. Il mitragliere di dietro aveva già principato il fuoco ed io attendevo il secondo attacco per sparare da vicino. Una seconda raffica di mitragliatrice venne ed io risposi degnamente. Questa volta l'apparecchio nemico era passato così vicino, che io vidi distintamente il pilota che con la mano ci fece il saluto convenevole, come fra cavalieri antichi. Risposi al saluto del collega nemico; anche loro poveretti servono la loro patria, anche loro eseguiscono gli ordini che ricevano, anche loro sono giovani come noi ed hanno a casa certamente una mamma o qualche persona cara che li attende.
     Intanto la caccia seguitava insistente, senza tregua, e il canto delle nostre mitragliatrici rispondeva a quello delle mitragliatrici avversarie. Momenti indimenticabili mia cara, emozioni che «intender non le può chi non le prova».
     Gli attacchi si succedevano agli attacchi e intanto che noi difendevamo l'apparecchio l'altro pilota cercava con abile manovra di offrire minor bersaglio possibile all'avversario. Finalmente un nostro apparecchio da caccia venne in aiuto e l'avversario se ne andò in caccia di una preda migliore.
     La via del ritorno era sgombra: solo riprincipiarono a piovere gli shrapnel degli antiaerei nemici che avevano momentaneamente cessato il fuoco per non colpire il loro compagno.
     Questo che ti ho raccontato non è stato che uno degli episodi meno importanti di quella nostra incursione. Infiniti ne successero. Un apparecchio montato da 3 miei colleghi fu assalito da 2 apparecchi nemici. L'equipaggio tutto fu ferito e uno dei componenti abbastanza gravemente. Gli altri due che erano i due piloti furono feriti leggermente alla testa, ma il sangue sgorgando dalle ferite aveva finito per imbrattare tutta la faccia, tanto che guardandosi ebbero l'impressione di essere feriti gravemente. Essi furono costretti ad atterrare, giacché le pallottole avevano forato i serbatoi della benzina, ma fortunatamente fecero in tempo a rientrare nelle nostre linee. Appena atterrati dovettero subito scappare, giacché l'artiglieria nemica principio subito a tirare dove aveva atterrato l'apparecchio, che, come ti ho detto, era al principio delle nostre linee. Essi dovettero pure caricarsi il compagno, che era ferito gravemente ad un ginocchio che aveva avuto frantumato da una pallottola esplosiva. Come vedi, mia cara, non solamente in terra si combatte, ma anche in aria si sa versare il sangue per la grandezza di questa bella Italia, checché ne dicano i cattivi.
     Ad ogni modo ti dirò che nel nostro gruppo squadriglie, che sarebbe il IV gruppo squadriglie Caproni, vi sono due ufficiali vivi con la medaglia d'oro: Salomone ed Ercole, e quasi tutti gli altri con la medaglia d'argento e di bronzo. Questo perché ognuno di noi delle squadriglie Caproni, che sono le più pericolose, dopo un certo numero di bombardamenti viene proposto senz'altro per la medaglia al valore. Salomone ed Ercole, oltre alla medaglia d'oro, hanno pure una medaglia d'argento per uno; vi è un capitano pure del nostro gruppo che ha 3 medaglie d'argento ed è già stato proposto per la 4a. Come vedi, mia cara, nessun battaglione di fanteria può vantarsi di avere le medaglie che ha avuto il mio gruppo. Se la fortuna mi assisterò, come lo spero, sono certo che mi farò onore pure io. Questo alto dovere mi viene anche imposto dall'avere avuto l'onore di entrare a far parte di un gruppo così glorioso, sia per le perdite avute, sia per le ricompense al valore ricevute . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .  GIGI.

6 dicembre 1916.


     Mia buona cugina,
     Eccomi a darti mie notizie. La mia salute è ottima, ma manca la solita allegria, causa le ultime disgrazie che ci hanno colpito.
     Giorni fa precipitava un nostro apparecchio con tutto l'equipaggio: morti i due ufficiali e due militari di truppa. Domenica nell'ultimo bombardamento fatto a Dottogliano, come avrai letto nel Bollettino Cadorna, abbiamo perso uno dei nostri apparecchi. Abbiamo atteso invano al Campo il ritorno dei nostri colleghi. Quando è principiato ad imbrunire ogni speranza è svanita e non c'è rimasto che sperare che fossero solamente prigionieri.
Così la tristezza ha invaso la nostra mensa, dove sono due posti vuoti che rimarranno vuoti per sempre. Come è doloroso, mia cara, perdere due compagni d'arme, con i quali abbiamo passato tante ore belle e tante ore di pericolo. Pazienza, sempre avanti fino a che la Patria lo vorrà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
GIGI.
11 maggio 1917


Cara cugina,
     Domani leggerai nel Comunicato di Cadorna che un aeroplano ha bombardato Pola nella notte dal 10 all'11.
     In quell'apparecchio vi ero io con tutto l'equipaggio del «San Giorgio». Abbiamo così effettuato il più grande bombardamento fin ora eseguito dall'aviazione italiana. Esulto di gioia per il grande avvenimento di cui fui uno dei fattori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
GIGI.

15 maggio 1917.


     Carissima cugina,
     Da due giorni non faccio che ricevere telegrammi di congratulazioni da tutte le parti, per il famoso bombardamento di Pola, che resta il record dei bombardamenti fino ad oggi eseguiti, sia di giorno che di notte.
     Ne avrebbero pure parlato i giornali, ma il Comando Supremo non ha voluto.
     Tra i telegrammi più belli giunti è da notare quello di Caproni e quello di Fausto Salvadori.
     Ieri ho fatto pure un altro bel bombardamento. Durante l'avanzata delle fanterie mi sono abbassato fino a 450 metri ed ho potuto mitragliare le trincee e i baraccamenti nemici. Ho potuto avere l'onore di accompagnare la fanteria nella sua avanzata!
     La mia azione è stata molto demoralizzante per il nemico, tanto che abbiamo visto dei reparti e dei carreggi ripiegare verso l'interno. Sono oltremodo felice! La mia salute è ottima e così sperso sarà la vostra . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
GIGI.


Zona di guerra, 27 giugno 1917.


      Mia carissima,
     Poche righe per tranquillizzarvi riguardo a quell'apparecchio che il comunicato dice non essere rientrato.
     L'apparecchio disgraziatamente è proprio della mia squadriglia. Come avrai letto nei giornali, i Caproni hanno in questi giorni meravigliato il mondo!!! Quando ti dicevo che la guerra si vince dall'aria, vedi che non esageravo. E anche questa avanzata, se è andata molto bene, gran parte del merito è all'aviazione e in special modo di quella da bombardamento. Il compito dei nostri Caproni era questo: bombardare le retrovie nemiche, sgomentarle, disturbarle in tutti i loro movimenti. Indi scendere a bassa quota ed affrontare le fanterie con le nostre mitragliatrici, aggredirle nei loro rifugi, metterle in fuga. E così abbiamo fatto, assorbendo insieme il compito dell'artiglieria (bombardare) e della fanteria!
     Il Bollettino di Cadorna ha reso degna lode alla nostra opera. Bisogna sentire cosa dicono ora di noi le fanterie, sono entusiasti, e spero che non ci sarà più nessuno che ci tratti d'imboscati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
GIGI.

2 agosto 1917.


      Mia carissima cugina,
     Sono alla vigilia di grandi avvenimenti: o andrà molto bene o andrà molto male. Il capitano Gabriele D'Annunzio ha deciso di volare con me e sembra intenzionato a far cose da pazzi.
     Io e Pagliano siamo sempre a sua completa disposizione. Lavoriamo da mattina a sera tutti e tre per i nostri progetti, per i quali D'Annunzio avrà carta libera, ed è già cinque giorni che viviamo vita comune.
     Si lavora, si mangia insieme e alla sera due splendide automobili di proprietà del Poeta sono a nostra completa disposizione. Egli ci segue pure nelle visite alle famiglie che conosciamo, dove sempre parla di noi in modo molto lunsighiero. Io che avevo una fiera antipatia per questo uomo ho potuto vedere da vicino che merita anche come soldato la stima di tutti.
     E' un uomo deciso a tutto e spero che presto ne daremmo la prova al mondo intero. Forse anche stasera potrebbe essere quella del cimento! La fortuna non mancherà di assisterci! Prega anche tu mia buona cugina!
     Siamo però in attesa del bel tempo e se questo non ci assiste bisogna rimandare i piani. La modestia di D'Annunzio, che in questo momento è forse l'uomo più potente d'Italia, è una cosa che non avrei mai immaginato!
     Io, che in questi giorni ho vissuto vicino a lui dalla mattina alla sera, ho potuto conoscerlo ed apprezzarlo.
     Nota che ha 58 anni.
     Egli ha domandato di volare con un equipaggio che fosse deciso a tutto e gli hanno proposto il mio.
     Forse non ha sbagliato.
     E' stata questa la prima fortuna, giacché ufficialmente non è stato ancora riconosciuto cosa ho fatto.
     Se la fortuna ci assisterà, succederanno grandi cose, altrimenti pazienza!!! In questo momento il destino sa già la sua strada. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
GIGI.


3 agosto 1917.


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     Per questa volta sono tornato ed ho riportato anche il divino poeta Gabriele D'Annunzio.
     Stanotte ripartiamo, se il tempo lo vorrà. Evviva! . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
GIGI.


7 agosto 1917.


     Mia buona cugina, Anche stanotte siamo tornati sani e salvi da Pola, riportando in patria il divino Poeta, che è oltremodo entusiasta di noi.
     Stasera ripartiamo un'altra volta, se il tempo lo permetterà. - Evviva, evviva, evviva! . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
GIGI.


12 agosto 1917.


      Mia cara cugina,
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     Anzitutto t'incarico di chiarire immediatamente un equivoco e di urlare ai quattro venti che tuo cugino è sempre tenente (il più bel grado dell'Esercito italiano). Fu uno sbaglio della Tribuna, la quale mise capitano Gori, invece che tenente Gori.
     Intanto per questo equivoco seguitano a giungermi telegrammi e biglietti di congratulazioni, e non ti nego che mi trovo in una situazione alquanto imbarazzante. Eppoi ti sembra che non vi avrei informato?
     Hai visto nell'Illustrazione Italiana di domenica le splendide fotografie? Sotto ad una vi è pure riprodotto l'elogio che fece di noi D'Annunzio, elogio che venne fotografato e distribuito ai diversi gruppi dell'aviazione. L'originale sta esposto in un quadro al Comando del raggruppamento squadriglie.
     Delle mie «fortune» troppo lungo sarebbe parlarti! Ti dirò soltanto che pochi, credo, sieno coloro che non hanno sentito nominare l'equipaggio dell' “Asso di Picche”. Lo conoscono pure gli austriaci.
     La popolarità però non è una delle cose più simpatiche e non ti esagero dicendoti che tutte le sere devo fare le 3 e le 4 di notte per sbrigare la mia corrispondenza. Amici, parenti, persone che non ho mai visto né conosciuto mi inviano le loro congratulazioni. Ogni tanto poi mi vedo arrivare in una busta una mia fotografia, con la preghiera di metterci una dedica con la firma. Credi che molte volte cado anch'io dalle nuvole, e penso che, se pure ho lavorato, sono stato anche molto fortunato, giacché chissà quanti altri hanno fatto ciò che ho fatto io e sono rimasti nell'ombra e forse vi rimarranno per sempre.
     D'Annunzio ha influito pure molto per il nostro nome. Fra giorni verranno pure pubblicate le fotografie del mio volo con S. E. l'ammiraglio Thaon de Revel.
     Spero, così mi è stato promesso, che fra non molto mi verrà dato un apparecchio speciale col quale la notte girerò «liberamente» e «indipendentemente» alla caccia dei treni che fanno servizio nelle retrovie. Questo è per me una grande soddisfazione e non mancherò di rendermi utile in tale servizio. Libero di fare di mia iniziativa! Avrei ancora tante cose da dirti, ma il tempo mi manca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
GIGI.


24 agosto 1917.


     Mia buona cugina,
     Grazie della lettera. Dal 18 agosto, primo giorno dell'offensiva, sono più le ore che passo in volo che quelle che sto a terra. E' un continuo partire, ritornare al campo, rifornirsi di bombe, ricaricare le mitragliatrici e tornare sul campo di battaglia a 100 metri dal suolo, a combattere a fianco delle nostre fanterie e a fulminare il nemico.
     Gli aviatori austriaci non si sono ancora visti, per quanto noi li abbiamo sfidati in tutte le maniere ad accettare battaglia. Siamo stati a sfidarli nei loro covi, a pochi metri, perfino su Trieste, ma non abbiamo sentito che il rombo dei loro cannoni. Non uno si è alzato!
     Non bisogna però addormentarsi sugli allori, giacché il nemico non si dà per vinto così facilmente, e certo si prepara ad una rivincita. Ci troverà sempre pronti sui nostri apparecchi e con le nostre mitragliatrici. In questi giorni di offensiva ho visto il campo di battaglia come nessuno lo può aver visto. A 150 metri dal suolo ho scorazzato da una parte e dall'altra a mitragliare le truppe, i cariaggi, le trincee nemiche.
     In tre giorni di offensiva 134 fori riportò il mio apparecchio. Sono invulnerabile! Speriamo bene. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
GIGI.


Zona di guerra, 9 settembre 1917.


      Mia buona cuginetta,
     Ho qualche minuto di tempo disponibile e meglio non potrei dedicarlo: . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
     La mia vita è sempre la stessa e conserva un aspetto abbastanza attraente anche per il futuro.
     Il presente non potrebbe essere migliore.
     Giorni or sono ho effettuato un esperimento di durata di volo senza scalo ed ho stabilito un vero record, giacché aveva a bordo pure 4 passeggeri.
     Sono stato 9 ore e mezzo in volo, percorrendo 1000 km.
     Avevamo divisato di venire a Firenze e quindi ritornare (senza però atterrare) giacché l'itinerario era a nostra scelta, ma poco dopo Venezia incontrammo un vasto temporale che ci obbligò a cambiar rotta. Quanto avrei desiderato quel raid! Pazienza! Facemmo invece: Pordenone – Venezia – Milano – Torino – Milano – Brescia – Verona – Vicenza – Padova – Venezia – Pordenone – Udine – Pordenone.
     Questo esperimento ci fu ordinato dal Comando Supremo, come condizione, per darci l'ordine di andare a Vienna con D'Annunzio. Fatto l'esperimento, entrarono in ballo difficoltà politiche ed anche industriali (giacché ogni Casa costruttrice voleva dare l'apparecchio per andare a Vienna); cosicché prima ci dissero di andare, pur di non gettare bombe, e poi posero addirittura il veto di andare, accampando delle scuse prive di ogni senso. Non ci è restato che la gioia di aver assaporato, fino alla vigilia, le emozioni di un volo così arduo, e una copia del manifesto che avremmo gettato su Vienna, con una dedica di D'Annunzio. Non ho dimesso ancora il pensiero e fido nella prossima luna.
     E' troppo lungo questo sogno! In aviazione però la pazienza non è mai troppa! . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
GIGI.


San Pelagio di Padova, 18 dicembre 1917.


      Mia ottima cugina,
     La tua lettera mi giunge in buon punto per ottenere una subita risposta. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
     Qui nevica abbondantemente, ma neppur la neve ha impedito ai Caproni di lanciarsi nel cielo nebbioso, incontro al nemico!
     La natura stessa fu vinta dal nostro ardore nei venti impetuosi, nelle nebbie, nelle piogge, nelle nevi.
     Molti mi sconsigliano a cambiare; i superiori poi non vogliono sapere di lasciarmi andar via, e infatti sono già 15 giorni che è venuto il mio ordine di trasferimento ed ancora sono sempre qui.
     Io infatti, lasciando i Caproni, ho tutti gli svantaggi, giacché qui godo di una fama che mi conquistai offrendo tante volte e molto generosamente la mia vita. Agli apparecchi da caccia dovrò ritornare a rifare tutta la mia vita. Agli apparecchi da caccia dovrò ritornare a rifare tutta la mia carriera! Ciò non mi fa certamente paura, anzi mi attrae immensamente come tutte le emozioni nuove! Non dispero di poter riuscire un buon cacciatore come fui un buon bombardiere! Ed ora passiamo ad altro.
     Questi ultimi mesi della mia vita formarono uno dei miei periodi più burrascosi, uno di quei periodi che lasciano un'impronta incancellabile nella vita di un giovane.
     Credi, che se l'andare agli apparecchi da caccia non rappresentasse per me la realizzazione di un sogno che accarezzo da tanti mesi, non lascerei mai la mia eroica squadriglia che in quasi due anni di guerra mi dette le più grandi soddisfazioni della mia vita! Non a torto chiamano le squadriglie Caproni «I granatieri dell'aviazione!».
     Cosa fecero i Caproni tutto il mondo lo sa, e lo sanno pure gli austro-tedeschi, che ci videro ogni giorno e con qualsiasi tempo sulle loro teste.
GIGI.


Lettera del Comandante D'Annunzio al padre del tenente Gori.

9 gennaio 1918.



     Ella sa forse quale affetto mi leghi al nostro buono e caro Gigi, ed al compagno Maurizio Pagliano che era con lui nella spedizione.
     Non mi stanco di fare le più minuziose ricerche. Ho potuto stabilire che l'apparecchio visto cadere in fiamme non era il Caproni.
     Perciò la speranza è sempre viva nel mio cuore.
     E' probabile che i miei due giovani fratelli sieno incolumi e prigionieri. Voglio creder questo perché questo è triste e orribile, ma tutta la mia anima si rifiuta ad ammettere anche per un attimo quell'altra cosa.
     Dica a tutta la famiglia che non dispero; continuo nella ricerca ogni giorno.
     Come mai così buona e dritta forza può esser distrutta?
     Appena avrò notizie le darò.

G. D'ANNUNZIO.


     Lettere del tenente Sandro Marelli.

Verona, notte dal 5 al 6 febbraio 1918.


Carissimi, Fra poche ore spiccherò il volo colle ali della vendetta. I morti di Padova, gli stritolati di Treviso e di Mestre attendono, reclamano quel momento. La vendetta dev'esser degna del loro dolore: deve colpire al cuore. Io reggerò l'arma. Basteranno le mie fortune a proteggermi nella perigliosa ricerca della casa degli assassini? Ohimè, cento e cento nere gole di cannoni guardano il cielo nemico, e tutte innaffieranno di morte il mio cammino. Tutte le stelle guarderanno attonite il mio fragile cocchio squassato dagli scoppi rabbiosi, e forse nessuna, nemmeno la mia vorrà aiutarmi. Il mio sacrificio, se è d'uopo che si compia, sarà consumato degnamente. Le mie lacrime saranno tutte per Voi; il mio pianto sarà un inno d'affetto. Saprò chiudere superbamente la mia vita guerriera, gettando con gesto generoso i miei ventidue anni al destino, ripiegando al cospetto della natura la mia immacolata bandiera. Una folla di sentimenti mi fa ressa al cuore; una turba di ricordi mi tormenta la memoria: sono le larve del passato venute per l'ultimo saluto. Papà, Mamma! di quanto sopravanzate la marea di persone che si muove davanti ai miei occhi! Fra tutti non distinguo che i vostri volti adorati, circondati da quelli carissimi dei miei fratelli. Dai vostri occhi esce uno sguardo sereno, quello che fu tante volte l'ambito premio delle mie lievi fatiche, quello che vegliò i miei sonni e che accompagnò i miei passi. Io vi ringrazio per quella dolcezza che esce dal vostro viso a me incontro. Sandro vi saluta, ed accetta ora sereno la dura sorte, quasi avesse deposto l'unico peso rimastogli: il rimorso d'avere talvolta turbato la quiete vostra, di cui avrebbe dovuto essere egli stesso custode geloso. E' l'ora, il mio apparecchio freme già sul campo, i motori in moto e la prua rivolta alla meta. Morrà con me. Che le sue membra disgiunte possano ancora colpire, schiacciare, segnare di maledizione qualcuno dei nemici! Vi bacio, Papà, Mamma, Emilio, Michele e Luigi, e Voi tutti che mi amaste stringo in un solo abbraccio riconoscente. Possiate vedere alfine libera e potente questa Patria per cui si chiudono i miei brevi giorni, e la dolcezza del cui nome mi commuove come i primi che articolai fanciullo: i vostri, o miei cari. Addio, Addio! SANDRO. 23 giugno 1918. Carissimi, . . . . Furono giornate assai dure: ho corso tutto il cielo della battaglia, di giorno, di notte, al sole, fra le nubi dense di pioggia; sempre in mezzo alla rabbiosa tempesta delle cannonate e delle mitragliatrici nemiche. Il mio nuovo apparecchio porta i segni gloriosi di parecchie ferite, io ho un poco sul viso le traccie delle dure, faticose ore vissute. Il nemico è fermo: è una constatazione più riposante di un letto di piume; la Vittoria è nostra, oltre le nostre stesse speranze. Le lotte future, i sacrifici che ancora ci attendono ci troveranno ora più forti; abbiamo oggi la coscienza della nostra forza. E' la riscossa che si delinea: nessuno più ci potrà abbattere. Forse domani, forse stanotte stessa sarò chiamato a spiccare di nuovo il volo. Mai più leggero il mio apparecchio avrà solcato il cielo: la mia anima è ora più lieve d'una piuma. . . . SANDRO. Verona, 9 luglio 1918. Carissimi, . . . . In questi giorni poco lavoro: il riposo, rotto soltanto ieri per un breve volo oltre le linee, prelude forse ad una vigorosa ripresa degna di noi e del passato della nostra bella arma . . . . SANDRO. ENCOMIO DEL COLONNELLO ARMANI. 25 maggio 1918. Uno speciale encomio unitamente alle mie parole di viva felicitazione per lo scampato pericolo, rivolgo all'equipaggio del . . . . Tenente Marelli, 1° pilota Tenente Soliani, 2° pilota Tenente Casinelli, Osservatore Caporale Marcon, Mitragliere che ha saputo con vera maestria, perizia e coraggio atterrare sulle bianche vette dei nostri ghiacciai. Il non aver per poco potuto raggiungere la meta fissata non diminuisce affatto il vostro valore, il vostro eroismo. Vi ho visto lottare insistenti nella tormenta, ho visto il vostro velivolo sbalottato come foglia nello spazio, ho constatato il vostro accanimento contro le raffiche impetuose del vento, vi ho visto compiere prodigi; ciò che umanamente era possibile voi avete fatto, e se la natura più forte vi ha vinti non ha certo domato le vostre energie. La lotta che avete sostenuto stamane, la vostra pertinacia mi dice quanto sia saldo il vostro cuore, quanto forte il vostro animo, e mi dà sicuro affidamento che la Patria può sempre contare su di voi. Firmato: Colonnello ARMANI. Elenco e motivazioni dei decorati di medaglia d'oro. (Ordine cronologico). (Boll. Uff., 1916, Dispensa n. 11). SALOMONE ORESTE. - Ferito al capo in una lotta aerea benché il sangue gli offuscasse la vista ed il corpo inerte di uno dei suoi compagni uccisi gli rendesse difficile il governo del velivolo rifiutava sdegnosamente di arrendersi alle intimazioni degli aviatori nemici e proseguiva imperterrito la rotta, mentre le pallottole di mitragliatrice dell'aeroplano avversario gli grandinavano attorno. Col motore funzionante irregolarmente manovrando a bassa quota in mezzo alle raffiche di artiglieria antiaerea nemica riusciva a discendere in uno dei nostri campi, ove con sentimento elevatissimo di cameratismo e con profonda coscienza del dovere si occupava dei compagni e della bomba inesplosa ancora sospesa all'apparecchio. - Avolussa, 18 febbraio 1916. (Boll. Uff., 1916, Dispensa n. 101). ERCOLE ERCOLE da Torre Annunziata (Napoli), capitano di fanteria, Battaglione squadriglia aviatori. Pilota di un apparecchio attaccato a circa 500 metri di altezza, da un velivolo da caccia nemico, visti nel combattimento aereo colpiti a morte i suoi compagni e forati i serbatoi della benzina, con sangue freddo eccezionale mentre l'apparecchio precipitava, lasciata la mitragliatrice che in quel momento manovrava, benché ferito al braccio sinistro riusciva ad afferrare il volante e a raddrizzare il velivolo a meno di 300 metri da terra, e planando atterrava presso Zarnec a circa 50 km. Dalle nostre linee. Dato subito fuoco all'apparecchio e distruttolo, benché esausto dalla perdita di sangue riusciva a sfuggire alla cattura. Assalito da un indigeno si liberava uccidendolo e dopo sette giorni di tensione di spirito, di grandi sofferenze e di privazioni, dando prova di energia e forza d'animo straordinarie, riusciva a traversare le linee nemiche e a presentarsi ai nostri avamposti sulla Vojussa. - Cielo di Zarnec, 13 ottobre 1916. (Boll. Uff., 1917, Dispensa n. 75). BUTTINI CASIMIRO. - Pilota d'aeroplano, fatto segno durante una azione di bombardamento intenso a bene aggiustato tiro di artiglieria nemica, calmo e sprezzante di ogni pericolo si indugiava sulle posizioni da battere per eseguire con precisione il tiro delle sue bombe. Investito da raffiche sempre più precise, visto colpito a morte il 2° pilota cui una granata aveva asportato la testa e ferito egli stesso ad un braccio, col viso coperto dal sangue e dai brandelli di carne del compagno ucciso nonostante che l'apparecchio colpito in più parti non obbedisse più ai comandi, conservava ed infondeva col suo contegno energico e risoluto eroica calma in tutto l'equipaggio e dopo sforzi inauditi riusciva a rimettere in sesto l'apparecchio che precipitava. Passando quindi a bassa quota su le linee nemiche tra l'infuriare della fucileria, dell'artiglieria e delle mitragliatrici riconduceva sul suolo della Patria i compagni illesi ed il suo prezioso carico di morte. - Cielo di Ternova, 9 settembre 1917. (Boll. Uff., 1921, Dispensa n. 36). LISA GINO. - XIV gruppo aeroplani. Volontario di guerra, pilota da bombardamento arditissimo e di eccezionale valore, sempre animato da alto sentimento e da fede immutabile nella sorte della nostra Patria e delle nostre armi fu per due anni di guerra esempio mirabile di costante valore. Più volte in aspri combattimenti ebbe ragione dell'avversario quantunque con l'apparecchio avariato dai colpi nemici, e due volte ritornò con la carlinga macchiata del sangue del proprio equipaggio. Il 15 novembre 1917 dopo avere condotta a termine un'azione di bombardamento per la quale si era offerto volontario, mentre riprendeva la via del ritorno, visto un altro apparecchio nazionale assalito da numerosi avversari generosamente si slanciava in suo soccorso. Attaccato a sua volta da quattro caccia dopo avere sostenuto lungo ed emozionante combattimento venuto a mancare dell'azione del mitragliere sbalzato fuori dell'apparecchio per le arditissime manovre, cedeva all'impari lotta e precipitando col resto dell'equipaggio su le balze rocciose del Trentino consacrava alla gloria la sua giovane esistenza interamente votata alla Patria. - Cielo di Caldonazzo e della Valle d'Astico, 15 novembre 1917. (R. D. 5 maggio 1918, Dispensa n. 32). PICCI PIER RUGGERO. - Sempre pronto ad ogni audacia, abbatteva dal 10 luglio al 30 novembre 1917 undici apparecchi nemici, portando così il numero totale degli apparecchi da lui abbattuti a diciassette. Personificazione invidiabile delle più elette qualità di pilota italiano e condottiero ideale dei cacciatori del cielo, cuore ardente di entusiasmo, soldato provato alle più dure vicende dell'aria, da additarsi come esempio a tutti gli aviatori e come vanto dell'esercito nostro. - Cielo dell'Isonzo e del Carso, Aidussina, 2 ottobre 1917; Presandole, 3 ottobre; Castelmonte, 25 ottobre; Bosco di Bainsizza, 25 ottobre 1917. (Boll. Uff., 1919, Dispensa n. 12). D'ANNUNZIO GABRIELE. - In grandiosa impresa aerea da lui stesso propugnata, ed in aspro combattimento terrestre sul Timavo superato, fu per il suo ardimento di meraviglia agli stessi valorosi. - Cielo Carsico e Timavo, 28 maggio 1917. Volontario e mutilato di guerra durante tre anni di aspra lotta con fede animatrice, con instancabile opera, partecipando ad audacissime imprese in terra, in mare, in cielo, l'alto intelletto e la tenace volontà dei propositi, in armonia di pensiero e d'azione, interamente dedicò ai sacri ideali della Patria nella pura dignità del dovere e del sacrificio. (Boll. Uff., 1919, Dispensa n. 12). ZAPPELLONI FEDERICO. - Capitano pilota 13a squadriglia aeroplani in commutazione della medaglia d'argento concessagli con decreto luogotenenziale 12 giugno 1919. Superando le già ben note e fulgide qualità di pilota da bombardamento, per le quali durante un anno ed in ripetute spedizioni e combattimenti aveva meritato ricompense al valore con felice ed ardito intuito della guerra nel cielo, in una notte brumosa ed illume sfidò volontariamente l'ignoto di una pericolosa navigazione e la vigilanza delle difese antiaeree avversarie eseguendo importante ed efficace azione di bombardamento su territorio nemico; azione mai prima di allora compiuta in nessun esercito e che fu vanto dell'aviazione italiana. - Cielo della fronte italiana, nell'anno 1917. Elenco e motivazioni dei decorati con l'Ordine Militare di Savoia. PICCIO PIER RUGGERO. - Comandante della massa autonoma da caccia con tattica nuova ed artida condusse le forti e complesse unità affidategli a rapida vittoria, sopraffacendo in soli tre giorni di lotte aeree l'aviazione nemica. - Cielo della pianura veneta e degli altipiani, 29-31 ottobre 1918. ANDRIANI cav. ORONZO, maggiore di fanteria. - Comandante di un gruppo di aeroplani sulla fronte Giulia per oltre una anno, svolse la difficile azione di comando con illuminato criterio, con attività instancabile, con interessamento e grande abilità, così da trarre dalle dipendenti squadriglie un intenso ed utile lavoro. Esempio di salda virtù militare, di entusiasmo costante e di fede sicura, precorse tutti i suoi dipendenti con l'esempio della prodezza e dell'alto spirito di sacrificio. - Fronte Giulia, giugno 1916 – luglio 1917. LA POLLA cav. ERNESTO, tenente colonnello di fanteria. - Quale comandante d'aeronautica a disposizione del Comando Supremo, si rivelò fervido ed intelligente cooperatore delle autorità superiori nel razionale impiego a massa degli apparecchi da bombardamento, portando in tale compito largo ed apprezzato contributo di esperienza, di fede, di opera. Partecipò a numerosi bombardamenti diurni e notturni, mostrandosi ognora comandante avveduto ed energico, esempio luminoso di virtù militari e di saldezza d'animo per i suoi dipendenti. - Cielo del Piave e degli Altipiani, 15-30 aprile 1918. ARMANI cav. ARMANDO, comandante di stormo della Regia aeronautica. - Come comandante di gruppo di aeroplani da bombardamento, sapiente guida ed incitatore dei suoi dipendenti, costante esempio di valore, di ferrea volontà e di abnegazione, seppe tener desto nei dipendenti spirito altamente aggressivo anche nei momenti critici, prendendo parte personalmente a molte fra le più difficili azioni offensive. Come comandante di raggruppamento da bombardamento con rapida decisione preparava un bombardamento aereo di notte senza luna e con serena audacia lo portava personalmente a compimento superando d'un sol tratto le gravi e numerose difficoltà derivanti dalla zona montuosa difficile che si frapponeva al raggiungimento dell'obbiettivo e dalle condizioni atmosferiche sfavorevoli. - Cielo dell'Isonzo, del Brenta, del Piave e dell'Altipiano di Asiago, ottobre 1917 – gennaio 1918. Cielo di Levico, notte 11-12 gennaio 1918. Elenco dei piloti, osservatori e mitraglieri che hanno appartenuto al raggruppamento squadriglie aeroplani da bombardamento durante la guerra 1915-1918. Questo elenco di piloti, osservatori, mitraglieri che appartennero all'Aviazione da bombardamento in guerra, non è completo, perché molti nomi, per le ragioni più sopra dette, non è stato possibile rintracciarli. Se dunque qualche pilota, osservatore, mitragliere sarà stato dimenticato, non se ne voglia fare una colpa a chi – con ogni sforzo – cercò di rendere il volume il più completo possibile. Non figurano così neppure i nomi dei piloti americani i quali, con meravigliosa abnegazione, cooperarono alla vittoria degli alleati. Giova pertanto ricordare due luogotenenti: Colemann de Witt e Bahl, decorati della medaglia d'oro al valor militare e caduti eroicamente sul campo dell'onore. Nei loro nomi comprendiamo oggi tutti quelli dei loro compagni, per i quali conserveremo sempre quel legame di vera amicizia nata dalla vita di guerra insieme trascorsa. A. A. Piloti (ufficiali). Ten. colonn. Armani Armando Tenente Bonalumi Tenente Artuso Demetrio Tenente Borri Manlio Tenente Agostini Mario Tenente Bottazzi Ten. Colonn. Andriani Oronzo Tenente Bacula Adriano Sottotenente Arici Maso Tenente Broili Francesco Capitano Aliquo Mazzei Filippo Sottotenente Borello Alessandro Sottotenente Aquilanti Aspirante Boero Tenente Abba Capitano Barucchi Giacomo Tenente Acqua Francesco Tenente Beggi Vincenzo Tenente Albenga Tenente Besozzi Tenente Arosio Sottotenente Bossi Sottotenente Buratti Lino Maggiore Bonazzi Ferdinando Tenente Boetani Raffaele Capitano Bailo Luigi Capitano Bossi Ezio Ten. colonn. Barbieri Alfredo Capitano Bergonzi Pier Carlo Tenente Buttini Casimiro Tenente Borgert Gilbert Capitano Bassani Tenente Bonamini Carlo Tenente Bevilacqua Igino Sottotenente Bianchi Vittorio Ten. colonn. Carta Egidio Sottotenente Baccili Cesare Capitano Crescenzi Vincenzo Sottotenente Bertolini Enrico Maggiore Carnevale Luigi Sottotenente Beghi Aspirante Castigliano Sottotenente Comazzi Ten. colonn. La Polla Ernesto Tenente Coppola Raffaele Maggiore Liotta Aurelio Tenente Calogero Tenente Lisa Gino Tenente Caroli Capitano Lanzafame Francesco Tenente Clerici Giampietro Sottotenente Lodesani Emilio Tenente Caselli Tenente Leveroni Renzo Capitano Cellerino Capitano Laureati Capitano Coniglio Capitano Croce Maggiore Marenco Marenghi Alberto Tenente Cavallarin Omero Ten. colonn. Mondelli Domenico Tenente Cristiani Tenente Manzoni Ottorino Sottotenente Contini Amerigo Capitano Matricardi Attilio Tenente Clerici Umberto Tenente Massa Tenente Clement Sottotenente Mazzetti Enrico Tenente Comi Tenente Molinari Carlo Capitano Calleri di Sala Federico Tenente Mongardini Umberto Capitano Chiavari Tenente Mamoli Tenente Comolli Francesco Tenente Montegani Ludovico Tenente Marelli Alessandro Capitano De Rada Leopoldo Tenente Muratorio Mario Capitano De Riso Renato Tenente Molteni Federico Capitano De Renzi Leone Sottotenente Mazzei Tenente De Angelis Tenente Magnocavallo Capitano Della Porta Augusto Tenente Marchesi Tenente Della Colla Ettore Tenente Mortarotti Oreste Tenente De Medeo Tenente Moore Raoul Pietro Maggiore De Muro Tenente Martini Mario Capitano Dima Capitano Darby Cesare Sottotenente Notarbartolo di Villarosa Tenente De Dorenzo Capitano Nardi Luigi Aspirante De Luca Tenente Negrini Luigi Tenente Digerini Nuti Amedeo Maggiore Degan Jacopo Maggiore Opizzi Pietro Tenente Orselli Luigi Tenente Errera Gilberto Tenente Olivetti Ivo Maggiore Ercole Ercole Tenente Orlando Salvatore Maggiore Falchi Luigi Com. Gen. R. Aeron. Piccio Pier Ruggero Capitano Falcone Giuseppe Capitano Pagliano Maurizio Sottotenente Ferrari Luigi Tenente Pugliese Vito Tenente Fabbri Tenente Parravicini Raffaele Tenente Frova Tenente Persagani Italo Tenente Fontana Gustavo Tenente Pirola Giord. Bruno Tenente Franzini Luigi Tenente Panciero Zoppola Mario Tenente Pittaluga Giov. Battista Tenente Gori Luigi Tenente Petigax Maggiore Govi Luigi Aspirante Pica Capitano Gallia Capitano Parvopassu Tenente Garrone Tenente Perticucci Capitano Gelli Luigi Capitano Graziani Emo Maggiore Quaglia Tenente Gusman Mario Tenente Ridolfi Luigi Capitano Iussa Maggiore Reggio Luigi Maggiore Rossi Umberto Tenente Sarri Gino Capitano Ruggerone Tenente Sailer Gian Carlo Capitano Rossi Francesco Tenente Ravioli Luigi Capitano Taramelli Guido Tenente Rasi Nino Capitano Tarantini Raffaele Tenente Romelli Tenente Tarli Mario Sottotenente Ragnelli Tito Tenente Toselli Tenente Righi Stefano Tenente Trevisan Capitano Rizzoli Giuseppe Capitano Turilli Tenente Rigolone Virgilio Tenente Thaon di Revel Maggiore Russi Sottotenente Trivellato Capitano Trezzi Maggiore Salomone Oreste Tenente Trolli Tenente Sala Virgilio Capitano Tibaldi Tenente Signorini Luigi Capitano Sabbatini Diego Capitano Ungania Dario Tenente Santi Gino Tenente Scavini Edoardo Maggiore Vece Francesco Capitano Sibilla Sottotenente Viano Tenente Soliani Ariboldo Capitano Visconti Tullio Tenente Saccani Capitano Vladimiro Filippo Aspirante Sargiani Tenente Vittorini Tenente Stratta Tenente Venturello Tenente Serafini Tenente Sambo Sottotenente Zanini Valentino Tenente Silvagni Raoul Capitano Zapelloni Federico Maggiore Suglia Tenente Zoli Capitano Sbrana Luigi Tenente Zoppola Piloti (truppa). Sergente Albano Caporale Boggino Sergente Asteggiano Maresciallo Biglia Soldato Avenati Sergente Brambilla Sergente Abate Serg. magg. Buffoli Sergente Angeletti Sergente Brena Sergente Battistella Sergente Benini Sergente Borello Caporale Bresil Sergente Bolzano Sergente Borra Ettore Sergente Bonzagni Sergente Brambilla Giuseppe Sergente Barrella Sergente Casilli Sergente Borghi Serg. magg. Colli Sergente Brusadin Caporale Casellato Sergente Burri Caporale Capparello Caporale Baldini Sergente Calliero Sergente Barducci Maresciallo Curso Sergente Bernardi Sergente Cacciatori Sergente Bosio Cap. magg. Cattai Sergente Barbieri Sergente Claris Sergente Breno Silvio Soldato Cominotti Sergente Conti Sergente Mastroelli Maresciallo Ciarrocchi Sergente Nozzoli Caporale Dall'Aglio Sergente D'Odorico Caporale Occa Sergente Origgi Battista Maresciallo Farina Caporale Federici Maresciallo Piccinini Empedocle Sergente Ferri Sergente Ponti Giuseppe Caporale Ferrero Caporale Porta Alfredo Sergente Fiscali Alfredo Serg. magg. Parietti Romeo Serg. magg. Faciocchi Mario Sergente Pacassoni Emilio Sergente Fumagalli Sergente Panizzon Sergente Foà Caporale Puccioni Sergente Fossati Alessandro Soldato Facta Giovanni Sergente Raimondo Sergente Resnati Mario Sergente Galli Serg. magg. Ramognino Vittorio Caporale Guarino Sergente Redivo Soldato Geri Sergente Gallareto Caporale Signorelli Gaudenzio Sergente Gado Caporale Sobrero Sergente Galvani Astorigo Sergente Savini Sergente Giamberini Sergente Stucchi Sergente Lazzarini Sergente Tanzarella Onofrio Soldato Longoni Attilio Caporale Losi Corazziere Urbinati Sergente Lucchi Italo Caporale Modena Sergente Vischioni Arturo Sergente Maggi Sergente Vassura Giannetto Sergente Mazzola Serg. magg. Viale Sergente Manicardi Armando Maresciallo Munier Sergente Zingales Ufficiali osservatori. Tenente Aguglia Mario Tenente Corica Salvatore Tenente Ajalas Tenente Cutello Vincenzo Tenente Cutry Franco Tenente Carini Anacleto Tenente Bonocore Tenente Cima Guido Tenente Bruno Giorgio Tenente Caneva Federico Capitano Barbarisi Tenente Cartia Tenente Benigni Davide Tenente Cassinelli Tenente Bianchi Tenente Conti Capitano Baviera Baviero Tenente Cucci Capitano Benetti Tenente Candela Capitano Barutta Tenente Criniti Capitano Bentivegna Pietro Tenente Cibella Tenente Bonafede Tenente Comellini Tenente Bassi Tenente Conti Tenente Degani Ugo Tenente Petrini Tenente D'Ayala Godoy Mariano Sottotenente Porta Giovanni Tenente De Carlo Tenente Poma Carlo Tenente De Leva Sottotenente Pratesi (irredento, il suo vero cognome è Dilla Martina) Tenente Da Passano Fausto Tenente De Liguoro Enzo Tenente Pizzi Capitano D'Annunzio Gabriele Tenente Pinardi Tenente De Vizzi Sottotenente Pirelli Tenente Porta Giulio Tenente Frassi Tenente Poccelli Waiss Tenente Fugalli Capitano Petracalvina Liborio Tenente Fassano Capitano Palotta Luigi Tenente Fiaschi Tenente Ferrero Tenente Ricci Capitano Fogola Tenente Guzzanti Luigi Capitano Schiller Emilio Capitano Giuliani Tenente Sturlese Adamo Tenente Graziani Sottotenente Sprovieri Tenente Sardi Capitano Ive Tenente Scalabrino Tenente Scalcerle Alberto Tenente Liberi Pasquale Sottotenente Sanna Capitano Lorusso Domenico Tenente Serani Tenente Lucci Chiarini Gio. Batta Tenente Lamberti Tenente Trugoli Capitano Leoncini Tenente Toffoletto Guido Tenente Lanfranco Tenente Venturini Tenente Mariani Tenente Venditti Tenente Martino Sottotenente Vezzetti Nicola Capitano Mento Pasquale Tenente Vallarino Raffaele Tenente Massignani Tenente Morigi Giorgio Capitano Marchisio Tenente Zoppi Attilio Mitraglieri. Soldato Audri Arrigo Soldato Buretti Sergente Arlunno Soldato Belloni Soldato Arduino Caporale Broia Soldato Brugo Soldato Bianchetti Massimo Caporale Briada Soldato Bonora Soldato Barbarisotti Soldato Broggini Angelo Soldato Bertoletti Soldato Battistellla Soldato Bellegrandi Soldato Berrella Sergente Bailo Soldato Bertone Soldato Borghi Soldato Carletti Caporale Betteghellaa Romeo Soldato Cipriani Soldato Bisacco Federico Soldato Caccialanza Soldato Bleno Ercole Soldato Cocce Soldato Cuicio Soldato Nascimbeni Soldato Cossu Caporale Negri Sergente Cantarutti Tarcisio Caporale Negroni Soldato Campanisi Soldato Castellardi Caporale Pastore Caporale Canziani Soldato Pace Soldato Catozzi Soldato Paoletti Soldato Comelli Alberto Soldato Pellizzari Soldato Candiani Soldato Pisanello Soldato Casugoli Soldato Pezzoni Serg. magg. Coletti Soldato Porta Soldato Callio Soldato Palterio Soldato Castoldi Sergente Porrino Soldato Pucci Turico Soldato Ducci Soldato Dell'Acqua Caporale Re Soldato Darduin Soldato Ragonesi Soldato De Lama Soldato Resca Caporale Dall'Ago Soldato Ruzzi Serg. magg. De Rossi Soldato Repetti Primo Soldato De Ciantis Soldato Recca Soldato Raccagni Soldato Farneti Alberto Caporale Rossini Fortunato Soldato Fantucci Soldato Rizzolo Soldato Ferraris Soldato Ferippi Soldato Sacco Soldato Fadro Amedeo Soldato Speafico Soldato Firmani Sergente Salvadegno Soldato Frigerio Soldato Silenzi Soldato Fantoni Soldato Salvadori Gino Caporale Sbaraglia Soldato Griffini Soldato Schirio Soldato Galbiati Caporale Sciaccalungo Soldato Gandolfo Caporale Saletta Soldato Ghiretti Soldato Scarsatelli Mario Soldato Gradara Caporale Gay Soldato Tagliabue Carlo Soldato Talentini Giuseppe Soldato Ioren Soldato Tognetti Soldato Tanzi Soldato Lupani Caporale Tamagnone Soldato Lattanzio Beniamino Soldato Leggero Soldato Vernizzi Soldato Viscoli Eugenio Soldato Montaldo Agostino Soldato Vanzulli Enrico Soldato Malzanini Angelo Soldato Violi Severino Caporale Manieri Biagio Caporale Vittone Soldato Mozzo Leonello Caporale Marion Soldato Zamboni Soldato Milani Soldato Zamboni Dandolo Caporale Micheletto Soldato Zamengo Soldato Moretto Soldato Zanetti Soldato Mecci Caporale Zucolo Soldato Marcon Soldato Zanzari RIASSUNTO Piloti Ufficiali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 186 Truppa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91 Osservatori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85 Mitraglieri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 121 Totale . . . . . . . 483


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