Quando mi raccontavano le favole
o leggevo nei libri i raccontini
dei tempi dei bisnonni e delle avole,
quando c’erano fate e principini,
immaginavo i principi col viso
altero, nei palazzi tutti d’oro,
non degnare neppure d’un sorriso
i cortigiani curvi innanzi a loro.
Ma un Principe io conosco, ora, che viene
spesso in trincea dove più rischio c’è,
e mi domanda se mi sento bene
come tu, babbo, il chiederesti a me;
e non ha il manto d’oro costellato
e non ha il viso pieno d’alterigia,
ma il viso aperto e buono del soldato
e indossa anch’Egli l’uniforme grigia;
e mi posa la mano sulla spalla
e mi dice: “Coraggio e fede. Cuore
che non vacilla, mira che non falla,
e passeranno i giorni del dolore.
Intanto, se qualcosa ora ti manca,
dillo; tu devi avere il rancio buono,
il tuo mezzo toscano, la tua bianca
lana che ti riscaldi, e qualche dono
che ti rallegri nel pensier di quelli
che son lontani e pensan tanto a te!”
Già, parla come fossimo fratelli
Ed io son poverino, e il Duca Egli è!
E, se qualcuno si fa onore, vuole
saperlo, e viene Lui, gli appunta al petto
la medaglia, con certe alte parole
che ci fanno sbiancar sotto l’elmetto.
E si sente ch’è Lui che ci comanda
sì, ma in quella Sua limpida fermezza
c’è tanto amor, che ad ogni Sua domanda
si pensa “babbo” e si risponde: “Altezza !”
Quando sarò un secchione come il nonno
racconterò ai nipoti anch’io le favole,
accanto al fuoco, pria che prendan sonno;
non le fiabe dei tempi delle avole,
ma le storie che noi viviamo adesso
- oh delle fiabe più miracolose ! –
le sacre tombe all’ombra del cipresso,
gli assalti rudi e le trincee fangose:
“C’era una volta un Duca che una brava
Armata contro l’orco avea composta,
e quell’Armata “Terza” si chiamava
ed il suo Duca si chiamava “Aosta”.
( Da “La Tradotta”, giornale settimanale della Terza Armata. MCMXIII)
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