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Maggiori informazioni e aggiornamenti qui.

 
     
 

ZENSON di PIAVE

L’ansa di Zenson
Carlo Ederle: Medaglia d’Oro al V.M.

Del mare sulle iridescenti arene,
dove in trincee si ammucchiano, mi getto;
e con una repressa ansia il grilletto
premo. Va la terribile frustata

e una sagoma cade. Immaginata
non ho in essa una più bella che buona,
non una testa che porti corona,
non il nemico che più mai non viene.

Se qui l’occhio non falla e il colpo è certo,
egli è che nel bersaglio ognor figuro
l’orrore che i miei occhi hanno sofferto.

Tutto che di deforme hanno veduto,
di troppo ebraico, di troppo panciuto,
di troppo lamentosamente impuro.

Bersaglio
di Umberto Saba

“Si celebri quanto è più possibile
di bene del caro defunto: non si
arriverà mai a dire tutta la verità.
La morte di Carlo Ederle non è
semplicemente lutto del suo
reggimento,ma è lutto di tutta la
terza Armata”.

il Duca d’Aosta

Celebre per l’ansa del Piave, ricordata
spesso nei Bollettini di guerra, dove si
impegnarono frequenti assalti corpo a
corpo con atroci e spaventosi massacri.
Nella battaglia conclusiva venne gettato
il ponte di barche che consentì ai nostri
di forzare la resistenza austro-ungarica.

 
 *EDERLE CARLO*

Maggiore ( Fanteria , Capo degli osservatori d'artiglieria della 3aArmata ) luogo di nascita: Verona (VR)Data del conferimento: 20- 1-1918 M.P.S. Motivo del conferimento:Capo degli osservatori d’artiglieria della 3a Armata, era solito superare ogni limite di sacrificio e diardimento, sia nell’assolvere i suoi particolari compiti, sia nel partecipare di propria iniziativa alle azioni di fanteria, fante fra i fanti, compagno incomparabile tra inferiori ed uguali, animatore di uomini e di masse. Tre volte ferito, tre volte decorato di medaglia d’argento al valor militare, encomiato solennemente una volta, per altre ricompense proposto, per merito di guerra assurto in giovanissima età al grado di maggiore, era vivacissimo, forte, generoso. La morte, sfidata e sprezzata in trenta mesi di fulgide prove, nel giorno di Santa Barbara, durante un’azione, spezzava la sua giovinezza, simbolo di leggendario eroismo.
 
 

Carso, ottobre 1915
Piave, 4 dicembre 1917
 

Celebrare la memoria, e consacrare la figura di Carlo Ederle di Albino e di Caviola Adele, basterebbe la motivazione per la “medaglia d’oro” concessagli di motu-proprio dal Re il 22 Gennaio 1918:
“ Capo degli osservatori d’artiglieria della terza Armata, era solito a superare ogni limite di sacrificio e di ardimento, sia nell’assolvere ai suoi particolari compiti, sia nel partecipare, di propria iniziativa, alle azioni di fanteria, fante per i fanti, compagno incomparabile tra inferiori ed uguali, animatore di uomini e di masse. Tre volte ferito, e tre volte decorato di medaglia d’argento al valore, encomiato solennemente una volta, per altre ricompense proposto, per merito di guerra assunto giovanissimo al grado di Maggiore, vivacissimo, forte, generoso, la morte sfidata ed apprezzata in trenta mesi di fulgide prove, nel giorno di Santa Barbara, durante un’azione, spezzava la sua giovinezza, simbolo di leggendario eroismo.
Carso Ottobre 1915 – Piave 4 Dicembre 1917”.
Il giovane Maggiore che la terza Armata chiamò la “Guida del Carso” e con tal nome andò famoso in tutta la penisola, nacque a Verona il 2 Maggio 1892. Compì gli studi secondari nel Liceo di quella città, nel quale si distinse tra i condiscepoli per singolare dirittura e prontezza d’ingegno, con spiccata tendenza alle scienze esatte. Di principi profondamente religiosi, appartenne alla Gioventù Cattolica Veronese, esempio costante di purissima esistenza.
Entrato all’Accademia Militare e poi alla Scuola d’Applicazione d’Artiglieria di Torino, uscì nell’Ottobre 1913 col grado di Tenente, primo nella graduatoria, e fù assegnato all’8° reggimento Artiglieria da campagna.
Volle quindi iscriversi alla Università di Padova, nella Scuola d’Applicazione per gli Ingegneri, dove il 12 Novembre 1918 gli fù conferita la laurea ad honorem.
Promosso Capitano nell’Aprile del 1915, ed il 6 Agosto 1917 Maggiore, ma con diritto di anzianità dal 10 Gennaio 1917, fù prima per qualche tempo nel Cadore, al principio della guerra; poi fù destinato alla direzione del Campo sperimentale d’Artiglieria a Ciriè, ed ivi le sue doti ebbero campo di manifestarsi. Ma non era uomo da rimanersi lontano dalla fronte di guerra e fece domanda di ritornare fra i combattenti. Comandò prima una batteria, nel quale ufficio rimase fino al Dicembre del 1916, quando fù chiamato a dirigere le controbatterie della terza Armata.
Quivi fece nuova esperienza preziosa ; e, constatata la necessità di avere degli ufficiali “osservatori”, che non fossero dipendenti dai vari gruppi d’Artiglieria, che non avessero altre mansioni, per essere più alacri e pronti, e conoscessero a perfezione la zona, ne propugnò con fortuna l’istituzione, e l’ottenne, e ne fù il comandante e la guida.
Studioso non meno che soldato, Carlo Ederle si distinse negli studi d’applicazione delle artiglierie. Si devono a Lui alcuni studi assai notevoli, concepiti e redatti negli ultimi mesi del 1914 e nei primi del 1915.
Le cure della guerra non distolgono l’Ederle dalle occupazioni della mente: pur nel fervore della lotta diuturna Egli trova modo di applicarsi ai problemi “del tiro curvo nell’artiglieria da campagna” e “dell’impiego di cariche ridotte per cannone da 105 P.C. e per autocannone da 102”. E il Comando Supremo, con foglio del 3 Febb. 1916, tributava a Lui, per tali studi, encomio speciale.
Ma venne la triste giornata del 4 Dicembre 1917, in cui l’Ederle, nell’ansa di Zenson, attaccata da due parti, fù investito dai colpi delle mitragliatrici austriache, ed una pallottola gli troncò la carotide e la vita.
“ Si celebri quanto è più possibile di bene del caro defunto: non si arriverà mai a dire tutta la verità. La morte di Carlo Ederle non è semplicemente lutto del suo reggimento, ma è lutto di tutta la terza Armata”. Così esprimevasi nell’occasione della sua morte gloriosa il Duca d’Aosta, sintetizzando in tali parole il più alto elogio alle virtù militari dell’Ederle, che Guelfo Civinini – con scultorea frase- designò come “uno di quei soldati che Napoleone faceva generali a trent’anni!”


 
 

Quando mi raccontavano le favole
o leggevo nei libri i raccontini
dei tempi dei bisnonni e delle avole,
quando c’erano fate e principini,

          immaginavo i principi col viso
          altero, nei palazzi tutti d’oro,
          non degnare neppure d’un sorriso
          i cortigiani curvi innanzi a loro.

Ma un Principe io conosco, ora, che viene
spesso in trincea dove più rischio c’è,
e mi domanda se mi sento bene
come tu, babbo, il chiederesti a me;

          e non ha il manto d’oro costellato
          e non ha il viso pieno d’alterigia,
          ma il viso aperto e buono del soldato
          e indossa anch’Egli l’uniforme grigia;

e mi posa la mano sulla spalla
e mi dice: “Coraggio e fede. Cuore
che non vacilla, mira che non falla,
e passeranno i giorni del dolore.

          Intanto, se qualcosa ora ti manca,
          dillo; tu devi avere il rancio buono,
          il tuo mezzo toscano, la tua bianca
          lana che ti riscaldi, e qualche dono

che ti rallegri nel pensier di quelli
che son lontani e pensan tanto a te!”
Già, parla come fossimo fratelli
Ed io son poverino, e il Duca Egli è!

          E, se qualcuno si fa onore, vuole
          saperlo, e viene Lui, gli appunta al petto
           la medaglia, con certe alte parole
          che ci fanno sbiancar sotto l’elmetto.

E si sente ch’è Lui che ci comanda
sì, ma in quella Sua limpida fermezza
c’è tanto amor, che ad ogni Sua domanda
si pensa “babbo” e si risponde: “Altezza !”

          Quando sarò un secchione come il nonno
          racconterò ai nipoti anch’io le favole,
          accanto al fuoco, pria che prendan sonno;
          non le fiabe dei tempi delle avole,

 

ma le storie che noi viviamo adesso
- oh delle fiabe più miracolose ! –
le sacre tombe all’ombra del cipresso,
gli assalti rudi e le trincee fangose:

          “C’era una volta un Duca che una brava
          Armata contro l’orco avea composta,
          e quell’Armata “Terza” si chiamava
          ed il suo Duca si chiamava “Aosta”.

 

PARLA UN SOLDATO.

( Da “La Tradotta”, giornale settimanale della Terza Armata. MCMXIII)

 

 


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