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------------- Aggiornamento -------------

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Ringraziamo tutti coloro che ci hanno aiutato fin ora e speriamo molti altri si uniscano a noi per salvare Fronte del Piave.




Maggiori informazioni e aggiornamenti qui.

 
     
 

 

GIAVERA del MONTELLO

Capitano di Fanteria Eligio Porcu: M.O.V.M.

 

 



Poi che il soldato che non parte in guerra
è femmina che invecchia senz’amore:
e c’è un binomio, che nel mesto cuore
uno squillo ancor dà: Trento e Trieste:
poi che la vita è un male, e son moleste,
dopo la prima giovinezza, l’ore:
ma chi soldato fra i soldati muore,
resta giovane sempre sulla terra:
non so io se avverarsi ancor non possa
quel sogno caro a me fin da bambino!
ammiraglio non più, ma fantaccino,
abbia, in ordine sparso, abbia a sparare
contro un bersaglio, che di carne e d’ossa,
sappia un colpo ricevere, uno dare.
.

Congedo
di Umberto Saba

 

 


 
*ELIGIO PORCU*

Costante impareggiabile esempio di salde virtù militari, quale Comandante di una Compagnia, per due giorni consecutivi con fulgida tenacia fronteggiava il nemico irrompente, contenendolo, infliggendogli perdite ed animando, instancabile ed ardente di fede, il proprio reparto ad una resistenza incrollabile. Avuto l’ordine di attaccare, trascinava la propria Compagnia con irresistibile slancio fin sulle posizioni avversarie, sgominando forze di gran lunga superiori. Ferito ad una gamba e circondato dai nemici, per non cadere vivo nelle loro mani, si toglieva la vita con serena fierezza, opponendo alle ingiunzioni di resa il suo ultimo grido di “Viva l’Italia”.

 
 
Montello,
15-16 Giugno 1918.
 

 

Nacque a Quartu Sant’Elena (Cagliari) nel 1894.
Chiamato alle armi, interruppe gli studi all’università di Cagliari, ove frequentava il secondo anno del corso fisico-matematica, si inscrisse in un plotone Allievi Ufficiali, ne uscì Sottotenente e, destinato al 45° Reggimento Fanteria, partì subito per la frontiera.
Temperamento di eccezione. Alla bontà naturale accoppiava una decisa avversione a qualunque forma di lode e perché questa, cui non poteva sottrarsi nell’ambito reggimentale, gli fosse risparmiata da estranei, tacque alla famiglia, agli amici, qualunque particolare della sua vita di soldato per abbondare, invece, nel magnificare i propri dipendenti.
Animo fierissimo, fece sue le aspirazioni della sua Patria ed a questa fu fedele anche quando le martellate di arcigna sorte avrebbero potuto scuotere la fede.
Invidiato nel reggimento, per gli ardimenti ripetuti in vari episodi di guerra a Col di Lana, non ebbe orgoglio; questo concentrò, invece, nel silenzioso proposito di prepararsi a conseguire la laurea e dedicarsi allo studio durante i riposi in trincea.

Quando ottenne una licenza per sostenere alcuni esami, corse a casa e vi trovò la desolazione, il pianto. Un fratellino suo undicenne gli era mancato da poco, ed ora vedeva morire un altro fratello quattordicenne ed una sorella diciottenne. E sostenne gli esami!
Poi ritornò alle trincee di Falzarego, ma, travolto nella folle ritirata di Caporetto, raggiunse il Grappa!
Di là scrisse alla famiglia non per discorrere di quella vergogna, ma per annunciare che se l’era cavata, e conchiudeva: “Oh, no! Prigioniero mai, mai! Mi saprete morto, mi piangerete eroe, forse, ma a nessun costo vile!”
Intanto, anche sul Grappa, i nostri meravigliosi soldati, accanitissimi, cancellarono, con generose ondate di valore e sacrificio, la bufera dell’ottobre ed il fedele quartese guadagnava una bella medaglia di argento al valor militare motivata superbamente così:
“Ufficiale di leggendario valore, sotto violentissimo fuoco di artiglieria e micidiale tiro delle mitragliatrici, mentre il nemico iniziava un attacco contro la posizione, si slanciava per primo nella distrutta trincea ed incurante di ogni pericolo ne riorganizzava la difesa, incuorando i superstiti ed incitandoli con l’esempio e con la parola alla resistenza. Ferito, non volle abbandonare il posto di combattimento. Divenuta critica la situazione per l’intensificato bombardamento nemico, seppe tenere la Compagnia al suo posto di combattimento e con fuoco efficacissimo mettere lo scompiglio fra le truppe avversarie, contribuendo in gran parte alla salvezza della posizione.”
(Monte Valderoa, 12 dicembre 1917).


Lo storico Noce presso il quale Eligio Porcu si tolse la vita

Assolto, così, il dovere verso la patria, volle assolvere l’altro verso se stesso e la famiglia cimentandosi ai rimanenti esami di laurea. Ottenne un’altra licenza, ma questa coincise fatalmente con il periodo di maggior brutale aggressione sui mari, durante il quale venne silurato il piroscafo in servizio dal continente all’isola sarda. Dovette rinunciare a quanto gli stava tanto a cuore.
Attese l’occasione migliore e questa gli si presentò quando, per disposizioni superiori, fu ammesso l’avvicendamento.
Gli parve un sogno di trovarsi nuovamente a casa sua! Vi era da appena 48 ore quando un telegramma lo richiamò sul Montello, dove, pochi giorni dopo, in una delle tante mischie feroci, nella impossibilità di sottrarsi alla prigionia, non volle esser vile. E la famiglia lo pianse Eroe!
Un particolare curioso. Nel momento in cui l’eroico capitano Porcu, già gravemente ferito, stoicamente si uccise, con un colpo di rivoltella alla tempia, per non cadere in mano agli austriaci che, travestiti con la divisa militare italiana, lo circondavano, era presente e testimonio oculare il sergente del 45° Fanteria, Sez. Stockes, Attilio Imoli di SS. Angeli del Montello, ora presidente di quella sezione dell’Associazione Nazionale Combattenti.
Il fatto avvenne sulla strada 9, all’altezza della chiesa di SS. Angeli, di fronte a casa Cavalli, presso un noce, ora consacrato alla storia.
Prima di uccidersi, l’eroico capitano esclamò: “Povera la mia Compagnia!”. Un attimo. Estrasse la rivoltella con la destra. Si tirò alla tempia. E cadde bocconi al suolo.

 


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