1 Ottobre. — Era un letto quello che mi ha accolto stanotte? Non saprei. Era però qualche cosa di simile, una rete metallica senza materassi e senza cuscini in una stanzetta al piano terreno dell’hotel Baglioni che è sempre più caserma... volevo dire... stalla, che alloggio, ma ho dormito ugualmente senza spogliarmi e senza levarmi le scarpe e mi sono svegliato quando appena albeggiava per correre alla stazione. Negli uffici del comando c’era un tenente mezzo addormentato e cascante per la fatica della notte: Che nottata! mi ha detto. Non ha sentito? Due bombe proprio lì, dietro il muro della tettoia, ma guardi che sbrano ha fatto... E mi mostrava una fabbrichetta bassa vicino al passaggio a livello del viale di Mestre. C’erano soltanto due pezzi di muro affumicati: il resto in bricciole, in polvere. Vittime? domando. Per fortuna nessuna, ma pensi che proprio allora c’era in stazione un treno di borghesi lunghissimo e c’era dentro un pezzo grosso. Vista la mala parata, si è fatto partire prima dell’orario e si è mandato lontano in aperta campagna. Non è aria stare qui sotto quando grandina.
Ho domandato se c’erano ordini per noi; infatti c’erano e dicevano cosi: “il treno speciale del 117° Gruppo proseguirà giorno 1° ottobre ore 10 per Montebelluna”. Oh, allora, perché siamo venuti fino a Treviso? penso tra me.
Questo è indizio certo di un gran movimento intorno al Montello.
Alle 9 ho fatto fare l’appello e nessuno mancava. Alle 10 siamo partiti da Treviso col solito passo di tartaruga, fermandosi lungamente a tutte le stazioni e, nientedimeno, siamo arrivati a Montebelluna verso le 16!! Ci si sarebbe arrivati a piedi!.
Che tramestio in questa stazione che ora è capo-linea! I binari ingombri... le banchine ingombre... i viali ingombri. La grande piazza del paese, arruffata come un mare in tempesta. Uomini, materiali d’ogni genere, camions, cannoni, cavalli, muli, carrette, automobili, side-cars... con un frastuono del diavolo s’intrecciano in ogni senso. Un dracken s’innalza al di là della stazione.
Il lavorio è uguale a quello che ho lasciato a Schio, ma in senso inverso. Là il movimento affluiva dalle montagne e si assorbiva sui treni in partenza uno dietro l’altro; quì sono i treni che portano la vita, si sgravano in un momento del loro carico sulle banchine della stazione da dove si irradia veloce verso il Montello e verso il Piave.
Appena fermo il treno, sono saltato giù e ho incontrato un ufficiale mandatomi incontro dal Colonnello Bono, a portarmi il suo saluto e a darmi gli ordini.
“A terra gli uomini” grido “e si cominci lo scarico con ordine e con sveltezza”. Ogni Batteria si mette al lavoro di sgombro dei suoi carri e simultaneamente, scendono i quadrupedi che si legano in circolo. Si portano sulla banchina i finimenti, le carrette delle riserve già cariche, il bagaglio, tutta roba che non deve andare in linea, ma che tornerà ai suoi accantonamenti di Altivole e di Caselle. Gli uomini per la riserva sono già stati scelti fra i più invalidi e avranno tempo di riposarsi all’accantonamento, ma ora hanno da fare una discreta marcia a piedi.
Con una buona manovra di forza, si calano anche i pezzi. Con tutta la loro attrezzatura e intanto si avvicinano i camions destinati al trasporto della nostra roba fino alle posizioni.
Alle 19 almeno, due batterie devono trovarsi a Maser, ma il lavoro è lungo e comincia a farsi notte. Avanti... presto, ragazzi, domani ci riposeremo. Che bugia dico!... e nessuno la crede.
Qualche bel faccione abbronzato si volta verso di me sorridendo d’incredulità.
Quando le riserve sono partite ci sentiamo più liberi e via via che un camion è carico, si allontana e si incolonna sul viale alberato che imbocca sulla piazza. Non si pensa né a riposarci né a mangiare. Annotta e non possiamo ritardare il nostro viaggio perché la strada è difficile pel buio e pel fango enorme. Domattina quando si leva il sole, ogni batteria deve essere scaricata, non solo, ma deve avere portati i pezzi nelle postazioni vecchie, mascherandoli abilmente e i camions devono essere tornati al loro parco. Il nemico non deve accorgersi del nostro movimento; quindi non luci e non rumori.
Alle 20, la prima Batteria è pronta a partire. E' la 351a che riprende il suo posto a Cavallea. Il comandante, tenente Vecchi, non ha bisogno di guida. Coi suoi cinque camions, si avvia e sparisce nella notte.
Partono poi le due Batterie di Crocetta, la 349a e la 271a che prendono la via di Biadene e Crocetta senza passare da Caerano; strada più breve, ma peggiore. Raccomando silenzio e prudenza perché dagli Isolotti di Ciano, le pattuglie austriache sempre in orecchi, possono avvertire il rumore e segnalare la novità alle loro Batterie.
Ultima, parte la Batteria del capitano Arlotta che mi dà più pensiero perché ha da percorrere un tratto di strada tra Maser e Levada, che è stretta e non massicciata. Non vi si scambia e vi si affonda.
Anche il mio attendente Zuliani è partito colla mia cavalla diretto ad Altivole e io mi preparo a prendere posto nel camion di testa della colonna del capitano Arlotta.
2. — Nottata insonne, movimentatissima. Poco più là di Caerano, abbiamo trovato un camion della 351a rimasto in panna per un grave guasto al motore. Il meccanico ci lavora attorno a tastoni, gli altri soldati vorrebbero aiutarlo, ma non fanno altro che dar noia.
Abbiamo proseguito fino a Maser, dove si deve scaricare il camion del Comando di Gruppo, cioè l’ufficio, il magazzino e il bagaglio. Anche Arlotta deve fermarsi e io con tutti gli ufficiali ne approfittiamo per andare alla palazzina annessa alla magnifica villa Giacomelli dove è la mensa del Comando di Artiglieria della 66a Divisione. Troviamo il Colonnello Bono a tavola, circondato dal suo stato maggiore e riceviamo una accoglienza festosa e rumorosa. Ci vorrebbero a cena con loro: ci preparano piatti e posate, ma non possiamo fermarci. I bicchieri si colmano e si urtano uno dietro l’altro in nostro onore, salutati come vecchi amici reduci da un lungo viaggio. Una cordialità simpatica e sincera che ci rinfranca e ci rallegra.
Beviamo con gusto... Salutiamo e ritorniamo ai camions. Assisto alla loro partenza e monto sull’ultimo. A Cornuda, arriva qua e là qualche granata, ne sento gli scoppi. I motori delle macchine funzionano in sordina, procediamo in silenzio nella via tenendo la destra, scambiamo qualche avviso alla voce, quando c’è qualche incontro, e allo sbarramento di Monte-Palazzo fermiamo un istante per farci riconoscere alla sentinella “Carlo” “Cremona” risponde la sentinella. Avanti... Entriamo nel rettifilo che gli austriaci vedono d’infilata. I camions procedono a distanza di 200 metri uno dall’altro e percorso un chilometro, voltano a destra sulla stradella di Levada che per le grandi pioggie dei giorni passati è ridotta malissimo.
A un certo punto il meccanico ferma di botto. Una buca profonda cavata nella strada. Entriamo dentro con cautela e l’ostacolo è passato.
Avanti ancora un poco e di nuovo uno strattone e fermi... Davanti a noi una grande massa nera chiude completamente il transito. E' un altro dei nostri camions fermo anch’esso. Scendo... sono tre i camions fermi, il quarto non è soltanto fermo ma è rovesciato addosso alla siepe colle ruote di destra affondate nella fossetta e quelle di sinistra per aria.
Dio ce la mandi buona!... C’è da lavorare per tutta la notte. Le bombarde, gli affusti, i materiali, si sono ammonticchiati in modo tale, così intricato, dietro e fuori del camion, che non so come potranno liberarli e dove li metteranno, questi poveri bombardieri, se non c’è posto da nessuna parte. Tra il camion e la siepe non passerebbe un gatto. Subito oltre la siepe c’è un lungo reticolato e una trincea. Dall’altra parte della strada un fosso e un campo di fango e di acqua.
Mi metto le mani nei capelli, ma non c’è da perdere tempo. Un ufficiale resta sul luogo della disgrazia per dirigere i lavori, noi facciamo cautamente marcia indietro e torniamo al rettifilo. Bisogna proseguire fino a Pieve di Onigo e poi prendere la strada che costeggia il Piave, sull’argine in rialzo e tornare indietro a Levada per la strada di Covolo.
A distanza anche maggiore uno dall’altro, i camions si avviano. La Pieve di Onigo è tutta aperta da cima a fondo e le macerie ingombrano la via. Sobbalzando, andiamo oltre e sentiamo il rumore delle acque del Piave ingrossate dalla pioggia. Scintilla sull’altra riva qualche colpo in partenza, rispondono alcune nostre batterie da campagna, sibilano varii proiettili in aria e dal monte Cesen un fascio di luce proiettata fruga le nostre linee e le nostre retrovie. Purché non ci vedano...penso. Siamo completamente allo scoperto, vicini e alla loro mercé... La strada è buona per il suolo ma piena di buche, perché sempre tenuta sotto il tiro. Temo altri incidenti e una panna qui, sarebbe la nostra catastrofe.
Il fascio di luce si sposta verso di noi tanto che vediamo bene la strada che dobbiamo percorrere. Avanti ancora un poco e poi svoltiamo. Siamo vicini a coprirci con un poco di siepe... Ahi ! ... La luce c’investe in pieno! I meccanici per un moto istintivo premono col piede sull’acceleratore e si fila in velocità, scuotendo e sobbalzando nelle buche e sui sassi. Il ferro che abbiamo dentro i camions suona, gli uomini sono sbatacchiati a destra e a sinistra, ma si va. Un attimo e siamo daccapo al buio. Il riflettore si è spostato e il passaggio brusco ci rende ciechi, le tenebre sembrano più fitte di prima e non vediamo più la strada. Per necessità, alt...
Quando le pupille, abbagliate dalla luce viva, si sono un po' dilatate, partiamo di nuovo e voltiamo verso Levada. Non ci hanno visti, o ci hanno perduti?... Il fascio di luce si agita di nuovo, cerca, fruga tutte le strade, illumina le rovine di Onigo, non corre su Covolo, si ritrae, allunga il collo su Cornuda, ma non ci trova più.
Intanto tirano su Crocetta, ma noi attraversato quello che fu il villaggio di Levada, giriamo per una stradetta fra i campi e fermiamo a Villa Raspa. Siamo arrivati.
Mentre si stanno scaricando le bombarde, io ritorno sulla stradetta scorciatoia dove il camion è ancora rovesciato. Vi si lavora ancora intorno per liberarlo del suo carico; quindi con grosse traverse di legno e pali di ferro si tenta di rimetterlo sulla strada, ma invano. I soldati manovrano nel buio e fanno ogni sforzo, ma il camion non si muove o si alza appena per riaffondarsi pesantemente nel pantano.
Le traverse di legno usate per leva si rompono, i pali di ferro sono troppo corti e a braccia non si conclude nulla. Mandiamo a Levada per cercare qualche trave piuttosto lunga per metterla sotto la macchina e farla manovrare da molti uomini insieme;... Niente... A Levada non ci sono che dei calcinacci. Il caso è disperato, le ore passano e, venuta l’alba non possiamo fare più niente, anzi non è affatto prudente di lasciare tutta questa roba qui all’aperto e sotto gli occhi del nemico.
Avanti... un ultimo sforzo... Qua... tutti da questa parte. Grida l’ufficiale: voi spingete tutti insieme... voialtri invece sollevate da laggiù. Pronti?... Si... Uno, due e tre, forza ragazzi !... I bombardieri tirano e spingono con tutta la forza dei loro muscoli, ansano, mugolano, e il camion si alza, si ferma un poco a mezza strada, poi uno cede un poco, gli altri scivolano, ruzzolano, balzano appena in tempo per evitare di rimanere schiacciati dal camion che ricade di botto e questa volta si rovescia completamente sulla siepe e sul reticolato, colle ruote in aria. Ma la strada è ora libera. Non c’è altro da fare... A oriente apparisce il primo chiarore dell’alba: presto, mascherate il camion e il materiale sparso per il campo e andiamo via.
Con frasche verdi e secche, con terra, paglia e quante altre porcherie possono trovare a tastoni nelle vicinanze, tutto viene imbrattato in modo che dall’alto non si potrà capire se è un cespuglietto, o qualche cosa di diverso.
I camions vuoti, tornano indietro; gli uomini stanchissimi e sporchi rientrano alla loro Batteria, io salgo su di un camion per tornare a Maser.
Quando arriviamo allo sbarramento di Monte-Palazzo è quasi giorno chiaro. Siamo in ritardo. I cavalli di frisia già chiudono la via. Sono tolti e proseguiamo accompagnati dalla solita musichetta di scoppi che annunziano il nuovo giorno.
Ormai siamo dietro ai mascheramenti di Cornuda e in altri dieci minuti arriviamo a Maser. Io scendo, i camions proseguono, il servizio è finito. Faccio finta di aver dormito tutta la notte, entro nella mia stanzetta che Dioli intanto mi ha preparata, mi faccio portare dell’acqua e mi lavo abbondantemente per pulirmi, ma anche per cacciar via il sonno.
Spazzolato e rilustrato alla meglio, ordino le mie carte nell’ufficio dove il mio aiutante maggiore dorme ancora il suo sonno beato, ma disturbato da me che lo sveglio e lo sgrido.
Naturalmente il tenente Ribolla dentro di sé mi manda a quel paese e ci mettiamo a lavorare insieme.
Bisogna pensare subito ai collegamenti telefonici colle Batterie e coi Comandi. Linee, quelle solite. Il caporale Buttarelli e la sua squadra partono a mettere i fili. Poi c’è da pensare ai prelevamenti di materiale e specialmente ai telai per le bombarde, perché quelli che erano nelle postazioni furono portati al Pasubio e ce li abbiamo lasciati. Ci sono infine mille cose da fare per mettere in efficienza le Batterie nel più breve tempo possibile. Graticci, reticolati, mascheramenti, arnesi da lavoro, materiali antiipritici, munizioni ; tutto manca; tutto si deve richiedere con buoni di prelevamento.
Oh si !... Ho bisogno di avere con me la mia cavalla per andare ai Comandi lontani, ai magazzini, alle Batterie. “Un ciclista” ... grido. “Fila ad Altivole e di a Zuliani che inselli la Duse e venga subito qua”. Ho adocchiato una stanzetta che può fare da stalla e che sarà anche la camera dell’attendente.
Un caffè caldo mi ristora assai, ma mi sento stanco. Torno nella mia camera e mi butto a traverso il lettino che mi sorride e m’invita, ma per cinque minuti appena, perché vengono a chiamarmi.
Le Batterie mandano i loro rapporti della nottata. Sono tutte ai loro posti di combattimento e i lavori hanno proceduto senza gravi incidenti salvo quel camion rovesciato. Quello della 351a Batteria rimasto in panna a Caerano, ha potuto continuare la sua strada prima dell’alba.
La 271a ha già ricevuto il saluto del nemico: quattro o cinque colpetti un po’ lunghi che non hanno prodotto danno alcuno.
Con i rapporti giungono le richieste di mille cose, dalle più necessarie, alle più superflue. Va bene!... Mettiamole da parte e con comodo faremo la cernita e la consueta tara a questi comandanti scialacquoni.
Mangio un po’ di colazione, ma non ho molto appetito.
Mi sento le gambe come rotte e la testa vuota. Prima del riposo il dovere.
Torno al Comando Divisionale d’Artiglieria per chiedere bersagli. Il Colonnello mi fa aspettare più di un'ora; poi mi accoglie con un certo cipiglio. E' di cattivo umore oggi, ma lo conosco e so che in fondo è buono. “I bersagli soliti, allarghi più che può i settori di tiro, copra Bigolino e Vidor. Il sig. Generale vuole che batta anche S. Pietro in Barbozza e S. Stefano”. “Ma sig. Colonnello, non posso batterli: per arrivarci, dovrei portare le batterie in mezzo al Piave”. Il Colonnello mi lancia un’occhiataccia e mi grida “Lo so!... lo so!... Che cosa mi viene a dire?... Lo so... Ma il Generale vuole così”. Poi, tornando calmo brontola tra i denti “E lei non li batta... Non fa l’impossibile... Lo lasci fare... agli altri. Siamo d’accordo.. Viva l’Italia”!
Ho capito. Il Colonnello ha (come dire?) polemizzato col Generale su la questione dei tiri e, naturalmente, ha avuto la peggio. Ora vorrebbe rifarla con me e non ci riesce.
Quasi subito sorridendo per fare il controveleno al suo scatto, apre la carta; si mette a studiare con me e m’invita a cena da lui. Vi andrò, ma casco dal sonno e me ne tornerò via subito dopo. Da più di otto giorni non mi levo le scarpe e sono più di 36 ore che non mi sono messo a sedere altro che sul sedile di un camion.
3. — Zuliani è arrivato stamane colla mia cavalla e si è sistemato alla meglio in quella specie di cantina che gli ho assegnata.
Si è costruito subito una brandina a forbice con certi assi che vi ha trovato e vi ha inchiodato sopra un telo da tenda. Un sacco grande pieno di paglia è il suo materasso; ma lo spazio è poco e dormirà con la testa sotto la coda della cavalla.
Dopo colazione sono montato in sella seguito da Zuliani che monta il mio cavallo di servizio e sono andato a Caselle di Asolo a presentarmi al Corpo d’Armata. Lungo la strada e specialmente a Coste e a Crespignaga ci sono grandi masse di truppe a riposo. C’è anche una intiera Divisione d’Assalto che fa esercitazioni di ogni genere e molta ginnastica. In certi prati grandi è un formicolio di arditi dalle fiamme nere che corrono, si arrampicano sugli alberi, si cazzottano, saltano fossi. Sulla strada reparti inquadrati marciano e manovrano con energia e con disciplina. Sfilano davanti ai loro ufficiali, alzando con la destra il pugnale e gridando “A Noi” Bei tipi di scugnizzi e di felini, pronti a tutto ma specialmente ad ammazzare e a farsi ammazzare. Parchi aerostatici si aggruppano sotto gli alberi in attesa di ordini, campi ingombri di legname e di reticolati, movimento di carri, cavalli, trattrici, da per tutto.
Dopo la ritirata, non avevo più visto un ammassamento uguale di roba e di uomini. Comincio a persuadermi che si vuol fare qualche cosa di grosso.
Alla magnifica Villa dove ha sede il comando del 27° Corpo d’Armata, scendo di sella e mi presento al Generale Fano Comandante l’Artiglieria che già conosco. L’accoglienza è buona. Il Generale mi domanda notizie sulla nostra azione del Pasubio e mi dice che è pervenuto un rapporto molto favorevole per il mio Gruppo. Ora, mi dice “Si metta subito a lavorare. Per il giorno 10 il suo Gruppo deve essere pronto e in piena efficienza. Forse manderemo un’altra Batteria a Curogna e un’altra che si sistemerà dietro gli argini del canale Brentella dove si cominciarono le postazioni due mesi fa. Lei prenderà il comando anche di queste due Batterie e cosi tutte le bombarde del fronte del 27° Corpo d’Armata, dipenderanno da lei”.
Chiedo subito i telai che mi mancano e ottengo il visto sui miei buoni. Avverto che le Batterie non sono al completo di uomini: fra le perdite, i malati e quelli che ho dovuto lasciare al Pasubio, me ne mancano più di un terzo. I due terzi che ho sono stanchissimi. Ma i bombardieri non si stancano mai, ribatte il Generale, e ride forte perché sa di ripetere una frase dei bombardieri stessi.
Faremo tutto quello che potremo e il giorno 10 saremo pronti; ma occorre avere subito i telai e le munizioni. Per gli uomini rimasti al Pasubio il Generale promette di richiederne subito l’invio.
Mi congedo e passo dall’ufficio munizioni per chiedere la dotazione di cariche e di bombe, poi rimonto a cavallo e, passo passo torno a Maser.
Stasera sono invitato di nuovo a cena dal Colonnello Bono.
Finalmente è venuta oggi la notizia che il camion rovesciato sulla via di Levada, è stato liberato la notte scorsa, ma non potendo proseguire da sé è stato rimorchiato da altro camion che passava ed è rientrato al suo parco. Anche i materiali sono stati portati in batteria di notte tempo. Anche questa è fatta.
4. — Impianto a Maser il mio comando amministrativo con tutti i servizi, telefono, corrispondenze, rifornimenti ecc. sono pronto a installarmi al comando tattico in linea, ma il Colonnello Bono m’incarica di fare una ricognizione:
Si tratta di studiare da vicino le rive sinistre del Piave, per segnare sulla carta i punti più intricati e i rovesci da battere per preparare una eventuale,avanzata. Prendo con me il tenente Ferretti e partiamo subito.
Fino a Cornuda ci accompagna la barroccina del Gruppo, quindi, proseguiamo a piedi fino a Cavallea e Onigo. Da Onigo, lasciata la strada maestra, prendiamo una pista che attraverso le linee e i grovigli e gli isolotti di reticolali, porta fino a Ripe, misero avanzo di un gruppetto di case con mulino che sta a cavallo al Brentella e addosso all’argine del Piave. Attraversiamo il canale e montiamo sull’argine fino a sporgere la testa. Stando distesi con la pancia a terra e il binocolo agli occhi vediamo esattamente e chiaramente di là dal fiume, le prime case rovinate di Bigolino che ci sta di fronte e il greto del Piave alto e scosceso che a ovest del paese forma una specie di promontorio coperto di vegetazione.
Non Si vede anima viva, non una feritoia o altra opera bellica. Niente. Soltanto dopo una ricerca lunga e minuziosa che stanca gli occhi, incominciamo a sospettare di quelle piante e di quelle macchie. Là, dentro una buca mascherata dalle piante, c’è qualche cosa. Cannoni no. Certamente un nido di mitragliatrici. Segnamo sulla carta il punto. Dietro alle case rovinate appare una leggera nuvoletta. Oh... briganti ! Non sono ingenue quelle mura crollate. Avanti ancora. Tocchiamo la baracchetta di un capitano di fanteria che si è annidato dietro l’argine coprendosi di terra e di Zolle erbose. Vicini sono alcuni soldati del genio che lavorano in un camminamento.
La nostra ricognizione si è spinta lungo il Piave, deviando un poco fino al ponte di....., quindi fino a Covolo dove siamo rimasti a lungo in osservazione della linea nemica prossima al ponte del Vidor.
Non abbiamo potuto scorgere alcun movimento, ma in compenso abbiamo sentito assai da vicino il ronzio dei proiettili e non poche esplosioni di granate.
Ho visto le bombarde da 58 della Batteria autonoma da me postata e quindi, tornati al Brentella, siamo andati verso Crocetta, fino a Case Campagnolle, ripiegando poi a destra attraverso i campi e i vigneti carichi d’uva matura e intramezzati da noiosissimi reticolati che bisognava saltare strappandosi giubba e calzoni e col rischio di buscarsi una scarica di mitragliatrice.
Attraverso i campi abbandonati dall’aratro e pieni di erbacce, raramente coperti da piante e da siepi, siamo giunti a casa De Luca dove ha sede tattica un Comando di fanteria. Il Co1onnello ci accoglie e par quasi meravigliato di vedersi arrivare due ufficiali così in pieno giorno e con si pochi scrupoli per la propria pelle. Entriamo in una specie di sotterraneo blindato e oscuro che serve da ufficio e da camera del Comando e, al lume fioco di una candela ci viene servito un ottimo caffè.
Spiego che siamo stati a studiare la linea per aiutare la fanteria a fare, occorrendo, piazza pulita davanti a sé. Allora ogni riserva è sciolta.
Mentre parla, comincia una musica intorno a noi e le granate cadono una dopo l’altra scoppiando e sollevando nuvoli di fango e pietre.
“Senta, mi dice, tutte le sere a quest’ora è la stesa musica... Sa di dove vengono?... Perché non distrugge quella maledetta Batteria che sta dietro il Colbertaldo?.. E quelle mitragliatrici sotto Bigolino?... E le bombarde di Abbazia?... Sull’argine del Piave deve esserci un reticolato di almeno dieci metri di larghezza. Come faremo a dare l’assalto se le bombarde non ci fanno dei varchi?”
Riferirò tutto, prometto e cercherò di aiutarlo quanto più potrò. Manterremo buoni e continui rapporti tra noi.
Mi alzo per tornare a Cavallea, ma il Colonnello non vorrebbe. Tirano ancora e passare da Levada è pericolosissimo. Passeremo tra un colpo e l'altro, dico sorridendo. Di notte sarebbe peggio.
Il tiro si sposta su Levada e noi ci dirigiamo proprio verso quella parte. Vedo volare qualche albero e un muro crolla rumorosamente; poi, il tiro allunga su Cornuda e noi passiamo sotto l’arco di fuoco.
Prima di giungere a Cavallea è notte e la barroccina ha potuto passare lo sbarramento e venire a prenderci là per portarci a Maser.
Stasera stessa ho buttato giù la relazione che presenterò domattina.
Sono venuto a Cavallea, accompagnato dal mio piccolo stato maggiore: il tenente Ferretti, ufficiale esploratore; il ten. Strampelli di collegamento, il caporale Buttarelli con la squadra dei telefonisti, stendifili e porta ordini, Dioli, mio attendente di linea e gli altri due attendenti dei miei ufficiali. Ho ripreso possesso della baracchetta di legno sulla quota 255.
Per la mensa scenderò come prima a quella della 351a Batteria, dove ho pure fissato il posto di medicazione. Insomma, ritorno precisamente come ero di Agosto. Soltanto, mentre salgo la collina noto un aumento straordinario di buche e di imbuti, alcuni dei quali grandissimi. Durante la nostra assenza, gli austriaci hanno battuto questa località con i 305, danneggiando parecchie case e colpendo più volte le nostre Batterie.
Il mio centralino telefonico ha oggi solo cinque linee. Debbo stenderne una nuova col Comando della Divisione in linea, che si è istallato in una casetta in fondo alla valle sotto Rivarossa. Provvedo a vari posti di corrispondenza per assicurarmi le comunicazioni con i Comandi superiori e con le Batterie e ne stabilisco dieci con tre uomini e un graduato ciascuno, che per ora limito a due nomini non essendoci necessità prossima del loro impiego. Se le linee verranno interrotte, gli ordini arriveranno di certo, portati da un posto all’altro di corrispondenza e per brevi tratti, sia pure scoperti, che gli uomini possono percorrere alla massima velocità.
Per assicurare ancora di più i collegamenti, impianterò un servizio di eliografi di giorno e uno di lampade Ceretti per la notte. Do precise disposizioni a questo riguardo, affido la direzione dei servizi di collegamento al Ten. Strampelli e io mi metto in giro col ten. Ferretti.
Oggi ho visitato la 351a Batteria che è quasi ai miei piedi sotto la collina e ho constatato che i lavori progrediscono.
Poi mi sono recato a vedere le nuove postazioni di Curogna che aspettano la nuova Batteria.
Tutto è al posto, anche i telai che invece mancano alle Batterie già arrivate. In questa mia gita non ho mancato di prendere contatto anche con i Comandanti di fanteria e noto il grande sollievo che provano questi fanti al mio interessamento. Ora li ho tutti amici e tutti mi chiedono un concorso efficace.
Non ho tempo di salire alle Mura della Bastia dove ha sede il Comando della Brigata Campania e neppure posso spingermi verso Pederobba per conoscere qualche alleato francese, giacché a nostro contatto abbiamo, sulla sinistra, la 26a Divisione.
Mi sono contentato di fare il giro da Mazzocca, Case-Rosse, Onigo e Cavallea, seguendo la via maestra, proprio nel bel mezzo, bianca e deserta, quanto sorvegliata e battuta dal nemico, ma non mi è toccato nulla.
6. — Mi telefonano dalla Divisione, che acceleri i lavori e che mi rechi a Maser per conferire col nuovo Comandante di artiglieria giacché la 66a dà il cambio alla 51a.
Parto immediatamente e fo la strada tutta a piedi. Trovo in ufficio il Colonnello Bono che dà le consegne al nuovo comandante Colonnello Garrone, al quale mi presento. Mi duole il cambiamento, perché ormai col Colonnello Bono ero bene affiatato. Naturalmente ora tutto cambia, ordini, bersagli, criteri d’impiego, metodo di lavori ... tutto!
Prendo le nuove istruzioni, spiego ciò che ho fatto, ciò che resta da fare, ciò che manca. Vedo in tutti una certa preoccupazione una nervosità insolita e intendo che la 66a Divisione, non va a riposo, ma è destinata a rinforzare l’ala destra del 27° Corpo d’Armata sul Montello.
Mi bastano poche parole colte a volo per capire che sono giunti dall’alto ordini nuovi e gravissimi. Gli eventi potrebbero precipitare e come la Germania va buscandone ogni giorno più dagli altri alleati, l’Austria deve buscarne da noi. Forse il nostro fronte è quello destinato all’azione principale... Caspita... bisogna raddoppiare d’attività e lavorare giorno e notte... e stare all’erta.
Congedato dai due Colonnelli, penso che è mio dovere di visitare anche il comandante della 5la Divisione e mi presento al capo di stato maggiore che riconosco: è il Colonnello Guidi, di cavalleria, già aiutante di S. A. il Conte di Torino. Mi riconosce e mi parla della cavalleria, di Novara, dell’arma nostra che ha fatto di tutto e tutto ha fatto bene. Ha fatto molti elogi ai bombardieri e specie a quelli provenienti dalle classi 1890 e 1891 di cavalleria che sono infatti il miglior nerbo della specialità. Quindi mi ha presentato al Generale Pugliese che ha ripetute le solite domande e fatte le solite raccomandazioni.
La giornata così è andata in visite e in preparativi e mi cuoce di perdere tempo, perché ho la convinzione che presto avremo qualche grande avvenimento.
Sulla via aumenta il transito. Telefono a Cavallea che non mi aspettino perché domani voglio andare da me a Fanzolo per sollecitare la consegna dei telai. Senza telai non si postano le bombarde e non si spara.
7. — Ha piovuto tutta la notte e tutto il giorno, ma ho eseguito il mio programma. Approfitto di un camion che doveva andare a Caselle d’Altivole e mi sono fatto trasportare intanto fin là con la speranza di trovare poi un altro imbarco simile, ma arrivato a Caselle, mi sono messo al coperto presso le riserve del mio Gruppo che occupano due case coloniche grandi e comode, proprio sulla strada.
Aspetta, aspetta, non passavano altro che prolunghe, Camions e carrette cariche di foraggi, di paletti da reticolati, di lamiere, di tante mille altre cose, ma tutto in su, verso la linea. Erano i carichi mattutini provenienti dal grande deposito di Fanzolo. Pioveva sempre e si faceva tardi. Ho mangiato un boccone e mi sono deciso di fare attaccare una carretta dalla 349a Batteria e via al trotto.
Presso la stazione di Fanzolo, un vastissimo prato era tutto occupato da masse enormi di materiali di ogni genere.
Montagne di legnami e di ferro spinoso ammatassato. Mi sono messo a girare nella strana città, affondando nelle pozzanghere e nel fango, in mezzo al via vai dei camions che caricavano e dei vagoni che scaricavano, ma non ho trovato quello che mi occorre. Mi sono rivolto all’ufficio del genio col mio bravo buono alla mano. Telai da bombarde, niente. C’è qualche trave, qualche vecchia traversina da ferrovia che può ridursi ma non c’è quella solidità e quella resistenza che occorre. Eppure dovevano esserci e se non ci sono bisogna farli venire subito, magari da casa del diavolo. Non potevo persuadermi. Non ragionavo più. Alla guerra si ragiona in un modo assai diverso e non si ammettono difficoltà. Ho quasi litigato con un capitano del genio che mi diceva “impossibile”. Ma poi ho dovuto fare dietro fronte, tutto impillaccherato, zuppo per la pioggia continua e con un demonio per capello.
Sono rimontato nella carretta e mi sono fatto condurre non più a Caselle, ma ad Altivole, dove fanno capo cinque strade e dove ero sicuro di trovare un imbarco.
Ho avuto il torto di scendere e di mandare via la carretta perché avevo dato ordine alla mia prolunga, che veniva per la spesa viveri a secco, di aspettarmi in questo paese. La prolunga invece non l’ho vista e sono rimasto fino a notte ad aspettarla. Sulla sera tutti i carri che la mattina andavano verso nord, tornavano verso sud, cioè in senso inverso al mio. Pareva che lo facessero apposta per farmi dispetto e mi rodevo. Di certo il mio sergente maggiore di contabilità non aveva capito niente, o mi aveva piantato in mezzo alla campagna.
Al buio, senza conoscere la località, mi sono messo a cercare un comando qualunque, un reparto, e magari un privato che potesse fornirmi un veicolo qualunque fino a Maser. Inciampando e mettendo i piedi ogni poco nelle fossette piene d’ acqua, ho girato di casa in casa, di capanna in capanna senza risultato. Le persone per bene erano a cena o stavano a veder piovere dietro i vetri. Mi si è parato dinanzi un portico grande e scuro e mi ci sono infilato almeno per levarmi il cappotto e spremerlo, giacché pesava come se fosse di piombo. Ho sentito sbuffare un cavallo e sbattere delle catene. Ho acceso un fiammifero... Una briglia militare attaccata a una prolunga Chiamo il conducente che dormiva saporitamente in serpe e riconosco la faccia del mio... Figlio d’un c.. grido: Cosa ci fai qui? Dov’è il sergente?.. Il sergente era tranquillamente all’osteria vicina e arriva quasi barcollando... Aveva bevuto parecchio. La rabbia mi avrebbe fatto perdere il lume degli occhi, ma per non fare scenate con un mezzo ubriaco, mi limito a fargli muso duro e gli domando se questi erano gli ordini miei. “Pioveva tanto” mi risponde, “e siamo venuti al coperto”.
Monto su... Avanti... E così siamo partiti da Altivole alle 21 e mezzo passate, e dopo più di un’ora sono entrato nella mia stanza, dove i miei ufficiali avevano già cenato. Una giornata peggio spesa di così, non l’avevo mai passata.
8. — Non ho dormito quasi niente. Tra la rabbia del fiasco di ieri e il pensiero che ho soli due giorni di tempo e mi mancano, niente meno, i telai e le munizioni, mi sono svoltolato tutta la notte e appena si è fatto un po’ di chiarore all’orizzonte sono saltato fuori.
Accompagnata da un rombo assordante arrivava proprio allora una colonna di trattrici di forma strana, a tre ruote, che si sono schierate proprio di fronte alla mia casetta, una accanto all’altra col tergo aderente alle case di faccia. Le hanno coperte con grandi tele incerate e i motori sono stati spenti.
Giacché non piove faccio insellare la Duse e torno a Caselle d’Asolo a raccontare le mie pene al Generale Fano. Il Generale prende nota e fa telefonare subito al Comando d' Armata chiedendo l’invio immediato dei telai. Per le munizioni ha già provveduto e sono in viaggio. Intanto chiedo ed ottengo autorizzazione di valermi di tronchi d’alberi, di travi, di quanto posso trovare per cominciare a fare qualche cosa. Butterò giù alberi, scoperchierò qualche casa colpita... già sono tutte scoperchiate, e almeno avvierò i lavori. Torno indietro contento.
Da Maser telefono la buona notizia ai comandanti delle Batterie e dico loro che senza perdere tempo, provvedano il legname buttando giù alberi e, se occorre, case senza pietà. Penso, che così potremo avere presto 8 o 10 telai fabbricati dai bombardieri stessi. Domando al Comando di Artiglieria divisionale di poter riunire alla 351a un pezzo che tempo indietro mi fecero postare dietro la Pieve d’Onigo in uno scatafosso appena accessibile alle capre, isolato, che non si sa che cosa faccia là dentro e che in caso d’azione resterebbe tagliato fuori da ogni collegamento. Il Colonnello Garrone, approva, ma mi raccomanda di coprire la maggior possibile estensione di terreno nemico, perché le altre due Batterie non arrivano più. La notizia mi fa quasi piacere; potrò così riconcentrare tutte le cure sul mio Gruppo e far meglio le cose.
Mentre esco dall’ufficio, ii capitano Russo, addetto aI Comando divisionale, mi avverte che c’è La probabilità di una prossima grande azione e che è necessario aifrettare. Bene!... Non avrô lavorato invano.
Ormai pratico dei luoghi, non ho bisogno di fare altre ricognizioni per il lavoro sulla carta e la mia serata è stata tutta occupata nel preparare i settori di tiro e fare i lucidi per le Batterie. Alle 10 di sera bersagli e settori erano già stati inviati alle Batterie e con la barroccina della 351a me ne sono tornato alla mia baracchetta di Cavallea.
9. — E' piovuto tutto il giorno e piove a dirotto. La mia richiesta è stata falcidiata, ma un poco di roba è arrivata e la distribuisco alle Batterie.
Pare che il nemico non si sia accorto che siamo tornati, perché finora non ci ha regalato nessun confetto.
Verso sera un porta ordini mi ha consegnato una grossa busta contenente modificazioni di ordini. Il nuovo Comando non solo ha cambiato il nome convenzionale a tutti gli ovoli, ma vuole anche spostare i settori di tiro. Fortuna che non ho ancora montato neppure no pezzo, dovrò perfino modificare le postazioni e le piazzole.
Le Batterie mi annunziano che hanno già qualche telaio sbozzato. Chi ha tirato fuori da una casa colpita qualche trave, chi ha buttato a terra un castagno. La 351a, saputo che le postazioni di Curogna rimarranno deserte, di notte, è andata a levare da posto due telai già fatti. Figuro di non saperne niente.
Ho lavorato tutto il giorno per rifare i lucidi della carta dei bersagli e quella dei collegamenti.
Stasera c’è stato uno scambio di cannonate che è durato due o tre ore. Sembrava preludere ad un attacco, ma non è stato niente. Il Piave è gonfio e non si passa di sorpresa. Qualche granata è caduta qui vicino; ma di quassù ho visto che battevano molto le case di Crocetta. Speriamo bene.
Si aspettava qualche novità per domani, ma non sono venuti ordini.
10. — Ho fatto un’altra ricognizione in linea e questa volta col tenente Maggi, altro esploratore. Abbiamo percorso il tratto lungo il Piave tra casa Mazzocca e Rive, lungo l’argine della ferrovia di Feltre e abbiamo incontrato solo qualche piccolo posto di fanteria. Sulla via di Onigo, dietro l’arginatura del Curogna, un Maggiore d’artiglieria e un Capitano di fanteria, discutevano animatamente e accortisi delle bombarde d‘oro delle mie maniche, mi hanno chiamato.
Il fante ha l’incarico, prima o poi, di passare il fiume con una compagnia e di puntare sulla riva sinistra, proprio dove c’è quel promontorio e quell’aggreppato alto. Ora sa lui, e lo so anch’io, che l’aggreppato è pieno di caverne e di mitragliatrici. Non è una bella prospettiva dargli l’assalto. Il Capitano chiede al Maggiore che comanda un Gruppo da montagna, qualche tiro distruttivo su quel punto, ma il Maggiore vuole un ordine superiore e il Capitano non ardisce provocarlo perchè teme la taccia di pauroso. Il mio intervento non cambia lo stato delle cose. Anch’io prometto il mio aiuto se mi verrà l’ordine. Andiamo insieme dal Comandante della Brigata Campania su a Mura della Bastia discutendo e soffermandoci per via senza ricordarci del fronte prossimo, ma il nemico ci chiama alla realtà con colpi da 75 che ci passano un po’ alti. Lasciamo la strada e infiliamo su pel camminamento e la trincea di Mura della Bastia. Alzandoci di livello, vedremo meglio.
Osservando col binocolo dal punto più alto al disopra del parapetto, tutti facilmente ci persuadiamo che il fante ha ragione. Perbacco!... Dentro una di quelle buche c’è qualche cosa che si muove. Un uomo!... Una vedetta!... Ah brigante.. ti servirò io domani. Il Maggiore osserva che per lui è un tiro inutile, perchè se pure riuscisse ad infilare la caverna e ad ammazzare la vedetta, domani ce ne sarebbe subito un’altra. Bisogna distruggere la postazione sfondandola dall’alto e battendone l’ingresso che è sul rovescio. Penso io! dico tutto contento... Andiamo dal Generale.
Salendo il colle per le trincee scavate a zig-zag, mi meraviglia il numero enorme di soldati che le riempiono in pieno assetto di guerra, ma infangati fino agli occhi e fradici come spugne. È per me una rivelazione e il cuore mi batte forte per la salita, ma anche per l’emozione. L’odore della battaglia prossima mi inebria e penso con avvilimento alle mie bombarde tutte distese in terra e mute.
Il Colonnello Brigadiere della Campania, un vecchio soldato con baffetti bianchi, già munito di scarponi e di elmetto, ci riceve all’aperto e ascolta la proposta che il Maggiore espone come cosa sua e per tutta risposta si rivolge al Capitano e in tono un po’ canzonatorio gli dice: <<Ma no, caro Capitano... non c’è niente... vada a vedere e poi mi darà ragione>>. Poi, rivolto a noi due, ci ringrazia, ci fa mille auguri, ci volta le spalle e rientra nel sotterraneo della Bastia, dove egli ha comando e osservatorio insieme... indistruttibili!
A me non ha dato tempo di aprire bocca, ma prometto al collega, già tutto scombussolato, di fargli vedere presto il mio interessamento.
Quasi tremando nella voce per la dura lezione avuta, mi ringrazia e mi afferma che è la prima volta in tre anni di guerra, che trova sincero aiuto dall’artiglieria e che vede due comandanti di Gruppo in prima linea.
Stasera ho potuto annunziare al Colonnello Garrone che sei pezzi sono stati montati su telai costruiti in batteria e che desidero fare qualche tiro di prova per assodare le piazzole e rettificare i calcoli.
11. — Altra giornata di pioggia e di calma della quale i soldati approfittano per andare nei campi vicini a fare raccolta di uva. I bei grappoli neri maturissimi non saranno certamente colti dai legittimi proprietari e così fanno felici i miei giannizzeri che trovano il tempo di far tutto... anche il vino... Portano l’uva nei sacchi; l’ammostiscono in certi tinelli che hanno scovato nelle cantine delle case di Cavallea e quando scendo per la mensa sento un odor di vino nuovo che mi fa ricordare, nostalgicamente, i raccolti delle mie campagne. Chi pensa a morire?
Passano sotto la pioggia piccoli reparti che vanno in linea. Le granate seguitano a scoppiare un po’ dappertutto e stasera hanno rotto due delle mie linee telefoniche che la mia squadra ha subito riparate.
Per oggi mi limito a lavorare sulla carta e a dare le ultime disposizioni per l’assegnazione delle munizioni che arriveranno stanotte col primo camion.
È arrivato il tenente Bonelli ufficiale alle munizioni del mio Gruppo che avevo lasciato sul Pasubio. Mi dice che quei monti sono coperti di neve e che è ormai impossibile portare via i materiali. Il nemico, dal Col Santo specialmente, ma in genere da tutte le sue posizioni, ha notato continuamente le nostre linee con tiri d’artiglieria di tutti i calibri, specialmente grossi; pare che abbia portato su quelle balze un numero stragrande di pezzi temendo un nostro attacco a fondo e ora sono bloccati, perchè difficilmente potrà rimuoverli. Ora capisco perchè qui davanti a noi il tiro delle artiglierie andava sempre diradando.
Ci vedo un piano abilissimo del nostro Comando Supremo per ingannare il nemico. Voti fervidissimi perchè riesca.
12. — Si è istallato a Cavallea un parco aerostatico francese... Come c’entra? I soldati pesanti e baffuti, rinfagottati nei loro cappotti color acciaio, non ci guardano neanche, ma non si provano a stuzzicare i bombardieri perchè sanno di che panni vestono. Anche noi li degniamo poco, ma nessuno torcerà loro un capello, perchè non chiamino - les macaronis -.
Ho avuto il permesso di fare i tiri di prova. Sono salito sulla cima della collina, dietro un cespuglio di frassini. Il tenente Ferretti se ne è andato invece in linea ad avvertire il noto Capitano e, con lui, dopo aver fatto sgombrare un certo tratto di linea sotto la traiettoria delle bombe, è salito ad un posto d’osservazionc avanzato, quello stesso da quale l’altro giorno scoprimmo la vedetta nemica.
Alle 15 ho dato ordine alla 351a di sparare tre colpi a distanza sul tremendo promontorio pieno di mitragliatrici.
Il tenente Vecchi mi ha comunicato il <<pronti>>. Parte il primo colpo... La vallata ha risuonato sordamente e terribilmente e, dopo un secondo appena, ho potuto seguire nella sua corsa la bomba visibile che filava in aria diritta e sicura a grande altezza. L’aria era calma e, al sommo dell’arco, la bomba ha incominciato la discesa in posizione normale colle alette a tergo che oscillavano lentamente come la coda di un pesce volante. Tocca terra... una enorme nuvola bianco-sporca con un centro nerissimo, si dilata e copre il disastro; dopo pochi secondi, lo schianto tremendo... lacerante. <<colpo lungo>> avverto... <<direzione giusta>>. Parte il secondo colpo che prende
in pieno il promontorio. L’esplosione è anche più tremenda e questa volta si vedono alberi e sassi saltare in aria a grande altezza. Il bersaglio è colpito. Bisogna sfondare la postazione dal di sopra. Il terzo colpo prende il greto quasi sul margine e una larga fetta di sponda frana nel fiume e scopre un’altra buca. Altri due colpi - ordino - e il bravo tenente Vecchi, colpisce giusto ancora due volte sconquassando ogni cosa su quel povero nido austriaco. Basta... Benissimo!
A notte è tornato il tenente Ferretti e mi ha raccontato che il Colonnello Brigadiere, che non sapeva nulla, era rimasto muto alla novità e che il Capitano dei fanti predestinato all’assalto, che assisteva alla distruzione del suo incubo, saltava come una molla dalla gioia e batteva le mani.
Mi ha mandalo a ringraziare venti voile.
13. — Il Colonnello Bono mi ha fatto chiamare. Sono partito prima di giorno per Maser e poi, a cavallo, sono andato fino ad Altivole, dove ha il sito Comando amministrativo. Mi ha detto che nel sue settore non ha bombarde grosse e che desidera che lo aiuti a battere certi bersagli. Una delle Batterie di Crocetta, d’ordine del Generale Fano, sposterà verso destra i suoi e terrà sotto il fuoco il Capitello e Bosco. Per ottenere sicuro collegamento fra il mio Gruppo e il Suo osservatorio, che è sul Montello, farò una linea speciale telefonica e manderò da lui uno dei miei ufficiali, come comandante in sottordine delle bombarde.
Tornato a Maser, mi viene incontro un’ufficiale americano addetto al parco automobilistico della Croce Rossa, pure americana. Mi ha detto con aria misteriosa che tornava allora dal Cormando Supremo; che la pace era vicina; che la Germania aveva chiesto alla Francia un armistizio.
A dire la verità queste notizie non mi hanno fatto punto piacere; non posso pensare agli scherni cui saremmo esposti noi Italiani se si dovesse fare la pace senza una nostra vera vittoria e per una vittoria francese. Naturalmente ho ringraziato l’impomatato americano e ci siamo scambiati reciprocamente gli auguri. Senza farmi scorgere, io però, col pollice e il medio della mano destra, mi sono toccato le stellette del mio collo bianco mentre l’indice toccava la punta del mio naso. Lo scongiuro è fatto, ma non trovo pace. Cerco qualche giornale, domando notizie... ma non raccapezzo nulla. Per sfogarmi in qualche modo telefono al Comando di Corpo d’Armata sollecitando l’invio dei telai. Se volete che mi batta, dico, datemi le armi. Se non mi mandano nulla è segno che le notizie dell’americano sono vere.
Con mia meraviglia, mi rispondono che domattina mandi un ufficiale a Fanzolo per riceverle e che le metta immediatamente in opera, urgendo star pronti. Evviva lo scongiuro!
14. - Approfittando della stagione discreta, ho fatto a piedi il giro di tutte le Batterie ispezionando pezzo per pezzo. I telai sono pronti e sono stati portati stanotte in posizione per mezzo di camions, ma con nostro grande rincrescimento, non ne potremo usare perchè sono d’abete, legname troppo fragile per lo schianto delle nostre bombarde. Soltanto cinque sono buoni e siccome ogni Batteria ha quattro pezzi montati, dovremo fabbricare i rimanenti buttando giù le quercie di MontePalazzo e del Curogna. Una spedizione è già pronta e stanotte procederà.
Sono tornato stanchissimo alla baracca e a cena ho mangiato le castagne che Dioli e un altro attendente sono andati a cogliere in riva al Piave. Mi hanno raccontato che mentre erano sopra un grosso castagno e con la pertica battevano i ricci più alti hanno sentito passare sopra la testa due sventolate che hanno sfiorato le fronde. A questo avviso non gradito, sono scesi a precipizio e, riempito in fretta un sacchetto di marroni mezzi sgusciati, sono tornati a casa.
15. - Stanchissimo anche oggi, perchè ho girato tutto il giorno sebbene ci fosse nervosità da una parte e dall’altra.
Una squadriglia di nostri aeroplani si è avventurata sulle linee nemiche verso il monte Barbaria, ma è stata accolta a cannonate rabbiose ed ha dovuto fare un largo giro a destra e dirigersi verso Val di Cison.
Gli austriaci non hanno mai dato pace e se la sono presa on le posizioni a loro più note e coi miseri avanzi dei paesi di Cornuda e Levada.
Ormai sono quasi pronto. Domani le Batterie saranno tutte montate e i servizi al completo. Stanotte deve arrivarmi una dotazione straordinaria di viveri a secco per 10 giorni. Pare che ci siano buone intenzioni.
16. — Speravo di riposarmi un poco prima della battaglia che sento vicina, ma, come se ne avessi poche, stamane un ordine mi affibbia la responsabilità dell'osservatorio divisionale di quota 122, che è poco sopra la mia baracca.
Quando non potrò starci da me, dovrò tenerci costantemente uno dei miei ufficiali e telefonare ogni cinque minuti, sia giorno, sia notte, tutte le novità delle linee nemiche e il risultato delle osservazioni fatte. Quando non telefono io, telefona la Divisione o per avvertire di qualche fatto nuovo, o per chiedere notizie. È una tale fatica, che a lungo nessuno può reggerla; così, preparo un turno che faremo in quattro: sei ore per uno.
L’osservatorio è munito di eliografo e di lampade Ceretti, ma tra la mia baracca e l’osservatorio, che sarà anche quello del Gruppo, non ho comunicazione telefonica; perciò, mia vita è dalla baracca all’osservatorio, non avendo pensato a scavarmi una buca in terra per riporvi la pancia mia al sicuro, nel giorno dell’azione. Tale incarico delicatissimo e importantissimo mi dimostra la fiducia che hanno i superiori Comandi, ma mi tiene enormemente preoccupato e mi ammazza. Anche il mio diario ne soffre; scrivo poco e malamente, ogni due o tre giorni.
I soldati non parlano che di menare le mani e lavorano giorno e notte con entusiasmo, con una assiduità e con una certezza di vincere, che ne rimango meravigliato.
Gli ufficiali, ottimi tutti, coltivano questo entusiasmo che va accendendosi ogni giorno più nelle truppe, anche in quelle di fanteria.
Ogni notte arrivano nuovi battaglioni; arrivano gli arditi e tutti canticchiando sommessamente canti guerreschi, ilari e spavaldi e si addensano dentro le trincee, vi si accoccolano nell’acqua, nel fango, sotto il sole, sotto la pioggia, con una sola volontà... passare il Piave; con una sola certezza: vincere. Non avevo mai visto un così grande spettacolo di volontà e di patriottismo, di abnegazione e di disciplina in tutti.
17. — Il Generale Caviglia nostro comandante della 8 Armata, ha fatto il miracolo di inoculare nel sangue di ogni soldato la sua volontà di vittoria, e vittoria sarà.
Ormai ognuno capisce quale è il piano della prossima azione. Sfondare con un colpo vigoroso di ariete le linee nemiche passando il Piave; puntare ai monti; separare l’esercito della valle da quello dei monti, volare e tagliare fuori il Grappa, immobilizzare le truppe degli altipiani, già bloccati dalla neve e vincere... vincere per sempre l'odiato nemico.
In questi ultimi giorni si è fatta una larghissima distribuzione di fogli stampati. In alcuni si raccontano le sofferenze delle popolazioni di là dal Piave: In altri si riproducono i feroci discorsi del Kaiser agli operai e ai soldati per incitarli ad ucciderci, a massacrarci tutti.
Il soldato oggi ha saputo che di là del Piave si è nudi; gli italiani di oltre Piave scherniscono gli austriaci anche a costo della vita; sa che le sevizie e i latrocini degli avversari vengono sopportati con freddezza stoica, piuttosto che cedere volontariamente ad una sola prepotenza
Il soldato oggi ha saputo che di là dal Piave si muore di fame; che il cinismo austriaco è arrivato a questo... a riunire 36 bambini nella Piazza di Feltre per distribuire loro del pane. Dopo distribuito, i bambini furono fotografati sorridenti e allegri; ma subito dopo, ai bambini fu ritolto il pane e rimandati alle loro case con imprecazioni e ingiurie.
Tutta questa commedia per poter diffondere le fotografie nei paesi neutrali e dimostrare come son ben trattate dall’Austria le popolazioni dei paesi da lei invasi... E' spaventoso! E l’odio che germoglia in ciascuno di noi, odio giusto, perchè rivolto contro il male e il demonio personificato, ci raddoppia l'energia e ci fa pronunciare giuramenti tremendi. Da tempo è questo lo stato d’animo di tutti : dal Generate al più umile soldato.
Stasera la propaganda di entusiasmo si è affermata e completata con uno spettacolo nuovo. Sono passati vari drappelli di soldati del genio ed hanno prese varie direzioni; alcuni avevano fasci di manifesti stampati su carta di diversi colori, altri portavano delle stagne di benzina piene di pasta e grossi pennelli. Erano gli attacchini del fronte.
Ad ogni spigolo di casa in rovina; ad ogni albero e, dove non c’era altro, sui murelli dei ponti: attraverso i fili dei reticolati, affiggevano numerosi cartelli come se invitassero, per le vie di una grande città, ad uno spettacolo teatrale.
Alcuni cartelli riportano le terribili notizie del nostri prigionieri. e dei nostri fratelli di oltre Piave. Altri riferiscono le cannibalesche minacce del Kaiser; altri contengono le risposte dell’Italia scritte da poveri soldati, piene di buon senso e di... pepe.
Una è di un fante ex emigrato che suggerisce a Wilson le condizioni della pace con soli quattro punti ma, decisivi:
1) Niscissiru li ‘nfami d’ogni terra nostra
2) Cunsignassiru li cannuna
3) Cunsignassiru Gugliermu liato a catinedda eo’ tutti li so figghi masculi
4) E dopo ni parramu a tabulinu.
(Li fanti <<Americani di Sicilia>>)
Ne leggo fra i molti, un altro che mi colpisce per la sua praticità ingenua trascritta in versi dialettali.
Tornin, tornin si a ciase
Tornin di là da l'aghe
Ma cui a' gioldut la tiare
Il fit a’ di Paià.
(Il soldat Furlan)
Magnifica letteratura popolare che, insieme alle canzoni di guerra, alle improvvisazioni sommesse dei napoletani e dei toscani, rendono belle e sante queste ingrate frontiere e perfino queste trincee piene d’acqua e di pidocchi.
Ho provato tali emozioni oggi nelle mie visite alle Batterie e alla linea che non farci a baratto con nessuno di quei paini che in questo momento escono dalla Scala di Milano o sostano sulla porta del così detto Circolo dei lavoratori in via Tornabuoni a Firenze.
18. — Sono finalmente pronto. Stanotte mi è stata completata la dotazione di bombe e uno dei camions che le portava a Crocetta è affondato sfondando la strada, ma la distanza dalla Batteria era piccola, così che il trasporto si è fatto a braccia per tutte le munizioni e il camion ha potuto liberarsi e scappar via prima di giorno.
Il nemico è inquieto. Gli aeroplani, ogni volta che si alzano dalle nostre linee si avviano verso il Barbaria, sono attaccati malamente. Sembra che il nemico non voglia permettere ai nostri uccelli di vedere quello che si fa sul Barbaria e di là dai monti. Pare che ci siano movimenti grossi tra i nemici.
Alle 16 suona il Comando di Divisione. Il Colonnello Garrone ha bisogno di rispondere colla voce grossa a certe batterie nemiche che stanno nascoste nelle pieghe della collina presso Osteria della Rotonda e sue adiacenze. Do l’incarico alle due Batterie di Crocetta che, dieci minuti dopo appena, aprono il fuoco. Ogni pezzo ha sparato due colpi e il risultato è magnifico. Nuvole, scoppi, lampi sinistri nella semi oscurità serale poi silenzio. Le Batterie nemiche tacciono. Mi pare di immaginare il disastro che vi abbiamo prodotto. Peccato che non si possa andare a constatarlo. Riferisco al Comando e mi risponde “Bene... basta”.
19. — Ho trascorsa la nottata all’osservatorio Divisionale, dove di solito, sta il tenente Ferretti. I Comandi sono tanto contenti del suo diligentissimo servizio, che non vorrebbero neppure farlo riposare. Gli ho dato il cambio io. Tutta la notte è stata occupata dalla assillante preoccupazione di scoprire la precisa sede delle Batterie nemiche desumendola dalla vampa più o meno visibile dei colpi di partenza e dalle comunicazioni telefoniche. Abbiamo potuto scoprire tre nuove Batterie, o almeno, Batterie spostate, ma stanotte il fuoco è stato intenso, continuo e irrequieto e continuo il lavoro dei proiettori che si fermano specialmente sul Piave, come se temessero una sorpresa da parte nostra. Noi invece siamo rimasti tranquilli rispondendo poco e i nostri proiettori del Montello e della mia quota fingono di guardare lontano, tenendo fisso il fascio di luce orizzontalmente su due o tre direzioni. Qualche volta i guizzi di luce si incrociavano in aria, si evitavano, si rincorrevano, poi si fissavano, spegnendosi e riaccendendosi ogni tanto.
Sotto quei fasci di luce alti e fermi i nostri soldati lavoravano.
Nella notte, sono passati molti barconi da ponti, alcuni sopra carri a cavalli, altri su camions speciali. Si dirigono alla riva del Piave e vengono scaricati più che è possibile vicini all’acqua, ma coperti gelosamente di rami verdi e di terra perchè il nemico non sappia e non veda.
Dalla parte del Grappa, il rumore quasi tambureggiante delle artiglierie, durato una mezz’ora, mi ha fatto supporre un attacco; ma chi sa?
Vigile e faticosa la mia nottata e di grande responsabilità. Sono, per così dire, l’occhio aperto che deve scrutare, cui nulla deve sfuggire, che deve calcolare giusto, prevedere tutto e avvertire in tempo chi laggiù riposa e rinfranca le forze... chi sa... forse per domani, se sarà la giornata decisiva: la grande giornata che tutti sognano e invochiamo.
All'alba sono sceso alla mia baracca dando il cambio al tenente Strampellui senza aver mai riposato. Ho da completare le carte di tiro con un lucido venuto dal Comando. È, nientemeno il piano di una possibile avanzata. Il plico è riservatissimo e io me lo studio da solo, chiuso nella baracca, seduto sulla cassetta col capo tra le mani. Sento che le mani tremano e un nodo mi sale alla gola. Fosse vero!... Si capisce... non ne parlo a nessuno.
Per le comunicazioni interne del Gruppo si è adottato un linguaggio convenzionale che non capiscono neppure i. Comandi superiori. Figuriamoci il nemico.
Stasera si sono compiute le prove delle comunicazioni con le lampade Ceretti. Le mie Batterie hanno ricevuto in consegna due pistole mitragliatrici per ciascuna.
20. — Ho prelevato paletti e filo spinoso e ogni Batteria è circondata da uno spesso reticolato, da piccole trincee ed ha completato l’armamento difensivo con vane piazzole circolari per le mitragliatrici. Misure di prudenza dei nostri Comandi perchè non si sa mai. Alla guerra, o si vince, o si perde. Se si avesse la peggio, dovremmo difenderci coi fucili e colle mitragliatrici fino all’ultimo, prima di morire sui pezzi. Ma con lo spirito dei nostri soldati, non si può parlare di insuccesso.
21. — Da due giorni, o meglio da due notti, alcune squadre del genio tolgono tutti i fili che attraversano le vie cli che portano al Piave e li spostano nei campi. Altri zappatori, stanno ricolmando i tagli difensivi delle stesse strade, altri puntellano ponticelli mal sicuri, spianano argini, aprono varchi nelle siepi. I barconi seguitano ad arrivare e si ammontinano sul greto del Piave. Passeranno anche 1e Tanks? Parrebbe, dai preparativi che si fanno. Passeranno le Tanks, le automitragliatrici, le trattrici coi 305, tutte le nostri potenti macchine da guerra.
Le notti sono ormai insonni per l’esercito intiero, ma la stagione purtroppo è contraria. È piovuto, piove e pioverà ancora. Stasera sono stato di nuovo sul Piave. Era grossissimo, furioso, copriva tutti gli isolotti. travolgeva nelle onde rossicce, terrose, tronchi d’albero, tavole, animali morti. Non sarebbe possibile passarlo.
Dopo la mensa, tornato su alla mia baracca, mi ero messo a scrivere, ma una suoneria mi chiama. Il Comando di Divisione mi vuole domattina a Maser per comunicazioni.
Penso che, andando stasera con la barroccina mi risparmierei di andare domattina a piedi sotto la pioggia, perchè di giorno non è possibile percorrere la strada in legno.
22. — Al Comando di Artiglieria non ho trovato il Colonnello Bono ma dal suo ufficiale Cap. Russo, so che mi vuole il Capo di stato maggiore. Mi presento e il Colonnello Guidi mi domanda da quanti giorni non ho fatto ricognizioni in linea. L’ultima ieri sera. Sono stato alle foci del Curogna. <<Bene>>, mi risponde... <<Di giorno?... ossia... c’era luce abbastanza per giudicare delle condizioni del Piave?>> Ho visto benissimo. È gonfio terribilmente, impetuoso, occupa tutto il suo letto. <<Dunque secondo lei non è possibile andare di là?...>> Non credo, rispondo titubante, meravigliato che si chiedano a me certe notizie quando c’è un ufficiale del genio pontieri che ha l’obbligo di vedere e giudicare. Conosco il Piave fin da quando era tutto nostro anche di la e so che in tempi di magra si può guadare a cavallo in pochi punti soltanto, ma quando è in piena, come oggi, sarebbe una pazzia avventurarsi nei suoi vortici.
Il Colonnello ml congeda e mi avverte che si fa conto delle notizie che potremo raccogliere dal nostro osservatorio; anche quelle del Piave.
Uscito dal Comando di Divisione, torno alla Palazzina dell’artiglieria che è sullo stesso piazzale della villa. Il Colonnello Garrone è tornato. Mi dice che non dovrò più dare alcun aiuto alla 66a Divisione e che quindi tolga il collegamento col Colonnello Bono. Però è necessario allargare i settori di tiro e coprire una zona più vasta possibile, per aiutare, sulla sinistra, la 26 Divisione francese e la nostra 12a Armata, e sulla destra, la 66a Divisione. E tutto questo, senza perdere di vista un possibile accentramento di fuoco su Bigolino e su Vidor, da parte di tutte le Batterie.
Nel XXVII Corpo d’Armata non entreranno in azione altre bombarde che le mie e mi si darà un compito importantissimo nella preparazione e nella formazione delle leste di ponte.
Prendo tutti gli appunti e i dati necessari.
Quando esco, mi trovo davanti l’automobile del Re che è fermo nel piazzale della villa e parla col Generale Pugliese.
II Re è invecchiato, ma è raggiante in viso. Buoni auspici e mi rallegro tutto. Torno a piedi a Cavallea dove arrivo che è ancora giorno, ma con una pioggia indiavolata.
23. — Subito ieri sera detti alle Batterie gli ordini opportuni e stanotte si è lavorato faticosamente a modificare le piazzole e a spostare i pezzi in direzione. Stamane, mentre si continuavano i lavori penosi per la pioggia insistente e per la continua minaccia di allagamento delle piazzole, ho rifatto per la ennesima volta la carta dei tiri per tulle le Batterie. Tra tante cose, non si era pensato alla salute; ma vi ha pensato qualcuno (chi?.. non so) che mi ha fatto avere stanotte una quantità di tende da caverne, telai antipritici, cloruro di calcio, fantocci di paglia incatramati e ogni altro ingrediente per la difesa contro i gas. Il bello è che, nè io al mio posto, nè le Batterie, hanno preparata una sola caverna; quindi le cortine e i telai di chiusura, sono inutili. Adopereremo le maschere. Come esercitazione ho ordinato che ogni Batteria faccia lavorare mezz’ora gli uomini con l’impermeabile, i guantoni, l’elmetto e il respiratore inglese; tutta roba che i bombardieri buttano da parte con disprezzo.
Oggi verso sera, il cielo si è un poco rischiarato e subito una nostra squadriglia di Caproni è andata a curiosare sulle linee nemiche ed è stata accolta come il solito e anche peggio, perchè una squadriglia nemica l’ha attaccata e si è avuto un accanito combattimento aereo, finito con la caduta di un aeroplano austriaco e con la fuga degli altri.
I nostri Caproni finalmente sono passati tutti sopra il Barbaria a quota abbastanza bassa e non sono stati colpiti.
24. — Ho aumentato la dotazione delle munizioni che supera ora di un terzo quella normale. Verso le 9 mi è giunta un altra O. P. riservatissima.
Contiene diverse modificazioni nel piano d’attacco che si rileva grandioso e geniale. Con questo piano, con questi soldati e agli ordini del Generale Caviglia., si andrà avanti ad ogni costo. Non sto in me dalla gioia. Con passo da cammello e col mio piano in tasca, fo di nuovo il giro per le Batterie ispezionando sommariamente, perchè sono sicuro che tutto è pronto. Mi fermo con i soldati aggruppati e rivolgo brevi parole d’incoraggiamento, ma mi accorgo che non ne hanno bisogno. Sorridono e ml dicono: Vedrà... vedrà che cosa sapremo fare: questa volta vogliamo prendere le bombarde sulle spalle e portarle a Conegliano; di li a Udine e poi a Vienna. Non esageriamo, replico, sono sicuro che farete onore all’Italia e alla vostra specialità. Siate saldi, disciplinati e allegri. Presto saremo di là dal Piave a liberare quei poveretti che ci chiamano piangendo.
Di notte, incespicando e sguazzando, sotto la nebbia e la pioggia che è ricominciata, sono tornato al mio posto di combattimento. Il cielo è in parte stellato. Mi volgo in su a guardare la stella più grande che è forse quella della nostra Italia che ci guiderà nello sforzo supremo e mi volgo anche verso quella parte d’Italia dove lontani e ignari, dormono tranquillamente i miei cari e mentre sento inumidirsi leggermente gli occhi, al Regolatore delle cose universali e umane, affido la loro sorte con quella del mio paese che mai ho amato come oggi e che domani forge sarò chiamato a liberare o a difendere col mio sangue.
Nella solitudine oscura e al tuono lontano di voci rauche e severe di cannoni; fra lo scintillio degli scoppi, l’incrociarsi dei fasci luminosi sopra la riva del Piave cosi silenziosa e così piena di vita e di forza guatante e ruggente, mi offro con gioia in olocausto. Fino ad oggi non avevo mai pensato a me e da domani mi dimenticherò... Lo prometto.
25. — Stanotte siamo stati tutti all’erta ai nostri posti di combattimento e veramente non capivo perchè; dal momento che il nemico sembrava sonnecchiare sotto la pioggia dirotta che ha ingrossato il Piave come non l’avevo ancora visto, rendendo impossibile ogni passaggio e ogni tentativo di attacco.
Il mio osservatorio di Gruppo, o meglio, il mio punto di osservazione, l’avevo stabilito all’aperto sul colmo del dosso di collina che sale alla quota 155, presso un capanno in muratura ormai abbattuto dai colpi. Dietro una siepe di spini e un ciuffo di frassini spelacchiati per la stagione autunnale, mi ero fatto preparare un sediletto di legno e, poco dietro a me, in una postazione da mitragliatrici abbandonata e non finita, avevo messo il centralino telefonico. La buca non era blindata ed era tanto piccola, che appena ci stava dentro il telefonista con l’apparecchio.
Stanotte avevo le comunicazioni al completo con la bellezza di dodici linee, che per fortuna hanno taciuto, essendoci mancata la ragione di trasmettere. Ogni mezz’ora il caporale telefonista Buttarelli, deve provare le linee. Stanotte ne sono state rotte due e sono usciti i guardafili armati di moschetto. Di una hanno trovato il punto di rottura per lo scoppio di una granata, ma dell’altra hanno scoperto una causa peggiore assai: il furto di oltre 200 metri di filo.
Naturalmente avevano portata seco una matassa di filo di ricambio e hanno potuto prontamente riattivare la linea.
I telefonisti mi hanno raccontato l’accaduto pieni di sdegno e facendo propositi terribili. Il filo ha fatto comodo a qualche altro reparto che non ne aveva abbastanza; ma il taglio e l’asportazione dolosa di linee, in tempo di guerra e in momento di azione, è uno dei più gravi reati che si possano commettere. In certi casi non ci vuole pietà e chi fosse trovato a compiere quest’atto di disfattismo e di tradimento, deve essere senza complimenti passato per le armi. Raccomando a Buttarelli e ai suoi soldati, di tentare un appostamento e occorrendo, di sparare. Ne rispondo io.
Ho avuto la spiegazione del gran tambureggiamento che fin da ieri mattina si sente verso il Grappa e l’Asolone; bombardamento che si estendeva fino al Monte Tomba e che stanotte potevo osservare dall’Osservatorio Divisionale. Un Ufficiale venuto oggi in collegamento mi ha detto che ieri mattina alle 5, la 4a Armata con l’appoggio della 6a Armata, aveva iniziato un attacco in forze sulla regione del Grappa e che il Pertica, l’Asolone, il Prassolan e il Solarolo, erano stati espugnati dai nostri, che ora tenevano le posizioni tenacemente. Anche l’ala sinistra della 12a Armata che è alla mia sinistra, si era lanciata all’attacco conquistando posizioni importantissime. Alla notizia magnifica, sono balzato in piedi e sono corso a! telefono per comunicarla alle mie Batterie.
La battaglia è dunque incominciata e il successo ci arride. Bisogna mettere fuoco nel cuore dei soldati: bisogna esaltarli e sorreggerli nelle ore difficili. Ma noi, noi, quando cominceremo? Ecco il mistero. Credevo di avere indovinato il piano del Comando Supremo; pensavo che spettasse alla 8 Armata la prima parte nel dramma eroico e invece mi accorgo che il Grappa è il fulcro di tutta l’azione. Se lassù si trattasse di una semplice azione dimostrativa, a quest’ora o avrebbero cessato di sparare, o saremmo già entrati in ballo anche noi, invee lassù si battono e conquistano, mentre noi siamo ancora inerti e silenziosi.
Salgo all’osservatorio divisionale proprio in cima alla collina, da dove scorgo la regione montagnosa impegnata nella battaglia e ascolto con attenzione il tambureggiamento nelle artiglierie come si usava sul Carso.
La battaglia continua ma per noi non c’è nulla. Volano anche oggi i nostri aeroplani sul Barbaria e questa volta non incontrano troppi ostacoli. Si dice che il nemico abbia scesi dalla montagna i 305 che fecero le grosse buche dietro la mia baracca e li abbia portati davanti al Grappa.
Sul nostro fronte l’Austria si fa poco sentire. Forse ha alleggerito la difesa di artiglieria e di uomini, fidando su quella che le offre la piena del Piave. Voglio vedere il Piave e scendo verso Pieve d’Onigo.
Le trincee sono piene di fanti e di arditi che aspettano, seduti nel fango, l‘ora dell’attacco. Non parlano di altro; non temono; sperano, anzi sono certi. Il cannoneggiamento del Grappa li eccita e quando ad alcuni dico che lassù si va bene, vedo aprirsi cento faccie abbronzate e brillare cento occhi intorno a me. Sarebbe tempo di uscire da queste buche fangose, di uscire all’aperto, di manovrare, di buttarci all’assalto, di passare magari a nuoto il fiume e di vedere in faccia il nemico. Non se ne può più di questa guerra da talpe; di questa vita passata tra topi e pidocchi. Non si vuole la pace se prima noi li abbiamo stroncati, e li stroncheremo; li stroncheremo anche se francesi e inglesi non volessero; anche se Wilson aggiungesse altri venticinque punti a quelli che mise fuori perchè dei suoi punti ce ne strafreghiamo. L’Italia deve vincere la sua guerra e non deve fare la pace per merito degli altri... Quando... quando verrà l’ordine di balzare fuori? Da quanti giorni si sta a marcire in queste fosse; da tanti giorni si sta qui a pigliare l’acqua e a riparare sotto la mantellina il fucile e le cartucce perchè non prendano umido e siano pronti a lavorare.
E gli arditi, torvi in volto, freddi e spavaldi, parlano meno, ma istintivamente corrono colla mano al pugnale e dal pugnale al tascapane pieno di bombe a mano. Per loro poi quest’attesa è insopportabile. Qualcuno ogni tanto scappa fuori e corre al fiume per vedere se si può passare. Ma... ahimè!... Il fiume, è impetuoso e travolgente; le sue acque gonfie non lasciano più vedere neppure uno dei suoi isolotti, neppure un bancone di ghiaia.
Mi sporgo anch’io, attraverso le piante che nascondono i barconi da ponte. Quanti sono questi barconi, non lo so neppure; ma non si vedono. Un ufficiale del genio che sta nascosto ad osservare, mi dice che stamane la velocità della corrente è di tre metri al secondo e che l’altezza delle acque è di un metro e 60 cent. In queste condizioni, non è possibile gettare i ponti perchè si strapperebbero gli ormeggi e le barche andrebbero alla deriva.
Che pena! Che rodimento!... Che ansietà si prova tutti! E pensare che con quei soldati si volerebbe!
Intanto dal Grappa e dall’Asolone seguitano a giungere ai nostri orecchi i sordi e cupi tuoni delle artiglierie impegnate e, più distinti, si sentono i colpi della 12a Armata. Pare quasi che la battaglia, iniziata sulle cime impervie delle Alpi, dilaghi lentamente verso la pianura e si accenda poco alla volta per contatto, per consenso.
Quando scoccano i colpi delle nostre artiglierie e rispondono quelle della 6a Armata austriaca che ci sta di fronte, si ha l'impressione che la bufera sia per giungere fino a noi. Eccoci, finalmente. Invece dopo un poco, ritorna una relativa tranquillità.
Anche oggi nel Gruppo ho diversi feriti, ma non gravi. Le Batterie sono ancora ignorate dal nemico che non le cerca e non le batte.
Stasera mi arriveranno le bombe asfissianti. Cinquanta per ogni Batteria. Ora, poi, non mi manca più nulla.
È notte alta, ordini non vengono e io salgo all’osservatorio divisionale per godermi lo spettacolo della battaglia lontana.
26. — Con le ossa rotte per la lunga veglia di stanotte passata in piedi, all’aperto, nel freddo e umido autunno veneto, ma col cuore gonfio e pulsante per una intima e inesprimibile ebbrezza, stamane mi sono buttato nel mio lettino da campo e ho dormito. Ho dormito non più di due ore e non ho sentito neppure tre esplosioni che sono venuti a scoppiare in fondo alla valletta, nè ho sentito la vibrata risposta del nostri pezzi da 149 che stanno di casa a meno di 200 metri da me; nè ho sentito la pettegola mitragliatrice lì di fronte alla mia baracca che, nel luglio scorso, si divertiva a fare il tiro indiretto a pochi metri sopra la mia testa e che oggi ha ricominciato la musica con le stesse velleità di colpire il nemico dietro gli argini e i rovesci. Queste belle cose me le ha raccontate Dioli, ma non le ho sentite. Però seguitano sparsamente i colpi delle due parti e la mitragliatrice, ogni tanto, fa una cantatina.
In conclusione, ho dormito due ore come un ghiro, buttato giù senza neppure levarmi le scarpe e col binocolo a tracolla.
Stanco come ero, avrei dormito anche di più e il mio organismo godeva del riposo, ma Dioli, nemico delle consolazioni è venuto a svegliarmi con un plico O. P. che apro trepidante
e leggo trepidamente.
Si scioglie ogni riserva!... Il piano di operazioni che già conosco e che si inizierà il giorno X a ore 22, e confermato in tutti i particolari.
Un lucido con. segni convenzionali a colori, accompagna il nuovo ordine e indica i vari tempi e i relativi spostamenti che dovremo fare nella nostra avanzata e non si mette neppure in dubbio il passaggio del Piave. Infine il giorno X è oggi... E' il 26 ottobre dell’anno di grazia 1918. Appena un anno dopo la terribile ritirata dal Carso.
Stasera dunque alle 10, i primi barconi toccheranno le acque del fiume a noi sacro e Dio voglia che ci sia benigno e non respinga la nostra temerità. Questo pensiero mi rabbuia alquanto; ma se il Comando ha deciso, vuol dire che si può superare. Da due giorni non piove e le acque torrenziali si ritireranno. Conosco le piene del Piave. Arrivano improvvise, furiose, a valle per una pioggia montanina e cosi fulminee arrivano, che qualche volta, non sono in tempo a scappare neppure quelli che cavano ghiaia e rena negli isolotti del centro. Appena la pioggia e cessata, il pelo dell'acqua cala rapidamente e tornano a secco i banchi di ghiaia cambiati di grandezza e di forma. Così deve essere oggi.
Non ho bisogno di mandare ordini alle Batterie, perchè li hanno già. Aspettavo soltanto la indicazione del giorno e per non affaticare inutilmente i porta ordini, telefono ai comandanti con linguaggio convenzionale.
Stasera ci troveremo tutti insieme a cena alle dieci, raccomando la puntualità. Cercate di essere sul posto alle nove. A quell’ora mi direte se in tavola manca nulla. .Avete tutte le cazzeruole? pere, mele, ne avete abbastanza?... I bocci e gli amici, stanno tutti bene di salute e di spirito?
Finalmente! Faremo una bella strippata e divoreremo tutto il pranzo che neppure devono rimanere le ossa per i cani!...
Salute!
Si capisce... La cena, è la battaglia - Le cazzeruole, sono le bombarde - le pere, le bombe - Le mele, le cariche - I bocci, gli ufficiali - Gli amici, i bombardieri - I cani, sono quelli che dovrebbero ingrassare mangiando ossa austriache e tedesche. Invito a un banchetto che potrebbe essere di morte, ma che abbiamo imbandito con serenità e con letizia.
Alle 19 (abbiamo anticipato) sono andato alla mensa della 351a Batteria nella solita casa mezza rovinata di Cavallea. C’era più allegria dcl solito. Il tenente Vecchi ci ha fatto una sorpresa. Ha fatto venire 4 bottiglie di spumante che abbiano bevuto alzando i bicchieri di vetro verde e facendo brindisi calorosi all’Italia vittoriosa, all’Esercito e ai bombardieri.
Proprio in questo momento anche nelle Batterie si sta distribuendo vino e sigari a spese mie e degli ufficiali, sicchè i brindisi sono generali e stringono in un solo fato i nostri animi.
Il tenente Flecchia che, non contento dello spumante, tracanna anche un mezzo fiasco di vino rosso, è acceso in viso, eccitatissimo e minaccia di andare in Batteria ad aprire il fuoco.
Ma lei è matto... Stasera staremo tutti ai nostri posti e aspetteremo gli ordini... Anzi non si deve turbare la calma della valle con un solo colpo. Il nemico deve essere sorpreso e ingannato.
Alle 20 mi alzo e ordino che ciascuno prenda il suo posto. Sulla strada rumoreggiano carri e trattrici. Passano lunghe, silenziose colonne di fanti e nella oscurità completa della notte, si intravvedono ombre che si avviano tutte per la stessa direzione.
Faccio capolino al posto di medicazione. Non ho medico, perchè quell’aspirante che mi avevano assegnato l’ho rimandato perchè era... come dire?... poco profondo nella difficile arte medica imparata in un anno di tempo di pace e tre anni di università castrense. L’ho appiccicato a un Gruppo da montagna anche perchè, faceva sempre mille difficoltà per stare in linea adducendo ragioni ridicole: Che non poteva operare in baracche o caverne prive di luce; che i feriti soffrivano per la tensione nervosa prodotta dagli scoppi dei proiettili vicini; e anche più giucche ancora.
Quando il Comando di Corpo d’Armata mi domandò se potevo prestare il dottore, o mezzo dottore, io dissi: Che prestare!... Lo regalo addirittura. E lei, come fa senza medico? Io, risposi, ho nel gruppo un veterinario (il tenente Ferretti) che vale quanto un bravo medico ed è anche un soldato coraggioso e un aiuto prezioso: Mi basta quello. E cosi nel posto di medicazione c’è soltanto il caporal maggiore Netti, un mio comprovinciale di Sarteano che sa il mestiere suo. Infatti il posto di medicazione è in perfetto ordine. Non manca nulla, salgo al mio posto di comando all’aria aperta e mi siedo sull’erba, sopra la postazione da mitragliatrice dentro la quale sono gli apparecchi e il caporale Buttarelli.
Dioli e gli altri attendenti, funzionano da porta ordini e fanno le spolette tra la baracca e me, tra me e l’osservatorio divisionale dove resta ancora Ferretti. Il tenente Strampelli dirige e sorveglia i collegamenti ed ha parecchio da fare.
Una battaglia che comincia ad ora fissa, di notte, con programma prestabilito e con una sì bella orchestra, mi assomiglia ad una colossale rappresentazione teatrale simile a quelle che sogliono cominciare appunto a quest’ora nelle lontane e dimentica le città, ma infinitamente più grandiosa. Il teatro è immenso, gli scenari sono quelli del monte Tomba e del Cesen; gli attori si chiamano Caviglia, Di Giorgio, Pugliese, dalla parte nostra.
Come si chiamano quelli dalla parte di là non saprei, ma si dice che la 6a Armata sia comandata dall’Arciduca Giuseppe e che sia composta cogli elementi migliori. Facendo il paragone con un gran teatro, mi viene da ridere quando mi siedo in cima a questo poggio come se fosse una comoda poltrona di prima fila.
Lo spettacolo però non comincia. Il teatro è scuro e silenzioso. Non ho mai notato un sì completo silenzio! Che gli attori nemici siano scappati tutti prima che si alzi il sipario? Che ci sono ancora e che mordono ce lo dice il cannoneggiamento intensificato della regione del Grappa, dove da due giorni si combatte ferocemente e si compra con molto sangue ogni sasso e ogni zolla di terra, ma dove si va avanti.
Qui dinanzi a me, il silenzio è tale che si sentirebbe battere il cuore d’Italia, se fossero percettibili i palpiti di tante migliaia di soldati italiani che aspettano, il cenno del loro capo, per slanciarsi.
Butta o soldato il tuo cuore di là dal Piave e vola a raggiungerlo per offrirlo alla Patria.
È l’ora stabilita dall’ordine. Non un segnale, non un razzo, non un rumore. Eppure si sa che l’Italia intera è pronta e che i suoi soldati non verranno meno al giuramento. Lassù, il tuono dei cannoni è continuo. Talvolta si abbassa il tono e rallenta di intensità, poi raddoppia di rabbia e allora non si distinguono più i singoli colpi, ma si fondono in un rullio di tamburi lungo e insistente che cessa un momento per ricominciare più forte. Non raramente le linee delle montagne si disegnano nella notte, per lo scintillio di mille lucciole e la fantasia può immaginare fin che vuole. Qui... nulla. Silenzio assoluto.
Soltanto qualche fascio di luce gettata dai nostri riflettori, vaga in aria, fingendo di scoprire le cime del monti lontani, come qualcuno che cammini con la testa in alto per affettare indifferenza e non attirare su di se l’attenzione di un seccatore incontrato per via.
Gli austriaci, invece, non devono essere molto persuasi della nostra ingenuità e non si stancano di illuminare le nostre retrovie dove, naturalmente non c’è nulla di nuovo. Non c'è nulla di nuovo nelle retrovie, perchè l’ammassamento di truppe non c’è più. È tutto in prima linea, in attesa di un ponte.
Mi pare di sentire leggero e fioco, il tuffo di un barcone in acqua!
Ascolto, sporgendomi verso il fiume. Sento un piccolo colpo di tavole urtate da qualche cosa di duro, forse da un remo. poi, un altro tonfo furtivo da sotto le piante della riva tenebrosa... Eccoci. al momento supremo. I riflettori austriaci guardano ancora lontano sul Montello e a Montepalazzo.
Le vedette non possono udire la riva nemica e lontana e il fracasso delle onde, copre il rumore del piccolo tuffo. Quante anime saranno sospese in questo momento, nella grande speranza? Indimenticabile sensazione di andare contro ad un ignoto destino del mio piccolo io, che sta cosi intimamente unito ai grandi destini d’Italia e forse, chi sa, a quelli del mondo intiero!. Stanotte si scrive un capitolo di storia. Voglia Dio che si scriva su pagine purpuree in lettere
d’oro.
27. — Scrivo così, quando posso e come viene giù dalla penna agitata e nervosa. Non esiste ormai differenza tra il giorno e la notte. Tutte le ore sono eguali, mentre la battaglia infuoca tutto il fronte e richiede tutti i nostri sforzi.
Il silenzio tragico di iersera è durato fino alle due di notte, mentre i nostri cervelli contratti dall’ansia e dalla speranza, si accendevano nelle più splendide immaginazioni e i nostri occhi spalancati nella notte e quasi fuori delle orbite, tentavano di scoprire quello che avveniva cli qua e di là dal Piave, ma specialmente di qua e su tutto il fronte. Prolungandosi l’attesa, ero salito all’osservatorio divisionale donde si vedeva più orizzonte e si dominava anche la zona di Pederobba.
Laggiù’... proprio laggiù, presso la stazione ferroviaria del paese, in una località detta Molinetto, dove il Piave si stringe tra due rive, e rumoreggia tra gli isolotti sassosi, frenando l’impeto della corrente che quasi rimulina tra due promontori... laggiù, deve essere stato gettato il primo ponte.
La 12a Armata e il 27° Corpo d’Armata, sono pronti a fare impeto su questo ponte e su quelli che contemporaneamente si devono gettare stanotte a Vidor, a Sernaglia, sotto il Montello, alla Priula.
Un esercito intiero, armato più che di armi, di una volontà granitica di vincere, aspetta silenzioso e paziente il segno del Duce. Si sa che tutto il carreggio è dietro, nelle seconde linee, che ci sono enormi masse di riserva pronte a rincalzare l’attacco, che 2000 cannoni per ogni Corpo d’Armata e per ogni Divisione, se occorre tuoneranno insieme e sconvolgeranno il nemico, e il nemico fino alle due di notte, non ha veduto, e non ha capito.
I fasci di luce vagavano stupidamente e non scoprivano niente, ma poco dopo le due, uno di questi notturni poliziotti indagatori, per mero caso, ha illuminato, passando, le sponde di Pederobba e il fiume.
Il raggio luminoso è passato, ma colto quasi da un dubbio, o da un presentimento, è tornato subito indietro: ha girellato, ha sbagliato, è tornato a frugare, ha risalita piano piano la riva destra del Piave fino alle foci del Curogna e ha, pur troppo, scoperto che una passerella già buttata a cavalcioni del fiume, brulicava di soldati che a corsa raggiungevano la sponda sinistra. C’è stato un istante di stupore in tutti. Al primo fascio di luce se ne è aggiunto un altro venuto da lontano in aiuto e ambedue si sono fermati ghignando diabolicamente sul nostri che imperterriti seguitavano a passare, a passare e si addensavano sull’altra riva.
L'istante di trepidazione ci ha strappato parole di maledizione pronunciate forte... urlate di lassù verso l’invasore e ci è parso che un brivido e un urlo soffocato passasse per tutta la linea nostra.
Un primo colpo parte dal Barbania, che segue un altro da S. Pietro in Barbozza e poi altri da Colbertaldo; il Barbaria di nuovo spara e con tutti i suoi mezzi, che devono essere multi, copre di granate e di scoppi tutta la nostra linea e il greto del Piave. Intorno alla passerella e al già quasi completo ponte di barche, si addensa un fuoco infernale. Una nube densa e bianchiccia sale dalla valle: uno schiantare assordante lacera e distrugge ogni fatica; dalla riva saltano in aria barconi, carri, piante e uomini; dal fiume s’innalzano enormi colonne di acqua e di fumo e tra il fumo... ahimè... salta in aria ogni speranza nostra.
Fra il balenio della battaglia, nei brevi spazi non dominati dal fuoco, il ponte appare spezzato proprio dove il filone è più rapido e impetuoso... E' stato colpito in pieno!... I due monconi sono vuoti e immobili. C'è qualche morto attaccato alle tavole, la corrente stacca altri puntoni e altre barche che filano alla deriva trasportando cadaveri, altri cadaveri appaiono e scompaiono tra i gorghi.
La furia nemica per un momento si arresta, i riflettori guardano ancora curiosi per assicurarsi di avere ottenuto l'intento, poi tornano a muoversi ancora su e giù per il Piave in cerca di altri ponti e di altri nemici.
Quanto ho descritto, si è svolto in un baleno e con una rapidità tale, che quasi non ci ha dato tempo di riflettere e di agire. D'altra parte senza ordine non si deve fare fuoco. Colto appena l'atto fulmineo del nemico e mentre mi butto a precipizio verso il mio posto di comando, l’ordine arriva. Una chiamata rabbiosa del telefono e contemporaneamente si scatena la nostra tempesta: <<Ordine del Comando d’Artiglieria di far fuoco su Bigolino, Osteria Nuova con le Batterie di destra mentre le due di sinistra con la massima gittata devono sparare in direzione di Villa Nova e Funer>>. Ordino il fuoco e dopo cinque minuti le voci grosse delle bombarde si aggiungono al coro pieno delle nostre artiglierie. I colpi partono cadenzati spostandosi leggermente per battere tutti i bersagli richiesti e io sto ammirando la mia orchestra magnifica dal sedile del poggetto.
Ogni bomba che arriva a destinazione è un disastro pel nemico. Noto con compiacenza i magnifici lampi delle esplosioni e lo schianto formidabile. Incito i bombardieri, correggo i dati, domando notizie, raccomando cadenza per non sprecare munizioni e chiamo e do ascolto a dodici linee telefoniche che non riposano mai... Non so bene che cosa è accaduto, ma non ho tempo di fare supposizioni, obbedisco e basta.
Le artiglierie nemiche svegliate malamente dai nostri pezzi, rispondono e, dopo mezz’ora, la battaglia è piena. Non si sente più il tambureggiamento de Grappa che scintilla sempre più; il nostro rumore vicino, copre quelli lontani, ma tutta la la linea che vedo è in fiamme; anche il Montello, anche più giù. La battaglia è certamente generale. Qualcosa di simile fu nei grandi attacchi del Carso e di Gorizia
Il fuoco intensissimo la prima mezz’ora, tende a diminuire un poco.
Ricevo ordine di sospendere il fuoco sulla destra e di intensificare quello dell’ala sinistra, facendo concorrere quante più bombarde è possibile nel battere la zona a semicerchio che dovrebbe essere testa di ponte di Molinetto.
Il tenente Ferretti scende, scende tutto concitato da quota 155 e mi informa che il 138° fanteria francese, un Battaglione alpini e qualche Compagnia della Brigata Campania, con un reparto d’assalto e poche mitragliatrici, hanno passato il Piave prima che si rompesse il ponte di Molinetto e ora si trovano in una posizione criticissima, perchè non possono tornare indietro e si difendono come possono sul ciglio dell'argine con le spalle al fiume, dagli assalti del nemici che vorrebbero buttarli nella corrente. Occorre difenderli e salvarli formando una siepe fitta di fuoco tra essi e il nemico che avanza profittando delle pieghe e delle accidentalità del terreno. Questo il Ferretti ha saputo e mi riferisce; poi torna di corsa all’osservatorio.
Quando tutti i pezzi della 351a e 350a sono già concentrati sulla zona di Funer, Villa Nova, tra Settolo alto e Settolo basso, il Colonnello Garrone seccamente mi ordina di battere cadenzatamente a semicerchio salvando quei nostri soldati che stanno quasi aggrappati all’argine. L’avverto, mi dice, che questo lavoro è affidato soltanto a un gruppo di mortai e a lei. Non si può fare niente coi pezzi a tiro teso. Regoli il fuoco in modo da durare delle ore. Signor si, rispondo e incomincia la musica.
Sono le cinque... Miracolo! ... Non una bomba ci tradisce; non un bombardiere sbaglia. Gli scoppi arrivano giusti, ma una grande ansia mi prende. è una responsabilità enorme. Tutti gli occhi sono rivolti agli scoppi riconoscibili delle bombarde. Dalla precisione dei nostri tiri forse dipende la salvezza di tanti uomini... I colpi si succedono uno all’altro e neppure uno si accorcia, come purtroppo non raramente accade. Pensare che quei tremendi esplosivi devono passare su sulla testa di tante truppe nostre di qua e di là dal Piave e devono passare innocue e diventare fatali per gli austriaci.
Quei disgraziati tagliati fuori sparano e si difendono. Ogni tanto sento crepitare le loro mitragliatrici. Qualche razzo verde chiede aiuto. Come soccorrere, attraverso una corrente simile e sotto un fuoco d’inferno? Si fa giorno e si comincia a vedere un brulicume lungo la sponda sinistra, sono i nostri che si battono. Si raddoppia la nostra buona volontà e si spara, e si spara. Anche i mortai sparano, ma gli scoppi di quei proiettili sono molto meno micidiali e sento più che mai di quale peso sono cariche le mie spalle.
Alle 8 mi si ordina di sospendere il fuoco... Volano i nostri aeroplani e passano a bassa quota sopra i disgraziati francesi e italiani. Passano e ripassano. Pare che lascino cadere qualche cosa, poi tornano indietro. Ne arrivano altri e fanno la stessa manovra, so che buttano viveri, cartucce e medicinali.
Ho saputo che il ponte di Molinetto è stato rifatto una seconda volta e di nuovo distrutto dal nemico.
Gli austriaci devono averle buscate sode perchè il fuoco per ora non è ripreso. Noi si batte invece lentamente tutta la zona tra Bigolino e Vidor e vi concorrono tutte le artiglierie di ogni calibro, comprese la 271a e la 349a che sono a Crocetta. Il nemico ci risponde violentemente e la valle tra la mia quota e il Montello è tutta punteggiata di nuvolette bianche.
In aria è un continuo zufolio di tutti i calibri possibili; di qualcuno pare perfino di sentire la ventata; molti scoppiano sul pendio orientale della quota, altri vanno oltre e colpiscono le colline dietro a me. Ma come badare a questi noccioli che non si contano e non si vedono, ma si sentono e basta?
Nel momento di sosta il ten. Vecchi mi avverte che per il tiro intenso della notte, ha le piazzole tutte allentate. Smonti un pezzo alla volta e consolidi le piazzole, tenendosi pronto a sparare cogli altri pezzi. La stessa risposta do al cap. Arlotta de1a 350a che mi avverte che alcune postazioni sono state colpite senza danno ai pezzi che sono un po’ squassati dal tiri, e con un solo soldato ferito.
Mentre parlo, il telefono bruscamente s’interrompe. Una granata ha spezzata la linea. Parte la squadra dci telefonisti con l’apparecchio di prova e parte di corsa un porta ordini, con un mio biglietto.
Ho perduto la nozione del tempo. Non so che ore sono e non m’importa. Non ho tempo di cavare l’orologio perchè le 12 linee non si riposano mai.
Sono ordini che arrivano e ordini che partono. Ho dimenticato di mangiare. Mi vedo arrivare un bombardiere con una scodella di minestra mandatami dal ten. Vecchi. Mangio in fretta mentre guardo col binocolo e mi pare di vedere meno chiaro... Infatti annotta. Per bacco, bisogna chiedere rifornimenti di munizioni per stanotte e incarico il ten. Maggi di ottenere quanto occorre mandando lo specchio dei colpi tirati. Il Maggi preferisce andare da sè e tornare stanotte coi camions.
Stasera ho saputo che altri ponti sono stati gettati la notte scorsa a Sernaglia e alle grave Papadopoli e che un buon nerbo dell'8a Armata è già di là dal fiume e forma una forte testa di ponte. Mi pare di sognare. Dò la bella notizia alle Batterie e sento le grida di giubilo degli ufficiali e dei soldati. Coraggio... urlo, ancora un po’ di forza e si vince!
La notte ha intensificata la sorveglianza del nemico, non si sa come, ha raddoppiato i suoi riflettori. Quasi tutto il letto del Piave è illuminato e le nostre Batterie si studiano di accecare il nemico colpendo i riflettori. Il fuoco è sempre intenso.
Gli austriaci non sono riusciti a buttare in acqua i nostri che sono ancora rannicchiati sulla riva sinistra e aspettano rinforzi. Stanotte tenteranno di rifare il ponte di Molinetto.
Intanto le bombarde continuano senza posa la loro opera di protezione e d’interdizione.
28. — Ieri sera le mie Batterie hanno dovuto spostare gradatamente i loro tiri resi più difficili dalla incerta posizione delle nostre truppe.
Si dice che tre teste di ponte siano già assicurate solidamente e che l'8a Armata si prepari a passare sul ponte di Sernaglia, battendosi accanitamente per aggirare le colline di Vidor e di Colbertaldo, ma per ora con precisione nulla si sa. Io, attenendomi agli ordini perentori avuti direttamente dal Comando di Corpo d’Armata, ho tenuto sotto un fuoco micidiale i nodi stradali, i gruppi di case e le postazioni d’artiglierie a me note. Si sono battuti i rovesci più lontani dove si annida il nemico, le sommità delle colline donde il nemico vede e domina, le sponde del fiume dove ha i suoi reticolati, le case dietro le quali si difende. Credo che stanotte più di mille bombe devono essere cadute su Vidor, Abbazia, Osteria Nuova e Filanda. La nottata è stata uguale alla precedente. La battaglia non si è mai interrotta.
Il tremendo clamore delle artiglierie, se mai, va aumentando e l’atmosfera è piena di vampate di fumi e di un acuto odore che il vento sembra portare su dall'inferno. I servizi funzionano alla perfezione.
Le munizioni chieste iersera, sono arrivate stanotte e i meccanici dei camions hanno dato tutta intiera l’opera loro al pari dei combattenti e non hanno rischiato meno la pelle. I trasporti hanno dovuto percorrere vie difficilissime, allo scoperto, tutte scavate da buche di proiettili, sotto l’incubo dei riflettori nemici, sotto la continua minaccia di morte e hanno assolto magnificamente il loro compito.
Stanotte il maggior lavoro lo hanno avuto le due Batterie di Crocetta che dovevano aprire la via ai nostri soldati avanzanti di là dal Piave e hanno stupendamente sgombrato e sbarazzato il terreno, se devo giudicare dal fitto e costante lampeggio che ho osservato sui bersagli.
Il Colonnello Garrone mi ha ogni momento chiamato al telefono. <<Veda di allungare il tiro su Case Vettorelli dove è annidata una Batteria>>...<<E' già fatto e ha taciuto...>> <<Ha taciuto? Bene>>. <<Ora concentri il fuoco più che può, sulla Osteria della Rotonda e poi frughi quelle collinette intorno a Case Buse>>... Naturalmente non nomina mai i luoghi, ma indica gli ovoli della carta coi nomi convenzionali... Lepre... Talpa... ecc. Oppure col numero, pure convenzionale... 71... 72... 89 ecc.
Qualche volta chiedeva l’impossibile alle bombarde: <<può battere oltre Colbertaldo? >>... <<Signor no>>. <<Tiri in quella direzione colla gittata massima>>. Davo l’ordine e come per miracolo vedevo le bombe scoppiare nel rovescio di Colbertaldo. Telefono al ten. Leopardi: <<ma come... Ci arriva?...>> <<Al bisogno si cerca di fare anche l'impossibile, sig. Capitano>>, mi risponde. Bravo... Si vede che anche le bombarde sanno quello che stanotte gioca qui l’Italia.
Il ten. Leopardi e il ten. Compagna, si sono trovati l’osservatorio sul tetto di una casa mezzo rovinata sulla via che da Crocetta rasenta il fiume. Luogo più pericoloso non potevano scegliere, ma il loro ardimento è fortunato. Il nemico non la batte. Ha però controbattuto le Batterie, e un colpo ha rovinato un affusto e il pezzo è fuori uso.
C’è poi un altro guaio: sono più di due giorni che si fa fuoco e a forza di sparare, i telai hanno ceduto e quasi tutti i pezzi si sono spostati ed è necessario riconsolidare le piazzole.
Do ordine che si faccia la solita manovra di smontamento dei pezzi uno alla volta, mentre gli altri seguitano a sparare.
I Comandi superiori non devono sapere che si è contemporaneamente combattuto e lavorato. I miei soldati sono eccitati, entusiasmati e danno tutto loro stessi; rendono il massimo e basta dire loro - bravi - perchè si offrano spontanea mente ad uno sforzo, ad un rischio qualunque. Quando mi informo del loro spirito, da tutte le Batterie mi si risponde – Magnifico. - Di giorno, sotto il fuoco, hanno trasportato tronchi di albero e perfino costruiti nuovi telai dietro un pezzo, come li trovassero in cantiere.
Nel corso della giornata si sono rotte quasi tutte le linee telefoniche, e i telefonisti sono corsi sotto il fuoco e una alla volta, hanno riattivato tutte le comunicazioni. Gli attendenti che fanno da porta ordini, partono nelle diverse direzioni cantando e ridendo. Giù... tra la gragnola! ... Biglietto di andata... e di ritorno!
Oggi, alle 14 ho saputo che, nella notte scorsa, tutti i ponti furono rotti e rifatti, con grande fatica e con perdite grandi, ma molte truppe della nostra 8a Armata e specialmente del XXII Corpo, erano già di là dal fiume e si erano unite a quelle del XXVII Corpo già prima in parte passato, ma che i ponti erano stati rotti di nuovo e la situazione era critica anche per loro. Però combattono accanitamente e lentamente avanzano. Dò una occhiata alla cartina del piano di avanzata e vedo che dopo due giorni di combattimento, non si sono raggiunte le posizioni segnate nel primo tempo.
Telefono e domando notizie. Continuate il fuoco cadenzato in modo che le munizioni bastino per la giornata.
Noi siamo ancora ben provvisti e seguitiamo a sparare, spostando il tiro in modo da non trascurare un solo bersaglio, anche piccolo.
La tensione nervosa è in tutti tale che non si percepisce altro all’infuori della lotta. I nervi tesi da tanto tempo compiono lo sforzo più grande, ma non si strappano, anzi la lunghezza dell’azione, dà quasi una calma strana e una orgogliosa sicurezza dei propri atti.
Volano aeroplani nostri e austriaci ma non ci badiamo. Volano e tornano indietro portando notizie, i nostri; volano e buttano bombe gli austriaci, ma non badiamo neppure a quelle. Chi sente più il frastuono, i sibili, gli scoppi?. Chi guarda più le fumate, le colonne d’acqua che si innalzano dal Piave?
Chi conta ormai i corpi galleggianti che la corrente porta via travolgendoli insieme con tavole di barconi frantumati? La febbre sale di grado, ma non si avverte: si dimentica ogni altra cosa. Non si mangia, non si beve, non si riposa, si combatte soltanto. Perfino i pensieri più cari e più santi emigrano dalla coscienza nostra e non si percepisce più il pericolo. La morte? Venga pure... l’aspettiamo... Siamo qui per questo. Ma, i nostri cari? Ecco il pensiero che ci turba un momento solo e ci angustia. Ma anche quel principio di tristezza fugge quando vediamo una bomba che prende in pieno un fabbricato e lo squarcia.
Corro su e giù tra il mio posto di osservazione di Gruppo, dove è il telefono, e l’osservatorio divisionale. Trilla il telefono lungamente: rispondo. Il Comando di Divisione ordina <<Sospendere immediatamente il fuoco... Le truppe d’assalto del XXVII Corpo si lanciano su Colbertaldo e sulle colline di Col Polenta e di Vidor>>. Il telefono sbatacchia e toglie la comunicazione. Non ho tempo di chiedere spiegazione. Passo l’ordine alle Batterie, ma resto interdetto. Richiamo insistentemente e finalmente posso dire: Ho eseguito l’ordine, ma faccio osservare che ogni Batteria ha tre o quattro bombarde cariche per ciascuna e che è operazione pericolosissima levare la bomba dal tubo di lancio quando la spoletta è libera dalla coppiglia chiedo di potere sparare questi colpi già pronti.
<<E' impossibile, mi. si risponde, i nostri hanno aggirato le posizioni austriache e avanzano verso il fiume. Sarebbe lo stesso che fare un macello>>. Infatti su quella zona non batteva più un solo pezzo.
Il caso è gravissimo ma conviene ubbidire. Interrogo i quattro Comandanti di Batteria. Se vuole, tutto si fa rispondono. <<Con molta cautela... riesciremo>>. Aspettiamo un poco, forse riapriremo il fuoco altrove. Non posso prendermi questa responsabilità tremenda se non assolutamente costretto. Lascio passare mezz’ora poi chiedo di nuovo notizie. Le nostre ‘Brigate compiono esattamente la loro manovra e puntano sulle posizioni del rovescio. Ora sono anche più vicine. Non c’è rimedio. Dò istruzioni e raccomando prudenza massima nella delicata operazione. Uno scoppio di bombarda sarebbe la morte di questi bravi ragazzi e vorrei renderli vivi alle loro famiglie. Ho una trepidazione senza pari.
Le bombarde sono a retrocarica per la sola carica di lancio, ma le bombe si mettono nel tubo dalla bocca. Occorre dunque togliere la carica dalla parte dell’otturatore, poi inclinare delicatamente in avanti il tubo di lancio abbassando la bocca fin sotto il livello della culatta e fare scivolare la bomba, che due uomini devono in tempo fermare e agguantare non appena ha messo fuori il naso, evitando di toccare la spoletta che, urtata, farebbe esplodere i 60 chili di trotil che serba in corpo la bomba. Ultima operazione, svitare la spoletta, mettere in sua vece il tappo di chiusura e levare via completamente la bomba.
Passa un quarto d’ora, passa mezz’ora, mi sento inquieto, nervoso e me la prendo coi grossi Comandi che non conoscono le nostre bombarde e pretendono di trattarle come cannoni. Interrogo la Batteria di Crocetta, l’operazione è andata bene senza incidenti. Prendo coraggio e domando alle altre. La 351a ha finito anch’essa felicemente la 350a scarica l’ultimo pezzo, ma mentre parlo mi si dice che tutto è fatto. Mi si allarga il petto ad un grosso respiro e voglio accendere una sigaretta. Il fiammifero non si è ancora spento, ecco una nuova chiamata: <<Concentrare il massimo fuoco nella zona compresa tra Osteria della Rotonda, Vidor e Case Buse>>. È la Divisione che dà quest’ordine?... E' mai possibile? ... Chiedo la conferma.
Mi parla il Capitano Russo perchè il Colonnello è occupato in gravi faccende. <<Russo>>, grido, <<il Colonnello dianzi mi ha fatto sospendere perchè i nostri avanzavano su Vidor, non era dunque vero? >> Il Capitano non vuole spiegarsi, ma lascia capire che il tentativo è fallito e le nostre fanterie hanno dovuto ripiegare perchè nelle posizioni sono annidati in caverne forti nuclei di nemici. Le perdite nostre sono sensibili. E ora ammazzeremo loro, rispondo. Dopo pochi minuti le Batterie riaprono il fuoco concentrandosi tutte quante sui luoghi in indicati e mentre lentamente annotta, ricomincia la musica. Le collinette si iniettano di nuovo di fuoco che scintilla di continuo e si avvolgono in una nube derisa, biancastra, che dilaga, si allarga, e spinta da una lieve brezza, procede verso sud strisciando sul suolo che deve essere ormai talmente scavato e sconquassato da non lasciare un metro quadro di vegetazione.
Prendete, cani, prendete anche queste, e via di costà se non volete crepare tutti sotto le macerie. Non è possibile che possa resistere uomo vivente in mezzo a quell’inferno. La via deve essere spazzata ai nostri soldati.
Alle 22 altro ordine: <<Seguitare a battere, ma più lentamente, allargando i tiri anche sui bersagli di sinistra e di destra, fino a nuovo ordine.
29. — Sembrava che la grande battaglia avesse raggiunto il massimo d’intensità e che dovesse risolversi ormai in breve tempo in nostro favore.
Il ripiegamento del XXII Corpo d’Armata da Colbertaldo, è stato una doccia fredda e i nemici hanno tanto ripreso coraggio che stanotte abbiamo dovuto non poco faticare a. tenerli indietro. Pare che a loro siano arrivati molti rincalzi che hanno attaccato violentemente, tentando di respingerci verso il fiume. La lotta nelle tenebre è stata tremenda. Ogni passo avanti veniva tenacemente contrastato. Ogni trincea diveniva centro di una difesa accanita. Le mitragliatrici cantavano ininterrottamente, nè si può dire quante ve ne erano in azione stanotte. I nostri fanti si sentivano aggrediti di fianco e alle spalle e non vedevano il nemico nè potevano parare il colpo. Avanzavano, vacillavano, tentavano un assalto, ripiegavano, tornando poi di nuovo all’assalto e noi si seguiva la alternativa delle segnalazioni luminose che facevano allo scopo d’indicarci la posizione da loro tenuta.
Per fortuna le nostre linee manovranti non hanno mai perduto il contatto e non si sono mai sfiduciate.
L’aspirazione dei fanti era raggiunta. Non intristivano più nelle trincee fangose ; manovravano, combattevano corpo a corpo, si muovevano, andavano avanti, avevano i piedi di là dal Piave.
Nella situazione cosi variabile della battaglia manovrata le artiglierie stanotte hanno fatto miracoli. Il loro tiro è almeno raddoppiato di frequenza e di intensità. Pare che altri pezzi siano venuti dalle retrovie, pare che non si conosca stanchezza.
Il ten. Ferretti è andato a Mura della Bastia a prender contatto col comandante della Brigata Campania e il ten. Maggi è invece sceso nel piano, dove era schierata la Brigata Cuneo affiancata alla Brigata Reggio.
Ambedue sono tornati con notizie strabilianti. Erano qui all’alba. In linea non c’è più nessuno. Qualche ufficiale di reparti di riserva ha detto che stamane nelle primissime ore tutto il XXVII Corpo d’Armata aveva passato il Piave e che ormai l’Italia era più di là che di qua.
All’VIII Armata era toccato l’onore di aprire il varco al nostro esercito e ormai la manovra era compiuta quasi per intiero.
Il nemico però, non intende cedere il passo, e si batte disperatamente su tutto il fronte, anzi, pare che moltiplichi i suoi sforzi.
Mi ha portato anche qualche particolare della colossale manovra.
La IV Armata, si batte ancora sanguinosamente sul Grappa, mentre la XII Armata si spinge su Feltre per assalire alle spalle i nemici e dividerli in due, isolando l’esercito del monti da quello del piano.
La nostra VII Armata, non appena possibile, punterà su Belluno, risalendo il Piave e forzerà la val Cison, mentre la X filerà dritta sul Manticano.
Il piano di attacco prestabilito non conta più niente, le teste di ponte si sono spostate, ma si sono ingrandite, le conquiste di secondo tempo, sono state scavalcate e si sono raggiunte le posizioni del 3° e del 4° tempo.
Il crollo del gigante pauroso è imminente, lo sentiamo; la profezia si. avvera, i nostri voti stanno per essere esauditi.
Il cuore batte, il respiro si affanna, la voce trema, e una emozione ci conquista l’animo e ci inebria... Chiamo le Batterie al telefono.
Avanti... avanti.. avanti... ancora per poco... Battete forte sui nodi stradali e sui Paesi.. Spianate.. Aprite la via alla vittoria che passa, che avanza.. che vola... Concentrate tutto il fuoco su Vidor... Spianatelo quel povero paese... purchè i nostri soldati possano attraversarlo senza rischi, senza tradimento. Mi si risponde: non abbiamo quasi più munizioni... si chiede immediato rifornimento; e poi, non gli uomini, ma l'acciaio delle bombarde è stanco; i telai sono sgangherati; gli affusti sono logori, i tubi di lancio affocati e sfiancati>>. Alla 349a si è rotta una manovella di manovra del puntamento e la bombarda seguita a sparare tenuta ferma saldamente sull'affusto, dalle braccia e dalle spalle del soldati; la 350a è controbattuta continuamente e non cessa un solo momento di far fuoco. La 35la è stata individuata fino da stanotte e ha subito danni non lievi al materiale. Il ten. Vecchi è restato tutto il tempo in piedi diritto sulla sommità del parapetto a dirige re il fuoco.
Col materiale sconnesso, con gli uomini sfiniti, la battaglia invece di rallentare, nelle prime ore del giorno, accanisce sempre più.
Ho la speranza che le munizioni debbano bastare, ma per prudenza, chiedo il completo rinnovo della dotazione.
Vidor e Bigolino specialmente, sono tenuti sotto un fuoco indemoniato, ma i tiri si allungano assai verso l’interno della pianura da dove seguitano a partire salve di batteria e granate a iosa. Piovono anche in gran numero da1 Barbaria, e dal Grappa giunge terribile il rombo. Quanto sangue si sarà sparso lassù!
Alle 9 precise mi arriva un ordine, dato col telefono a voce altissima <<Cessate il fuoco! ... Le nostre Divisioni risalgono la riva sinistra del Piave e corrono verso Colbertaldo, si irradiano nella pianura, sfondano le difese che sbarrano la Val Cison, tentano la salita del Barbaria, risalgono la stretta di Quero, puntano su Feltre>> <<Viva l’Italia>> grido e gridano con me i miei ufficiali, gli attendenti, i soldati del telefono e il grido altissimo giunge fino alla 350a Batteria che sta lì sotto e un coro altissimo di voci maschie s'innalza fino a me mentre partono gli ultimi colpi che scaricano le bombarde.
In un baleno la fausta notizia arriva a Levada e a Crocetta e fa cessare il tiro delle artiglierie a corta portata, mentre i grossi calibri fanno ancora la voce grossa e cavernosa e colpiscono lontano, aiutando l’avanzata dei fanti.
Le nostre bombarde non arrivano più e ci possiamo riposare un poco. Cioè, ci potremmo riposare, ma invece, corriamo qua e là quasi impazziti dalla gioia con gli occhi velati dalle lacrime e vedo ufficiali e sodati che, nell'emozione del gran momento, si abbracciano e si baciano.
Verrebbe la voglia a tutti di prendere un facile e correre al di là dal Piave, mischiarsi ai reparti d’assalto, sfondare coi fanti tutti gli ostacoli fino al Tagliamento, fino all’Isonzo, oltre le Alpi, magari fino a Vienna.
Adagio!... Il programma seduce, ma la disciplina s’impone più che mai in questo momento.
Abbiamo vinto?.. .Abbiamo cominciato a vincere. Il nemico è aggirato, è messo in scompiglio, è buttato indietro, ma c’è molto da fare ancora.
Il Generale Fano mi telefona in persona: <<Mi proponga i nomi di quattro ufficiali subalterni, capaci di compiere una missione ardita e di grande rischio>>. <<Tutti i miei ufficiali sig. Generale>>. <<Bene... allora, sceglierò io: il ten. Vecchi, il ten. Compagna e due altri che prenderà dalle Batterie: uno per Batteria. Ma che sappiano stare a cavallo>>. Propongo il ten. Fineta della 350a e il ten. Mella della 349a. <<Va bene!... Questi quattro ufficiali, si procurino un cavallo con bardatura, si scelgano tre uomini ciascuno e li facciano montare sui cavalli delle carrette, sui muli, se occorre, a pelo, se non hanno selle e si mettano a disposizione della VIII Armata che stasera si troverà alla testa di ponte di Abbazia di Vidor, sponda sinistra del fiume>>.
Mi pare di sognare... E che è questa strana cavalcata sui muli a pelo? Passo l’ordine agli interessati, e a buon conto, raccomando che si scelgano cavalli e bardature anche per i loro uomini, perchè mi pare di capire che si tratta di formare pattuglie di collegamento. Non è possibile che si voglia mandare in avanscoperta questi disgraziati che appena sanno montare a cavallo, e mandarli, per giunta, così male in arnese.
Giacché nelle Batterie ci sono i moschetti, consiglio di armare i soldati e di fornirli con molte munizioni.
Seguo da vicino le strane fatiche fatte dal ten. Vecchi per accozzare questa compagnia di uomini e di bestie, ma, in fondo, devo convenire, che se l'è cavata abbastanza bene e assisto alla partenza di questa pattuglia montata sui brocchi male insellati e la saluto con gli auguri più lieti:
Penso con rimpianto alla mia cavallina che in questo momento forse potrebbe galoppare nella pianura veneta inseguendo il nemico, perché è impossibile che oggi tutto sia finito e che l' Austria sia rassegnata a farsi vincere. No; l' esercito nemico è ancora forte, agguerrito e tiene ancora posizioni formidabili, si ritira lentamente ma ordinatamente. Potrebbe riprendere l’iniziativa e contrattaccare le nostre Divisioni e le bombarde tornare in funzione. Dio non voglia... siamo d’accordo, ma un atto di leggerezza non deve compromettere la azione. Freniamo i nostri impulsi e si resta ai nostri posti.
Dalla collinetta ascolto il rombo degli scoppi e il crepitio delle armi piccole, lentamente ma sempre più si allontana. Pare di essere lasciati soli a meditare sulla nostra inutilità. Infatti noi bombardieri diventiamo inutili appena il nemico si è allontanato di tre chilometri. E non possiamo neppure inseguirlo. Come si fa?
Sono le 1 e suona il telefono. Il Comando del Corpo d’Armata mi ordina di fare subito una ricognizione oltre Piave insieme ai Comandanti di Batteria, per cercare una località adatta, verso Valdobbiadene o S. Pietro in Barbozza, per postarci le bombarde e battere tanto l’imbocco della Val Cison, quanto i pressi delle colline di Farra e Pieve di Soligo.
Chiamo a raccolta i quattro Comandanti dando, come punto di ritrovo, il crocicchio stradale di Onigo e con gli ufficiali più vicini, scendo giù a piedi e imbocco la via maestra.
Il cielo è ancora pieno di sibili e di zufolamenti, ma ormai non si hanno più riguardi; Il nostro giuoco è vinto e le carte sono scoperte. A Onigo trovo i due Comandanti di Crocetta scesi in bicicletta. Anch’essi non hanno più scrupoli, l’emozione ci ha messe le ali ai piedi, si corre e neppure ci pesa lo stomaco che tutti abbiamo vuoto. Io non ricordo più neppure quando ho mangiato l'ultima volta.
E' poi inesprimibile la sensazione che provo per l’improvviso cambiamento di tutto intorno a noi. Veramente non so neppure bene quello che succede qui davanti; quello che avviene negli altri fronti, molto meno quello che accadrà; sò che qui una potente scossa di nostra volontà ha tutto rovesciato e mentre mille riflessioni si affastellano colle speranze, nel mio cervello in fiamme, s’alza un volo di aeroplani tricolori nostri e si dirige a ventaglio allargandosi, abbassandosi tanto che sentiamo forte il rombo dei motori e vedo venire giù un nuvolo di bigliettini bianchi che, trattenuti dall’aria, scendono lentamente come farfalle, brillando al sole.
Corriamo a raccoglierne: sono tutti eguali e portano tutti il timbro del comando della 8a Armata e la data - 29 ottobre -918 - Ore 13,45.
C’è scritto così:
Fonogramma - Al Comando dei Corpi d’Armata VIII – XVIII - XXII - XXVII - 7577 Op. Stop - Nemico ritirasi regione attorno Vittorio stop - Accelerare marcia per impedirgli sfuggire e vendicare così Caporetto.
Generale Caviglia
E' dunque l’ordine di concentramento a Vittorio Veneto. E' il segnale dell’ultima pugna che deve soffocare per sempre l’Austria? Dio lo voglia.
Se l’ordine sarà utile per tanti, purtroppo è per me inutile, perché non posso e non devo allontanarmi. Il mio dovere è qui. Non posso, non devo anch’io volare su Vittorio Veneto per assistere all’agonia del mostro che da secoli ci sugge il sangue e martirizza i nostri fratelli. Caviglia! 0 Generale nostro, veramente grande, che a Vittorio, la vittoria sia tua!
La lettura del messaggio celeste ci fa gridare un - Viva 1’Italia - altissimo e le nostre mani sventolano berretti e fazzoletti verso i Caproni che si allontanano, gettando altri biglietti.. <<Tutti a Vittorio >>!
Sono quasi fuori di me e non so più che giorno è e che ora è.
Strada facendo, teniamo consiglio, consultiamo i calendari, gli orologi nostri, e con un poco di tempo si arriva a riconoscere che oggi, forse giorno della vittoria finale, è il 29 ottobre 1918, anniversario della tremenda ritirata. La mente va a quei giorni funesti e mi ritorna vivo al pensiero tutto il dramma fatale, umiliante, che oggi forse, una grande vittoria vendicherà.
Un’altra sensazione strana proviamo passando sul ponte del Curogna.
Sostiamo sul colmo e volgiamo uno sguardo quasi di disprezzo a quelle montagne che fino a stamane ci battevano e ci dominavano... Ma... alla larga!.. Dal Barbaria ci battono ancora. Sul greto del Piave, mentre guardiamo, arrivano parecchi colpi. Si alzano ancora le colonne d’acqua e, ogni tanto, vola qualche pezzo di muro e un nuvolo di sassi. Un colpo ha preso in pieno un mucchio di barconi che i pontieri tenevano in riserva sulla riva e una danza di tavole in aria segue lo scoppio secco e violento.
Ambulanze italiane, francesi e americane, vanno e vengono sulla strada trasportando feriti. Cadaveri di soldati nostri attraversano la via. Alcuni di essi hanno la testa in mezzo di strada e li trasportiamo sulla banchina.
Raggiungiamo la linea della 12a Armata e della 26a Divisione francese e ad un ufficiale azzurro che incontriamo, domandiamo notizie. << Ottime >> risponde, << Siamo di là, e andiamo avanti>>. Bene.
Prima di arrivare a Pederobba, prendiamo un viottolo che scende sul greto del Piave, attraversando reticolati e trincee. Sono piene di morti. I terrapieni sconvolti, i reticolati rotti, i prati pieni di buche. I fanti francesi hanno saputo resistere come i nostri a quattro giorni di bufera senza scomporsi e, come i nostri, hanno vinto.
Siamo alla vecchia stazione di Pederobba. Il fabbricato della stazione è diroccato; I binari sono rotti e divelti; i baracconi distrutti. Resta una stanza a terreno sul piazzale dove si è installata una sezione di sanità francese. C’è un posto di medicazione e feriti vi affluiscono numerosi e ingombrano lo spazio, noncuranti del cannone austriaco che batte da più punti questa località scoperta. I feriti che possono camminare, si accalcano alla porta respinti da un grosso sottufficiale che parla soltanto colle mani e fuma tranquillamente la pipa. Non fa passare che uno alla volta e con una spinta allontana quelli che medicati e fasciati, escono.
Ci sono soldati di tutte le armi e di nazionalità diverse. Anche austriaci, ungheresi, bosniaci, e slavi. Un soldato grosso, bruno, con una marcata fisionomia mussulmana, insiste dolorando e appoggiandosi al muro, per essere medicato. Si è tolta la giacchetta e la camicia e sul dorso nudo tiene premuta una mano dietro la quale fiotta il sangue. Si lamenta e si raccomanda, ma il sottufficiale francese lo respinge. Primi a essere medicati sono i francesi e gli italiani. Il povero diavolo si perde di coraggio, avvilisce, si scosta e scivola in terra lungo il muro... Agonizza!
La passerella è poco più là della stazione, è quasi intatta perchè è stata ricostruita stanotte per la 4a volta. Nel tratto più lontano da noi è però un po’ rotta, ma dove è la corrente del filone maggiore, è salda e completa. Da essa vengono verso di noi turbe di soldati che hanno guadato a piedi i filoni d' acqua della riva sinistra. Sono soldati nemici che vengono a darsi prigionieri e il ponte è pieno di questa gente scomposta e disarmata. Osservo che se tutta quella gente può venire di qua dal fiume, noi potremo passare di là; basterà che a un certo punto noi mettiamo i piedi a mollo. L’acqua non pare profonda perché a quei laggiù, non arriva alla cintola. Amici, passiamo dunque, e a salti prendiamo la testata del ponte di tavole.
Non abbiamo fatto neppure dieci metri in avanti che tre granate, una dopo l’altra, vengono a scoppiare sul ponte e nelle sue immediate vicinanze e nell’intorbidarsi dell’atmosfera, tra il fumo e l’acqua innalzata a doccia polverizzata, intravediamo la catastrofe. Il ponte carico di gente è stato colpito in pieno dove è più alta l’acqua e dove è più ripida la corrente.
Un rimescolio di corpi informi di uomini e di tavole in aria, un ricadere pesante e lugubre di ogni cosa in acqua e al diradarsi del fumo, la vista orribile di esseri umani mutilati o stroncati che, insieme colle assi sfracellate galleggiano sulle acque insanguinate e vanno via velocemente trasportati dai fiotti del Piave!... Che orrore! Il ponte ha una interruzione di circa 50 metri. Chi è di là corre indietro a precipizio, ma anche gli isolotti sono cosparsi di morti. Chi era già passato corre verso di noi urlando. E sono molti a correre lasciando attraverso le tavole più di un cadavere e più di un ferito gemente.
Qualcuno fatti pochi passi, si ripiega e cade nel fiume, scomparendo.
Altri si sorreggono tra di loro e procedono lenti. Dal posto di medicazione non parte una barella, non un aiuto.
I francesi guardano tranquillamente, poi, tornano indietro dicendo - Sono nemici.
Ah !... quanto cammino indietro ha fatto la civiltà così vantata dei tempi nostri e come questa guerra ha indurito i cuori e inasprito gli odi.
La dolente colonna risale il greto e si avanza verso di noi.
Chi più chi meno, sono tutti feriti, specialmente alla testa per le scheggie di granata. Larghe chiazze di sangue macchiano le giubbe sporche. Uno tiene una mano sul fianco e geme, un altro regge colla mano sinistra il moncherino sanguinolento della destra asportata completamente. Quei gemiti e quelle implorazioni farebbero pietà ai sassi. Sono tutte giovanissime reclute ungheresi coi panni sporchi e laceri, coi visi terrorizzati che, salvata la pelle nella guerra, la rischiano quando è quasi finita.
Per la rottura del ponte non ci è più possibile passare.
Il guado non si può tentare e allora, approfittando di un carro ambulanza della croce rossa americana, mando a Cavallea per avvertire il Comando d’Artiglieria Divisionale, che vo a passare dal ponte di Vidor, se c' è.
Il mio sguardo non si stacca dal gruppo dei feriti, molti dei quali si lasciano cadere a terra pesantemente davanti alla stazione.
Ultimo, viene avanti un soldato ferito anch’esso, ma leggermente, che guida e sorregge un compagno. Dio! Che orrore! Un morto che cammina! Un pezzo anatomico sanguinolento. Una figura di giovane alto e dritto della persona e completo in ogni sua parte, ma che soltanto non ha più viso! Al posto del naso, degli occhi, della bocca una maschera rossa informe, un largo brandello di carne senza linee e senza forme. Non ha più viso e cammina. E' qualche cosa di spaventoso. Non così fanno impressione i morti, i mutilati di un braccio o di una gamba, quanta ne fa questo infelice che è certamente condannato e forse avrà un’ora di vita; eppure cammina!.
Il compagno lo sorregge faticosamente e lo presenta alla porta di medicazione. Questo almeno sarà accolto, penso, e mi trattengo per vedere come si comporta il cerbero che dirige l’ingresso, ma il grasso sottufficiale non si è scosso. Senza levarsi la pipa di bocca, ha guardato l’infelice aggrottando le ciglia, ha ruggito qualche parola incomprensibile e ha fatto passare un ragazzo vestito del cappotto celeste... che si era rovinato un dito.
L’ungherese senza faccia non ha visto, ma forse ha intuito, si è ritirato di qualche passo, ha barcollato, si è rovesciato all’indietro ed è caduto disteso sul prato. Il compagno si è inutilmente curvato su di lui... Meglio morire!...
Con gli ufficiali, riprendiamo la via, diretti a Vidor, ma per la strada mi arriva la risposta del Comando di Divisione: “Sospendere la ricognizione perché inutile. Gli austriaci cedono terreno e non arriveremmo in tempo”.
Torniamo alle nostre posizioni che è già notte. Risalgo la quota 155 e guardo da lassù la linea del Piave che ieri era il confine d’Italia.
Non distinguo più il fiume nascosto nelle tenebre, ma i canti dei soldati vincitori giungono fino a me e c’è tanto tripudio in quei canti, c’è tanta italianità che mi prende un fremito da capo ai piedi. I soldati cantano e innalzano in aria quanti razzi possono trovare nelle trincee abbandonate.
La notte torna sui campi che ieri furono tormentati dalla grande battaglia e che ora risuonano di inni di vittoria e si illuminano ai razzi bianco rossi e verdi.
Italia nostra abbiamo fatto il nostro dovere, oggi siamo degni di te e delle nostre famiglie che forse ancora non sanno e dormono sognando il nostro ritorno.
30. - La battaglia non è finita ancora, ma si allontana. Però, dal Barbaria e dal monte Perlo ci tormentano ancora. Nella regione del Grappa, la lotta continua. Speriamo che oggi cada anch’esso e che il nemico si rassegni a morire.
Qui non ho da fare nulla e prendo attraverso i campi e raggiungo Covolo e Barche. E' ancora presto e mi propongo di andare a vedere i bersagli battuti dal mio Gruppo.
Tra Barche ed Abbazia di Vidor è stato gettato un magnifico ponte di barconi dal genio pontieri e su di esso è un rimescolio di carri e di uomini. Passate le Divisioni di assalto tra ieri e stanotte, si è cominciato il passaggio dei rinforzi e dei rifornimenti.
All’ingresso del ponte trovo Beppino Merciai, Comandante di in Gruppo di Artiglieria da Campagna, che torna indietro tutto scontento. Sapevo che era vicino a me, ma non l'avevo mai veduto. Peccato, mi dice, avevo avuto l’ordine di andare avanti, ma un subito contrordine mi ha fatto tornare indietro.
Passo il ponte con un reparto di arditi dalle fiamme nere col gagliardetto in testa. Cantano il loro inno e marciano diritti e svelti come gazzelle. Passo con loro e quando metto il piede sulla riva riconquistata sono preso da una tale emozione che, non mi vergogno a dirlo, ho pianto e mi sono piegato a baciare quella terra che dopo un anno di schiavitù ritornava libera per opera nostra e si rendeva per le nostre mani alla Patria.
Salita la rampa di Abbazia, ho incontralo alcuni austriaci che, sbucati non si sa da dove, si offrivano prigionieri a noi.
Dalle prime risposte alle nostre domande si è capito che questi demoni erano rimasti nascosti fino allora nei sotterranei ignorati di Abbazia, mezzi sepolti tra le macerie dei muri crollati. Erano mezzi inebetiti e seminudi.
A Vidor, tra le case crollate e le spaccature della terra, ho riconosciuto le buche scavate dalle nostre bombe. Sono facilmente riconoscibili per la forma a imbuto e per la loro grandezza che supera talvolta i cinque metri di diametro e i tre di profondità e per il colore della terra affumicata e annerita ai margini e cotta e arrossata nel fondo. Quante buche!
Soltanto nella piazzetta principale del paese ne ho contate sei ancora scoperte e altre erano state riempite per rendere possibile il transito. Una grandissima è di fronte alla scalinata della chiesa. Ho saputo da alcuni soldati che lavoravano a rispianare la strada, che stamane, quando è passato il Generale Caviglia, ha dovuto fermarsi e far riempire qualche imbuto.
Attaccato al cornicione della chiesa, schiacciato contro il muro, c’è ancora il cadavere di un soldato austriaco colto dallo scoppio di una bomba mentre tentava di fuggire, sollevato da terra e scaraventato lassù a più di cinque metri di altezza dal solo spostamento d’aria prodotto dalla esplosione.
Il Generale Caviglia ha osservato che i bombardieri avevano lavorato bene. Entro nell’imbuto e razzolando tra la terra smossa del fondo, trovo una scheggia della bomba e un frammento della spoletta col tubo di accensione. Metto in tasca queste reliquie che porterò a casa.
La visita ai bersagli continua. Mentre Dioli si dedica alla visita delle caverne e dei ricoveri colla speranza di trovare qualche cosa di buono, io giro il paese accompagnato dal ten. Strampelli. Tutto è una irreparabile rovina. Ad eccezione della chiesa rimasta miracolosamente quasi illesa, non vi è fabbricato in piedi e i muri si sono frantumati, polverizzati e le macerie ingombrano le viuzze.
Ci spingiamo fuori del paese, verso il setificio che è stato uno dei punti da noi più battuti. Il grande edificio è crivellato da ogni parte. Gli affissi sono volati: I tetti sono scoperchiati. Tutto intorno, i campi sono come arati e la terra sconvolta ha messo sotto anche l’erba. Un capannone del setificio presenta una strana caratteristica. Una bomba è caduta nel mezzo del tetto; l’ha sfondato, ma non è esplosa, quindi ha seguitato il suo cammino fino al pavimento dove, urtando, è esplosa scavandosi l’enorme imbuto che si vede benissimo. Lo spostamento dell’aria, ha fatto partire il tetto tutto d’un pezzo e lo ha rovesciato nei campi; i quattro muri perimetrali, perduta ogni coesione, si sono aperti come i quattro lati di una scatola di cartone non ancora incollata e si sono anch’essi rovesciati, cadendo quasi interi distesi nei prati.
Maggi tenta di penetrare tra le piante che sorgono in riva al Piave dove si sospettavano difese e reticolati; invece non c’è niente. Il nemico stava più indietro. Andiamo a visitare i rovesci delle collinette e il trincerone naturale scavato dal Torrente Teva. Oh, qui si che troviamo tracce della vita del nemico. I greppi sono tutti scavati e pieni di ricoveri. Alcune grotte sono ancora intatte, ma ce ne sono anche molte colpite e sfondate. Entro in alcune di queste abitazioni di guerra. Sono tutte egualmente sporche e fetenti; vi sono ancora le brande colle coperte di puro cotonaccio e brandelli di camicie e avanzi di scarpe e qualche misero oggetto di latta o di legno. Una miseria tale, una tale sudiceria che non è possibile descrivere. Entro in una baracchetta che ha servito a un ufficiale. La stessa miseria. Non un oggetto, non dico elegante, ma decente. Faccio il confronto con i nostri ricoveri eleganti puliti, dove in fine nulla mancava, neanche lo specchio, neanche la boccetta dell’acqua di colonia. Sopra una tavolaccia inchiodata tra due assi verticali che reggono il soffitto di tavole, è qualche carta. Leggo il nome di un comandante di reggimento di Kaiser-Jagers, i prodi e feroci soldati di S. M. Imperiale e, accanto alle carte, una scodelletta di metallo bianco contiene ancora un avanzo di pasto. Il cucchiaino di latta, sta in terra. Dappertutto le tracce del disordine e della fretta. Questo povero diavolo è stato sorpreso dalla nostra avanzata mentre mangiava la minestra e ha avuto appena il tempo di prendere le cose sue più importanti lasciando la scodella in terra, e la lettera a mezzo. Sul lettino del sig. Colonnello è distesa una bella coperta bigia che Dioli pensa di portare con sé e di farne un regalo alla mia cavalla che gliene sarà molto grata.
Le esplorazioni interessanti sono continuate per tutta la sera e sono ora persuaso che le mie bombarde banno lavorato splendidamente.
Dove esse picchiavano non doveva restare anima viva e battevano cosi fitte che era impossibile agli austriaci ogni difesa. Infatti, non hanno resistito e sgombrata la zona, spazzata la testa di ponte, l' avanzata è diventata meno scabrosa.
Dove non arrivano le bombarde, arrivano cannoni con tiri molto più precisi, ma meno efficaci.
La prova peggiore l’hanno fatta certe granate dette Guerritore, che erano lanciate dai mortai e, per essere il tiro curvo e i proiettili molto affusati e senza alette, arrivavano spesso di piatto e non esplodevano. Di questi sigari avana lunghi quasi 80 centimetri è coperta la campagna. Ve ne sono metà confitti in terra, affondati per la culatta, in piedi e fuori di terra, appoggiati alle case, in cima a un muro diroccato...dappertutto.
Delle bombe del mio gruppo, neppure una inesplosa. Avevo ragione quando mi affidavo ai miei bombardieri?
Ormai il rombo della battaglia è lontano e fa contrasto impressionante il profondo silenzio di stasera, dove il fragore della pugna fu spaventoso.
L' Esercito italiano avanza trionfalmente e noi restiamo qua, lontani, dimenticati.
Strano questo risveglio di pace fra tanti ordigni di guerra. Prima di tornare a casa, ho voluto vedere qualche altra caverna oltre la collina di Vidor, e sul rovescio ho scoperto un ufficio postale che presenta tutte le più evidenti tracce della fuga precipitosa. Una tavola grande è ingombra addirittura di lettere in arrivo per i soldati e di lettere dei soldati dirette alle loro famiglie e non impostate, ma rimaste li sulla tavola o buttate fuori nel fango. Ne prendo alcune a caso... sono tutte uguali. Non vi si legge mai la verità. Il soldato doveva dire che stava bene, che non gli mancava nulla, che si divertiva e che era sempre sazio, ma che non resisteva alla violenza del nostro fuoco. Al soldato non si potevano narrare tutte le miserie del paese natio e in questo stato di reciproca corbellatura l’Austria faceva la guerra e mandava al macello migliaia di uomini che non parlano il tedesco, che hanno altra religione, che non le vogliono molto bene.
Altra osservazione mi è accaduto di fare nel mio giro di istruzione: non ho trovato neppure un tozzo di pane! Di quel pane che i soldati nostri buttavano via con tanto scialo perché lo hanno buono ed abbondante; quel pane che in ogni trincea, lungo ogni strada segna il passaggio di un reparto qualunque di truppa, qui neppure il seme. L' ho cercato col lanternino e mi sarei contentato di trovarne una briciola pur di vedere come era. Segno che non ne avevano più e il pensiero rattrista, pensando che anche la nostra popolazione da un anno soffre la fame... La vera fame, quella del pane. Quante impressioni raccolte, liete e tristi mi accompagnano nel mio ritorno a Cavallea.
31. - Ieri sera, mentre stavo a cena con i miei ufficiali che facevano un baccano indiavolato per festeggiare la vittoria, mi è giunto l’ordine di rientrare nell’arma di cavalleria, per rotazione, cioè, per avere finito un anno nella specialità bombardieri.
Ho fatto un salto di gioia nella sedia, ma poi mi sono ripreso perché gli ufficiali non prendessero a male l’atto. Tutt’altro! Per i bombardieri non vorrei andarmene mai, penso però che ormai le bombarde sono divenute inutili, ferri vecchi e niente più, mentre per la cavalleria il lavoro comincia ora.
Mi balenano alla mente le cariche del mio bel reggimento Novara; mi seduce la prospettiva di un inseguimento del nemico attraverso la pianura veneta, mi inebria il pensiero di galoppare alle costole del nemico fuggente su per le valli della Carnia e attraverso le colline Carsiche; violare i confini austriaci, attraversare da trionfatori le città tedesche e poi e poi...
Ecco perché sono balzato sulla sedia. L’ordine dice di presentarmi subito al Comando generale dell’Arma di cavalleria ma io non so dove si trovi. Telefono qua e là e finalmente mi si risponde “A Cordenons”...
A Cordenons di già... La cavalleria anche questa volta si è comportata bene via a raggiungerla; ma non a cavallo; mi ci vorrebbe troppo tempo e poi arriverei con la bestia mezza morta.
Stamane ho trovato un imbarco su di una automobile leggera e parto subito, solo. Ho sognato sempre di lasciare le bombarde al momento dell’avanzata e di slanciarmi a cavallo all’inseguimento. Il sogno sta per avverarsi? Una volta raggiunto un reggimento qualunque troverò ben io un cavallo insellato da inforcare e via di galoppo. |